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Lettera alle famiglie della Diocesi

Lettera dell’Arcivescovo alle famiglie della Chiesa aretina

 

  1. La pandemia ha fatto evidenziare la fragilità dei singoli

Appena di ritorno da Roma, dove aveva dato prova di sé sotto la guida del Beato Angelico, a Benozzo Gozzoli fu chiesto di affrescare la Cappella Maggiore della Chiesa di San Francesco a Montefalco, con le storie del Poverello d’Assisi. Benozzo aveva una straordinaria capacità di far attraverso le sue pitture.

A dar buona prova di sé alla prima opera in Umbria, Benozzo scelse la tematica illustrata da Giotto nella Basilica Superiore e, tra le opere compiute da San Francesco, anche l’artista racconta la cacciata dei diavoli da Arezzo.

La tematica è palese: qual è la causa del male che affligge ogni civitas? Il giovane pittore si avvale delle sue competenze. Intanto, i diavoli possono essere cacciati, non con riti esoterici ma con la Parola di Dio e la qualità della Chiesa, che esprimono la Santità di chi prova ad aiutare la gente per amore di Gesù.

Da una parte una città arroccata e chiusa in se stessa, dalle forme rigide e geometriche e dai colori freddi; nell’opposto comparto, una natura umanizzata, bella e fiorita che accoglie frate Francesco e frate Silvestro[1]e dà modo di rimettere insieme gli aretini. La communitas, che trae origine dall’aiuto di Dio, è la grande medicina per sconfiggere i mali del tempo, che seguitano ad essere la superbia, l’invidia, la violenza come

all’inizio del Libro della Genesi. Quello appena passato è stato un anno difficile. Le prime avvisaglie di quanto sarebbe successo le abbiamo viste subito dopo la Festa della Madonna del Conforto dello scorso anno.

Forse, in qualche modo, è stato sottovalutato il rischio, il dolore che ne conseguiva, le difficoltà di rispondere a una sfida inedita.

La cosiddetta “spagnola”, tra il 1918 e il 1920, era stata l’ultima epidemia a seminare lutti e paure in un Occidente disinteressato di quello che succedesse altrove.

Siamo passati attraverso anche la  “supponenza” di chi era convinto che la cultura del nostro tempo, pur nella medicina che in questo secolo ha fatto passi da gigante, avrebbe saputo certamente trovare la soluzione perfino al nuovo “esserino”, chiamato con quel nome strano, “Covid-19”.

L’approccio al nuovo avveniva con ragionamenti che della filosofia avevano soltanto l’apparenza, ma non la riflessione, la ricerca del vero, la capacità di relativizzare l’oggetto del discutere, cioè la qualità.

Poi, sono subentrate subito l’economia e la politica, come due sorelle siamesi, inseparabili, soprattutto quando una sorta di dogmatismo laico, da troppo tempo, non metteva in discussione il nostro stile di vita, il colonialismo statunitense, l’assoluto identificato con la soddisfazione dei sensi e il denaro messo a disposizione di chi, per ricchezza o per lavoro, ha goduto di un mutamento sociologico. Per ritrovare situazioni analoghe, bisogna andare molto indietro, ma questa operazione retroattiva non serve a granché, se non a far pensare. Per esempio, l’Impero Romano cedette di fronte al nuovo che avanzava, perché erano andate perdute le virtù repubblicane.

Cambiare lo stile di vita, fino all’anno scorso, era lo spettro con cui la maggior parte della gente – forse anche noi cristiani – cercava di non misurarsi o quantomeno di rimuoverlo dalla considerazione degli auditel. Noi, che siamo Chiesa, laici e chierici insieme, non abbiamo saputo e forse neppure voluto dare spazio a questa riflessione. La parabola “del ricco Epulone e del povero Lazzaro”[2]inquietava solo i migliori, i missionari e i Papi. A qualcuno davano noia, con dire evangelico, anche i poveri lazzeri, arrivati nella ricca Europa a crear fastidi e a mettere in discussione i benpensanti e l’establishment intero.

Il confronto tra giustizia e carità è stato confinato ad essere un argomento accademico, rifuggito dalla politica e perfino poco praticato dai predicatori.

La pagina successiva è stata la grandine di morti che ci ha fatto riflettere, anche piangere. Qualcuno ha ritrovato il verso di pregare per recuperare almeno l’essenziale.

Parte della nostra popolazione si è attardata, disquisendo, con rinnovato bizantinismo, se sia più importante salvare i profitti o la vita altrui, almeno fin quando i corpi esanimi, le salme dei nonni sono andate perdute, generando sofferenze, rimpianti e, nei più attenti, qualche senso di colpa.

  1. Il dialogo tra i membri della famiglia

In questo sovvertimento globalizzato dobbiamo renderci conto che la famiglia ha tenuto. Forse, qualche volta ci eravamo dimenticati che i matrimoni cristiani hanno una bellissima funzione di buon esempio, non perché siano necessariamente migliori degli altri, ma perché, perlomeno, rispondono a una proposta alta che aiuta tutti, sia quelli a cui riesce metterla in pratica, che pure quelli per i quali non abbiamo cercato i modi giusti per cogliere l’identità propria del Matrimonio secondo il Vangelo.

Pare che quello dei cristiani sia sempre e solo un sistema di divieti, di condizionamenti, di sacrifici e di repressioni, ma non è per niente così. Una storia d’amore ha un suo linguaggio proprio che accomuna il linguaggio dei corpi, pur nel rispetto delle persone. La nostra popolazione, anche tempestata da una continua ripetizione di modelli antitetici, si sta facendo attenta alla bellezza di storie d’amore che durano per l’eternità, come quelle degli sposi innamorati. Non è utopia, ma parte della fede cattolica.

Anche in materia matrimoniale, è doveroso distinguere tra fede e morale. In questo tempo siamo tentati di giudicare i comportamenti e meno a capire le motivazioni. La fede viene prima della morale.

Certamente la coerenza vorrebbe  che  alle  parole  corrispondessero i fatti, ai segni i contenuti, ma la logica non è la misura della realtà. La Chiesa, se vuole essere fedele al suo Signore, deve vivere di misericordia, far conoscere il progetto di Dio e aiutare tutti ad essere felici.

I comportamenti di molta  gente  vengono  determinati oggi da una sorta di cultura dominante che afferma se stessa e, poco per volta, trasforma la medesima autoconsapevolezza di essere persone.

Un grande studioso della Filosofia del Diritto, nel secolo scorso, ragionava attorno a tre monosillabi latini, mos, ius, lex: consuetudine, diritto e legge. A seconda di come combini le precedenze tra questi tre concetti, cambia il mondo intero. È dalla coerenza con i comportamenti diffusi che deriva la giustezza del tuo operare fino a stigmatizzarlo come doveroso modo di vita? Oppure: il principio, astratto da non si sa chi, deve diventare norma di vita accettata dai più? E infine: in una storia d’amore può esserci una norma che determina i comportamenti di tutti, fino a farli diventare misura condivisa?

Una delle differenze sostanziali tra paganesimo e fede cristiana sta appunto in una storia d’amore di Dio che chiama un uomo e una donna a condividere la strada della vita. “Si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”[3] . Genereranno figli e figlie fino a progettare il mondo futuro sulla scorta di un rapporto personale con il Signore, sempre recuperabile, come quello descritto in Genesi,  quando  cioè ogni giorno Dio si intrattiene amabilmente con l’uomo e la donna, ascoltandoli e aiutandoli a fare storia.

La novità del cristianesimo, di fronte alla visione pagana del mondo, si ripropone ad ogni generazione. Proprio perché l’uomo e la donna sono persone libere, devono scegliere quale sia la strada che vogliono percorrere, puntando sempre sulla pazienza di Dio, che è ben raffigurata dalla fede di Israele: il padre che accoglie comunque i figli, li ama, è pronto ad aiutarli. Da quest’ultima visione del mondo si manifesta la sacramentalità del Matrimonio. L’idea, invece, che l’uomo e la donna siano due persone sole che inventano una storia, ogni volta a rischio, appartiene alla letteratura d’oltreoceano, dove il fascino della conquista spesso prevale sulla bellezza di una esperienza d’amore, per la quale vale la pena di giocarsi tutto.

Il coraggio dei giovani che si sposano e magari anche fanno figli è alternativo al pensiero comune. È un lento, moderato ripensamento: quanta minore sarà la retorica nel rappresentarlo, tanto più può diventare avvincente perché reale. È frutto di un’antropologia non inventata, né pretenziosa: è l’eco della storia che conforta ancora oggi, soprattutto se illuminata dalla fede.

Questo  tempo  di  pandemia  ha  fatto  sperimentare  alla gente un dolore amarissimo per la perdita quasi improvvisa dei vecchi, senza la certa speranza cristiana di ritrovarli nel giorno del Signore. Figli e nipoti sono stati provati nei loro affetti più semplici dalla dipartita dei nonni.  Anche in Arezzo, fino a poco tempo fa, si risolveva l’alternarsi delle generazioni con il meccanicismo e, in questa terra, “intra Tevero et Arno”[4], ricca di fondamentali memorie, si era giunti al disinteresse per gli altri, tutti concentrati al proprio tornaconto.

Solo qualche anno fa, uno dei nostri valenti parroci aveva avviato una sorta di confraternita per assistere alle esequie di chi, magari troppo vecchio o poco “interessante”, non riusciva ad avere neanche i figli al funerale. Il grande sovvertimento di questi mesi, ci offre l’occasione per ripensare ai fondamentali dell’esistenza umana e, tra questi, al significato e al valore della famiglia.

I cultori di altre scienze da tempo fanno rilevare la relazione che esiste tra le generazioni. In questo complesso di storie particolari si costruisce l’identità di un territorio. L’esperienza dei capifamiglia chiamati all’arengo – la grande assemblea di uguali – “in Piazza Grande” a decidere sulle questioni comuni resta sì lontana nel tempo, ma manifesta un’esigenza ancora presente. Non si riesce a parlare di insieme, senza la famiglia. Non c’è Chiesa, senza di voi famiglie cristiane, ma non c’è neppure la società civile, che, almeno nella nostra visione del mondo, non è la contrapposizione di singoli che si scontrano, ma la bellezza di storie d’amore che fioriscono, durano nel tempo, generano il futuro e si addormentano nella speranza di trovarci insieme, non già entro le mura del Tarlati, ma dentro la Gerusalemme del Cielo.

In  questo  tempo  difficile,  la  nostra  Chiesa  vuol  dire  il grande apprezzamento e il bisogno che ha delle famiglie, non già come soggetti perfetti, ma come popolo in cammino: non come aggregazioni fiscalmente rilevanti, ma come risorsa culturale che sopravvive alle difficoltà del presente.

La Chiesa aretina vuole dire grazie a tutte le famiglie che in essa si sono aggregate. Forse, sarà il tempo di riavviare una riflessione comune sulle distinzioni giuridiche elaborate quasi cento anni fa. Lo Stato e la Chiesa hanno entrambi interesse per la famiglia, che va comunque favorita e rispettata. Dalle finestre della casa del Vescovo, mi capita a volte di vedere coppie di giovani sposi che escono dal Comune, dove hanno sottoscritto la loro voglia di diventare una famiglia, e salgono le gradinate del Duomo per andare a fissare con la luce negli occhi la loro presenza presso la Madonna del Conforto. Questo fenomeno merita di essere approfondito, giacché l’identità del Matrimonio cristiano non è un problema di luoghi, ancor meno di stereotipi, ma il Sacramento che si esprime nell’amore vicendevole, aperto alla generazione della vita, durevole e unico nel tempo, in se stesso indivisibile. Non è solo un contratto, ma un Sacramento.

Credo che la Chiesa debba riavviare il dialogo con tutti e saper fare la profezia di distinguere tra le forme e la sostanza. Questi giorni di prova amara ci hanno fatto riconoscere il valore di vivere in famiglia, forse facendo riscoprire ai più giovani l’importanza della maternità e della paternità, il modello ideale di essere fratello e sorella che, anche scontrandosi sul caso particolare, si riconoscono in un vincolo familiare, che non è solo anagrafico.

  1. La famiglia, luogo della vita secondo lo Spirito

In questo tempo complicato che ha segnato le relazioni, cari cristiani della nostra Chiesa in terra d’Arezzo, la famiglia è stato uno dei pochi elementi vincenti. Non si è trattato soltanto di una sorta di prova del fuoco a cui la Nazione si è sottoposta. Il risultato comunque è positivo, il nucleo familiare ha ritrovato il modo di scoprirsi ancora capace di elaborare le difficoltà e, per di più, lo ha fatto con amore.

La prova e il dolore sono stati di tutti i membri, seppur con diversa consapevolezza. Gli anziani con rimpianto, gli adulti con dolore; i ragazzi, pur messi alla prova soprattutto per la mancanza di scuola e di sport, hanno reagito tendenzialmente assai bene.

Questa esperienza ci ha fatto ricavare non solo un positivo resoconto delle sfide superate, ma, soprattutto, una missione per il futuro dei cristiani che possono essere Annuncio del Vangelo nel loro stare bene insieme.

Venendo dalla Patria di San Benedetto dove venticinque anni fa ho avviato il mio Ministero Episcopale, mi viene spontaneo ricordare che uno dei maggiori Padri della cultura dell’Occidente ci insegna che la convivenza pacifica richiede alcune scelte di base. Non si sta bene se non si è prima di tutto in pace con se stessi, se cioè non si è capaci di consapevolezza e responsabilità. Ciascuno di noi ha delle doti invidiabili, nessuno di noi è senza fragilità o difetti.

Dio si fa pietra di paragone, perché il rapporto con lui diventa misura della capacità di essere beati costruttori di pace con gli altri.

Cinquanta anni fa Harvey Cox pubblicava a New York uno studio veramente provocatorio, dal titolo “La teologia della morte di Dio”. Purtroppo, in questo mezzo secolo abbiamo visto una lunga litania di eventi in cui è doveroso chiederci che razza di uomo abbiamo. Alla famiglia è chiesto di recuperare il rapporto con Dio, ciascuno con il proprio stile, perché non muoia l’uomo, unico soggetto creato capace di sperare.

Gli eventi terribili dei mesi passati ci hanno fatto percepire che il rapporto con gli altri non può essere costituito soltanto da elementi funzionali. Non c’è comunità vera che non parta dal modello familiare, accettato o criticato, riproposto o stigmatizzato. La famiglia è come il calendario con i suoi mesi: cambiano i contesti, ma in casa si misurano le stagioni della vita e anche la nostra generazione non può ignorare questo passaggio.

Vorrei  che  questa  Festa  della  Madonna  del  Conforto in piena pandemia fosse l’occasione perché tutte le famiglie si rendessero conto del grande dono che sono le vicende d’amore e che tutti i cristiani tornassero ad avviare una riflessione corale sull’essere figli di Dio, in ogni realtà che nasce da una

storia matrimoniale.

Il lavoro che manca, nella crudezza della situazione attuale, ci obbliga a dare attenzione a quanti studiosi ragionano, in questo tempo, dell’economia sostenibile. Siamo venuti fuori dalle ideologie. Occorre uscire dalle inutili contrapposizioni, soprattutto da quella non ignorabile tra il profitto e i diritti della persona umana. Il lavoro non può essere mai obliato. Bisogna ritrovare pace con questa dimensione dell’essere.

Da ultimo,  mi  piacerebbe  che,  ragionando  di  famiglia, chiedessimo alla Madonna di insegnarci a trasformare il mondo,  non  a  rovinarlo.  Le  Nozze  di  Cana,  tra  le  tante  valenze scritturistiche che sono state attribuite a questo episodio della vita di Cristo, potrebbero essere il segno che, come Vescovo,

torno a proporre alla mia Chiesa.  Su una delle poche parole di Maria nel Vangelo c’è scritto: “Fate quello che Egli, Gesù, vi dirà”, allora  l’acqua  del  pianto  potrà  ancora  trasformarsi  nel  vino

della gioia.

[1] Celano, Vita Seconda, Cap. 74, in FF 695

[2] Lc 16,19-31

[3] Costituzione Dogmatica Sulla Divina Rivelazione, I, 2

[4]  Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, IX, 106

Lettera ai giovani della Diocesi

Lettera dell’Arcivescovo ai giovani della Chiesa aretina

Miei cari giovani amici,

1. Sono rimasto incantato a vedere l’approccio positivo che molti di voi hanno avuto nei confronti delle difficoltà attuali, causate dai contagi. Non è stata poca cosa in questi mesi il cambiamento delle consuetudini del mondo giovanile, soprattutto – mi pare – in tre ambiti molto delicati: la limitazione della libertà di movimento a cui non eravate certo abituati; la rivoluzione del sistema scolastico, che in genere vi ha visti collaborativi pur con molto sacrificio; il rapporto ravvicinato con la famiglia, che un tempo era scontato, ma assai poco esplorato per la vostra generazione. Siete stati molto capaci di capire, di aiutare, di farvi carico di un’emergenza nuova e inaspettata.

Nei fatti, la libertà non è fare quello che si vuole, ma decidere cosa sia meglio fare. In questo tempo, i rapporti con gli amici sono diventati ancora più importanti, ma selettivi. Siete stati bravi, rovesciando perfino i ruoli all’interno degli equilibri familiari. Tradizionalmente, ad aiutare erano i più grandi d’età e i giovani erano coloro che si facevano aiutare.

Questo piccolo “esserino” che si chiama “Covid-19” ha fatto diventare importantissima la delicatezza che avete saputo tirar fuori da voi stessi per addolcire, anche agli adulti, la situa-

zione nuova. Avete capito che non serve a granché lo sdegno; occorre  invece  trovare  soluzioni,  pur  provvisorie  che  siano, per rendere meno amara la vita a tutti.

Oltre alla positività di quanto è avvenuto, viene fatto di chiederci quali ne siano le cause, soprattutto quelle remote. Nell’immediato, è certamente stata la necessità che chiedeva soluzioni. Di fronte all’emergenza, i giovani sono abituati a scegliere di essere concreti e operativi.

Mi pare però opportuno riconoscere che nell’attitudine aretina, tra le ragioni profonde di rispettare gli altri, soprattutto la famiglia, non siano estranee le radici cristiane del nostro popolo: elaborate sempre, a volte contestate, apparentemente non dichiarate, ma, nel fondo, sono un elemento che ha peso. È vero che siete la generazione digitale, ma anche ai più piccoli di voi è venuto addosso, come uno tsunami, lo schermo del computer: non per cercare quello che volevate trovare, ma per dover collaborare con la scuola e rimanere in uno stato di precarietà infinita, tra la voglia del gioco e la necessità di usare il tempo per imparare a vivere.

Mi  è  sembrato  davvero  bello  che,  perlopiù,  voi  ragazzi abbiate ricordato a tutti noi l’importanza della formazione, che non è solo apprendimento, ma relazione tra chi ha già ha fatto

esperienze e voi. Queste sensazioni affiorano nel vostro modo di reagire contro gli interventi fatti dall’alto sulla scuola, in presenza, in dad, i distanziamenti, i trasporti, gli orari che travolgono il piccolo ambito di ciascuno e quello delle famiglie, gli sport negati, i confini imposti per gli spostamenti. Avete saputo mettere da parte la tradizionale sfrontatezza giovanile, pur di garantire la funzione essenziale che la scuola ha nella nostra società, a partire dalle radici dell’antichità più remota della Grecia, di Roma e del Medioevo, ma anche di quello che percepite di più da vicino, voi non meno dei vostri insegnanti.

Sono in una condizione molto privilegiata per ascoltare tantissime persone. I ragazzi e le ragazze del nostro tempo non avevano mai fatto esperienza di rimanere così a lungo insieme con il proprio nucleo familiare. Una convivenza obbligata con i fratelli ha fatto maturare velocemente una sorta di responsabilità,  che  le  nostre  generazioni  non  avevano  conosciuto. Avete fatto assumere ancora a babbo e mamma l’occasione per riscoprire nel concreto la paternità e la maternità, come elemento che segna l’esistenza. Avete arricchito voi stessi, ma anche i genitori, pur nelle inevitabili tensioni di chi si misura con il limite imposto.

Per  trovare  un  precedente  a  quello  che  state  vivendo occorre andare indietro fino agli anni della Guerra Mondiale: tempi di sacrifici, di sofferenze, di inutili lutti. All’inizio del Novecento, furono massacrati più di 37 milioni di giovanotti per ragioni che non appartenevano a loro. Questa guerra contro la pandemia certamente ha causato morti, ma le vostre facce, le vostre reazioni hanno aiutato molti a uscire fuori dai contrasti e a recuperare una Europa vera. Pensate: si deve a voi se tutto questo è avvenuto senza scatenare odio e divisioni.

Sono, quasi d’improvviso, calate le violenze contro la natura che la società del benessere aveva giustificato. Mi dicono che si è guadagnato tanto in termine di delicatezza, di attenzione e di amore. È significativo che una di voi, Greta Thunberg, sia riuscita a fare opinione per sensibilizzare tutta una generazione al valore del contemplare il bello e di riscoprirne la sacralità. Tutto questo non succedeva da quando, in Assisi, quel giovanotto che si chiamava Francesco, ricorrendo al linguaggio poetico, fece  girare per  il  mondo  il  Cantico delle Creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. Certe idee passano soltanto con il canto e la musica.

2. Ragazzi, ancora una volta, tocca a voi uscire fuori dai luoghi comuni e dagli schemi che gli altri vorrebbero imporre. Siete la generazione del pulcino. Non so se voi avete mai visto come da un uovo, che nel suo piccolo è duro e limitante, nasca il pulcino, affermando il primato della vita di fronte al duro guscio della morte. Ragazzi, qual è il progetto della società che nasce dopo la grande crisi pandemica? Ancora una volta torniamo a quello che conta. Il sistema mediatico di cui siete abbastanza padroni, pone

di fronte a un bivio: comunicare il proprio pensiero, le aspirazioni, i progetti o diventare il secchio della spazzatura, dove tutti i prepotenti della Terra sanno di poter versare quello che fa loro comodo, perfino il dominio delle emozioni altrui.

Credo che questo momento così delicato abbia bisogno della vostra capacità di discernimento. Siete stati capaci di non far morire il fanciullino che è in voi e, ognuno con il proprio carattere, con la grinta o con il silenzio, ha dato prova di saper pensare. Non so se qualcuno di voi ha ancora fratellini piccoli in casa. I ragazzini del nido o, ancora meglio, della scuola dell’infanzia sanno benissimo dire di no. Io mi chiedo se, crescendo, saremo ancora capaci di scegliere. Forse i piccoli lo fanno con impetuosità,  voi  sapete  farlo  con  generosità,  sempre  che  lo vogliate.

Un progetto lo si fa comunicando: la tastiera dell’iPhone, come quella del computer di cui siete maestri, può anche diventare il veicolo di un dialogo molto più grande. Dialogo con chi conosci, con gli amici, con le persone con cui hai relazione. Pensa che bello: la tua tastiera e la connessione con il mondo! I nonni del Medioevo – uno di loro si chiama Tommaso d’Aquino – avevano capito che dal bello l’uomo libero è capace di risalire all’autore del bello. Le forme, che forse potreste

raccontarci, vi consentono di scoprire anche Dio. Anche la tecnologia è frutto di quella Intelligenza Creatrice con la quale voi siete abilissimi a interloquire. Dio, per comunicare con noi, si è fatto Parola e, anche con voi che digitate sulla tastiera, si serve dello scritto per raccontare la Buona

Notizia. La pandemia certamente finirà, perché la bontà sconfigge sempre il male e Dio non risparmia nemmeno a questa generazione giovane e pulita l’invito a rimettersi in cammino, magari per le vie del web, verso una grande festa che si chiama Gerusalemme del Cielo.

Coraggio  miei  giovani  amici!  Mi  viene  in  mente  che,  ai tempi dei vostri nonni, quando tutto sembrò crollare per una guerra assurda e generata dalle ideologie, tra il Tevere e l’Arno un gruppo di giovani studenti, facendo capo a Camaldoli, sminuzzando scienze e conoscenze di chi ne sapeva più di loro, riuscirono a mettere insieme un puzzle nuovo, bello e utile che, di lì a poco, si chiamò Costituzione italiana. Erano i cattolici capaci di pensare non solo a se stessi, ma soprattutto al futuro di quella e di altre generazioni. Voi giovani siete una risorsa.

3. La Madonna del Conforto costituisce parte dell’identità del territorio aretino per una storia sì vecchia, ma vera. C’era un terremoto, cioè una situazione di profonda instabilità. Ci sono passato personalmente in Umbria, prima di venire in Arezzo. Le scosse di assestamento le percepisce il subconscio e indeboliscono la persona e la sua libertà, come gli scontri della politica che irritano la gente libera e nessuno capisce, se non chi ci trae vantaggio.

Nel 1796 il lavoro mancava come oggi; allora erano più impreparati. Chi aveva tanto, chi non aveva quasi niente se non un panino in mano e l’amarezza dei commenti con gli amici. L’argomento che girava nelle parole della gente aretina, ma anche dei paesi vicini, in qualche modo dipendenti almeno come indotto, dall’economia della città, ortolani, artigiani, braccianti, era l’incertezza del futuro. Come se ne esce? Proprio una condizione che assomiglia molto a quella che stiamo vivendo.

Uno  di  loro,  nella  mensa  della  caritas  dei  Camaldolesi, alzò gli occhi verso il quadro appeso al muro e se la prese anche con la Madonna, perché restava immobile di fronte alle tribolazioni della gente. Le vicende di allora ve le hanno raccontate in casa fin da bambini. Meno quell’ondata di reazione che dura nel tempo, soprattutto nel profondo della gente, e che anche lo scorso anno  ha  portato  in  Duomo  più  di  quarantamila  persone  in dieci giorni. Ho fatto in modo che nessuno fotografi la faccia di chi cammina, pregando in silenzio, perché il segreto delle coscienze va rispettato, anche quello dei giovani. Non vanno messe etichette a nessuno. Almeno in Chiesa, si deve essere assolutamente liberi.

Allora gli aretini ripresero coraggio e quell’immaginuccia di terracotta che forse avete visto fin dall’infanzia riesce ancora a far pensare.

So che non mancheranno anche quest’anno i ragazzi che si  racconteranno  vicendevolmente  di  essere  cristiani,  anche quelli che solitamente non usano le forme clericali, ma non si rifiutano di riflettere. Il Conforto è questo, recuperare la libertà della speranza.

Per il rispetto che vi porto, non mi attardo a ragionare di sentimenti, di impressioni, di sensazioni. Non volendo rubare il vostro tempo, mi va di chiedervi, in un ideale rapporto tra chi scrive e il lettore: cosa ne fai della tua vita? Attraversa la cultura dell’Occidente un verso di poesia che ha motivato, nei secoli, chi ha voglia d’essere se stesso e chi ha voglia di fare la sua parte al mondo, di costruire storie, bellezze e sogni. Questa mia piccola lettera vuole catturare una scintilla di quella sapienza che nasce da un esametro latino: “Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando?”; ma forse, per parlare con il giro dei ragazzi e delle ragazze del nostro tempo, è più

familiare se dico: “Who, What, Where, When, Why?”. È un passaggio obbligato. Un mio vecchio professore di quando frequentavo l’università usava ripetere che chi vuole essere libero non deve fermarsi, ma deve camminare in avanti e, se è buio – come ora pare che sia – e bisogna attraversare

un fiume in piena come la fiumana di parole che invadono il sistema mediatico attuale, servono delle sponde: quelle stesse che l’antico verso latino ha offerto a chi voleva andare avanti. Ancora oggi, chi vuole fare il giornalista si imbatte con chi gli ricorda che un articolo non ha senso se non risponde a quei cinque punti cardinali che in inglese cominciano con W.

Ricordo ancora con meraviglia, quando mi resi conto che i cristiani che costruirono la nostra cattedrale avevano raccolto il tesoro dalla lettura pagana l’esametro che vi ho raccontato, perché, dove c’è sapienza, questa viene sempre da Dio. Non importa chi la dice: è fondamentale che si colga il contenuto.

Ogni lettera si scrive con la speranza di avere una risposta. Non mi interessa averla con un messaggio vocale, spero di ravvisarla nei vostri i gesti o, comunque, nella fiducia che, se siete arrivati a leggermi fino a questa riga, in qualche modo, non ho perso tempo. Mi fido di voi.

La forza della fede

“La forza della fede” è il messaggio che l’Arcivescovo ha dedicato non solo ai malati e a quanti si trovano in situazioni clinicamente difficili, ma anche tutti gli operatori sanitari che, in questo anno particolare segnato dalla pandemia, si sono spesi – e lo fanno tuttora senza riserve – a fornire assistenza e cure a tutti.

  1. La fede salva

Cari aretini, la Madonna anche questa volta ha fatto la sua parte per il conforto della nostra gente. Un gran numero di persone, chiedendomi di pregare per i malati, ha frequentato in modo intenso la nostra Cattedrale, perché, partecipando alla Liturgia, la preghiera comune fosse sostenuta e sempre più efficace.

Certamente, nessuno può consolare facilmente con parole i figli che hanno perso i loro genitori e quanti si sono dovuti misurare con il distacco da parenti e da amici cari. Il nostro popolo è stato molto responsabile e, come i dati ufficiali confermano, i contagi non hanno determinato, con il segno della morte, un numero di persone comparabile con il resto d’Italia.

La  fede,  l’aiuto  della  Madonna  e  la  dimensione  soprannaturale  non  intervengono  necessariamente  sull’or-dine della natura, ma, con pari certezza, concedono a chi si affida a Dio la forza di resistere al male e la speranza necessaria per far bene la propria parte. Credo che non giovi a noi il senso di disfatta e di impotenza che si è diffuso nella Nazione più che altrove. La responsabilità della nostra gente ha suscitato riconoscenza verso la Madre di Dio, come nei momenti più difficili della nostra storia, dal prodigio del 1796 ad oggi.

Non siamo stati più bravi degli altri, ma molti dei nostri hanno pregato intensamente, affidando tutti al Signore – anche quelli che sono meno avvezzi ad appellarsi al soprannaturale –, perché insieme si ricomponesse quella comunità che connota il nostro popolo e quel clima di vicendevole aiuto che ha distinto i nostri operatori sanitari, mostrando che anche l’eroismo è ancora possibile.

  1. Dalla malattia si può guarire

Quando Israele antico, dopo sette settimane di anni, dalla schiavitù in Babilonia riuscì a ritornare a casa, solo con la poesia fu in grado di raccontare la terribile esperienza fatta. Lo fece perché non cadesse la memoria di quanta sofferenza siamo capaci di costruire insieme, quanta fatica per liberarcene e, soprattutto, quale coraggio per edificare il nuovo.

È una vicenda che si è ripetuta varie volte, dopo la grande guerra che aveva privato l’Europa di trentasette

milioni di giovani; poi la Shoah e tutte le altre sciagurate prove, che hanno indotto in giro per il mondo terrore e morte a centinaia di migliaia di persone.

Dall’inizio del ventesimo secolo ad oggi, occorre fare memoria per non dimenticare le vicissitudini drammatiche che ideologie, rivoluzioni, repressioni hanno segnato molte popolazioni e anche in queste ora stanno facendolo.

Con la pandemia da coronavirus è la prima volta che si riesce a mettere in sofferenza il mondo intero, conosciuto e meno, e a dover contare un numero esorbitante di morti, come neppure le guerre riuscirono a fare. Eppure, mai come prima, abbiamo visto una solidarietà larghissima che, senza guardare le frontiere politiche, ci ha fatto riscoprire tutti fratelli.

Guardando  avanti  con  fiducia,  come  quando  si  comincia a intravedere la luce alla fine del lungo tunnel che ci ha costretti a camminare nella speranza, realizziamo che anche il nostro tempo ha bisogno di una cultura nuova, non segnata soltanto dagli interessi di parte, ma capace di una visione d’insieme, come il Papa ci ha insegnato nella sua ultima Enciclica, “Fratelli tutti”.

  1. I semi di una cultura nuova da coltivare

Per la prima volta, c’è un largo consenso su alcuni punti fondamentali di questa vicenda di grande sofferenza. Nessuno ci ridarà indietro i nostri cari, anche perché il piccolo “nemico invisibile” venuto dalla Cina i danni li ha causati davvero. Sono elaborabili soltanto con la fede, che accomuna tutti noi credenti e la speranza certa che ci ritroveremo insieme, con i nostri, nella valle di Giosafat[1] .

Una seconda categoria che merita rispetto per il dolore subito e il male sopportato con fortezza sono i tanti

guariti, alcuni dei quali, in Arezzo come altrove, si sono già dati da fare per ringraziare il Signore e la Madonna, perché hanno dato supporto a chi era nella prova e sono venuti a capo di un percorso che sembrava a senso unico, orientato alla fine della vita.

C’è infine una categoria che ci rallegra molto e dona speranza  a  tutti:  i  medici,  che  non  si  sono  astenuti  dal prestare aiuto ai malati gravi, perché trovassero sollievo e vincessero i danni inflitti dal terribile virus. Sono ugualmente le tante espressioni del personale sanitario che ha curato e assistito chi era in preda al dolore, chi soffocava per il mancato funzionamento dell’organismo. Sono anche i  ricercatori  e  gli  scienziati  che  hanno  identificato  quali fossero le vie d’uscita per salvare il maggior numero possibile di persone dalla morte e, in tempi mai visti prima, hanno elaborato vaccini per bloccare il virus e perché la vis sanatrix naturae potesse recuperare le condizioni per riprendere vita.

Mi  piace  cogliere  in  questo  momento  l’occasione propizia per rinnovare la nostra vicinanza al Signore, per rinnovare la nostra Chiesa, che ritorni alla Sacra Scrittura come Maria, che capì la Volontà di Dio solo con la Bibbia in mano, e come, in Arezzo, è sempre raffigurata la Santissima Annunziata.

La fede viene prima della morale, che ne è la conseguenza. Dio conosce le nostre fragilità. Averne sperimentato il ritmo furibondo con l’infuriare della pandemia ci ha fatti più liberi: ha fatto venir meno tanti luoghi comuni.

Nella preghiera, ci siamo resi conto che nessuno ha diritto ad appropriarsi né di Dio né della sua Santissima

Madre, che da secoli, in Toscana, si chiama Madonna: Mea Domina.

Chiediamoci  ancora  una  volta  se  siamo  disposti  a metterci sotto la protezione di Maria nelle forme che il tempo presente richiede.  Fare evolvere la Pastorale della nostra Chiesa può essere uno dei punti positivi di questa terribile prova che abbiamo vinto. Anche nella fede, occorre andare avanti e passare il testimone ai nostri bambini e ai giovani che sono stati bravissimi, in questi mesi ristrettezze e limitazioni.

Alla considerazione comune di quanti mi furono affidati da San Giovanni Paolo II, venticinque anni fa – cattolici, cristiani d’ogni denominazione, ma anche credenti di altre religioni – convenuti in questa antica e bellissima terra “intra Tevero et Arno”, consegno questi pensieri, perché siano la ripresa di un dialogo da cui mi aspetto una nuova cultura del vivere insieme.

A tutti assicuro la mia preghiera e su tutti invoco la Benedizione del Signore.

[1] Cfr. Gioele 3,2

Comunicato Stampa

A nome del Santo Padre, la Penitenzieria Apostolica ha comunicato all’Arcivescovo che è stata concessa l’indulgenza plenaria a tutti coloro che visiteranno la Chiesa Cattedrale in occasione della Novena e della successiva Festa della Madonna del Conforto, alle consuete condizioni di confessarsi, comunicarsi, pregare secondo le intenzioni del Papa e fare un’opera di misericordia.


A tutta mirra

A TUTTA MIRRA

Con il progetto ‘’A tutta Mirra!’’ l’Azione Cattolica di Arezzo Cortona Sansepolcro propone un percorso per sostenere le parrocchie nella formazione dei gruppi giovanili in modo da rendere protagonisti attivi i ragazzi che ne fanno parte. Inoltre, per chi tra di loro volesse, il percorso permette di introdurre i ragazzi al servizio in parrocchia. Le date sono del tutto indicative ed è possibile attivare il percorso in ogni momento, modellandolo in base alle necessità parrocchiali. Siamo a disposizione per chiunque sia interessato!

Festa della Madonna del Conforto 2021

Sabato 6 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 10.00        Santa Messa con i volontari della Protezione Civile

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa con i Frati Minori e le Confraternite di Misericordia,

Gruppi Donatori di Sangue Fratres, Croce Rossa, Croce Bianca

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Domenica 7 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 16.00        Santa Messa animata dai cattolici di altre Nazioni presenti in Diocesi

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa con le parrocchie del Casentino

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Lunedì 8 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie del Valdarno

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Martedì 9 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie di Cortona-Castiglion Fiorentino

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Mercoledì 10 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie del Chianti e del Senese

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Giovedì 11 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 15.00        Giornata del Malato

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie di Arezzo

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Venerdì 12 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie della Valtiberina e dalle Caritas parrocchiali

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

ore 19. 30       Pellegrinaggio dei giovani

 

Sabato 13 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie della Val di Chiana

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Domenica 14 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 10.30        Santa Messa con gli sposi delle nozze d’oro e d’argento

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa con i Monaci benedettini di Camaldoli e

 le famiglie della Diocesi

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Lunedi 15 febbraio 2021

ore 06. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 10. 30       Santa Messa pontificale presieduta

dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità

Preghiera mariana

ore 14. 30       Rosario meditato fino alle ore 16.00

ore 17. 00       Secondi Vespri

ore 18. 00       Santa Messa solenne presieduta dall’Arcivescovo

Preghiera mariana

ore 20.00        Santa Messa

 

 

Secondo la tradizione, per favorire la partecipazione di tutto il popolo, le Sante Messe saranno celebrate anche alle ore 6.00, 7.00, 8.00, 9.00, 12.00, 16.00.

 

In Cattedrale

Domenica della Parola di Dio

Programma:

Ore 16, 30

Brani scelti eseguiti dal Coro gemellato di Sant’Eusebio in Cortona e di Santa Maria in Sansepolcro

Testimonianza sul tema “La Parola di Dio nella mia vita”

Ore 17, 15

Catechesi biblica dell’Arcivescovo sul Vangelo secondo Marco

Ore 18,00

Celebrazione Eucaristica


Omelia dell’Arcivescovo nella Chiesa Cattedrale

La Madonna di Loreto Pellegrina in Arezzo

14 gennaio 2021

 

Fratelli e sorelle nel Signore,

Dio ci conduce in questi tempi difficili

con il dono della sua Grazia!

 

 

  1. La presenza dell’Immagine di Nostra Signora, venerata a Loreto

La richiesta di Papa Francesco di far viaggiare per l’Italia la venerata immagine lauretana, nel Giubileo dell’affidamento del Corpo dell’Aeronautica Militare d’Italia alla Madonna, è un grande dono per la nostra Chiesa diocesana, che ha da sempre un forte legame con la Madre di Dio.

Questo pellegrinaggio porta con sé due Grazie particolari: il dono della speranza e il coraggio del nuovo.

Nel XIII secolo, il bosco della Loreta, pia e devota donna, accolse presso Recanati la casa di Maria. Nazareth, già occupata dai mammalucchi, non era più visitabile dai cristiani che, nei secoli – come, attraverso noi aretini, ci racconta Egeria –, usavano pellegrinare nei luoghi santi del Signore.

Una grande disgrazia per quei tempi antichi fu all’origine di una enorme risorsa spirituale di oggi. Loreto è luogo di preghiera e di speranza, soprattutto per gli infermi del corpo e dello spirito.

Da Pio II, l’intercessione di Maria Lauretana, venerata a Loreto, a molti fece recuperare la salute. Quanto agli insicuri nella vita interiore, in tanti siamo testimoni di come Papa Giovanni Paolo II, pellegrinando a Loreto, sia riuscito a toccare il cuore e la mente di migliaia di giovani che, a partire dal 1979, hanno rinnovato la Pastorale Giovanile nelle Chiese d’Italia con insperato impegno, invocato dal Papa Santo presso il Santuario lauretano della Madre di Dio.

Il Signore solo sa quanto abbiamo bisogno oggi di dare speranza alla gente, perché si esca dall’incubo della pandemia. La scienza ci ha dato grandi supporti, ma ancora manca il buon senso e la fiducia per uscire fuori, non già dal dominio dei mammalucchi ma dalla devastazione del coronavirus.

Santa Maria, ottieni anche per questa generazione la speranza, la virtù cristiana di essere certi che Dio non abbandona. Il tempo d’attesa è medicina provvida per suscitare ancora solidarietà tra la gente e respingere le strumentalizzazioni della povertà e del male fisico, per assurdi progetti di parte.

Il dono del coraggio è l’apertura verso il nuovo, perché nella società passi il buono, il bello e il giusto, cioè la ripresa degli ideali che devono sostenere la nostra Nazione in questo tempo, segnato dallo scoramento e da una navigazione a vista perfino di chi dovrebbe saper guidare gli altri.

La Madonna di Loreto che viene in terra aretina è il segno del conforto, perché nessuno si pieghi di fronte al peso del male e neppure si ingegni senza la progettualità alta che appartiene allo spirito umano ed è dono dello Spirito Santo.

 

 

  1. Santa Maria, Icona della Chiesa in cammino nel tempo

La riflessione medievale sulla Madre di Dio ha colto tre dimensioni, fortemente imitabili dal popolo cristiano anche del nostro tempo: Maria è la donna dell’ascolto, la discepola del Signore, Madre e Maestra della Chiesa.

A partire da Spinello Aretino, l’Annunciazione dell’Arcangelo a Maria viene descritta come un’esperienza profonda, avvenuta nel contesto della meditazione della Parola di Dio. La Madonna con la Bibbia in mano percepisce il messaggio che Dio le rivolge e, abituata allo Shemà, si accerta che venga dall’Altissimo quanto le viene proposto e risponde “Ecce Ancilla Domini”, cioè si rende disponibile a collaborare con Dio. È la condizione di tutta la Chiesa e di ogni cristiano, penso particolarmente ai genitori che hanno un bambino piccolo – con la fede si generano i figli alla fede e si fanno diventare membri della Chiesa, con un impegno pedagogico giornaliero, fino a che i piccoli, come le giovani aquile, non saranno in grado di spiccare il volo da soli.

Sant’Agostino dice che Maria generò il Figlio di Dio “prima nel suo cuore che nel grembo[1]. Maria è discepola di Gesù, perché lo segue dal suo concepimento fino al Calvario. Questo è il senso della pietà cristiana.

La “devozione” vera è farsi quotidianamente ascoltatori della Parola di Dio, leggendo con l’intento di capire ciò che il Vangelo dice; fermarsi per capire cosa dice a te. La risposta che gli darai nel capire la Parola è la preghiera, che è capace di farti superare i limiti che ciascuno di noi ha, laddove “virtù” è parola latina che vuol dire “fortezza”.

Pietro, gli Apostoli, le pie donne e i discepoli, come si direbbe oggi, “vanno in crisi” dopo la morte del Signore. Ragionano alla maniera umana: “Se al Santo è capitata la Croce, cosa faranno di noi?”.

Nel Cenacolo dove gli Apostoli si rinchiudono – che tentazione il ghettoismo –, Maria fa da riferimento, da Maestra della Chiesa che insegna a fidarsi di Gesù anche nel momento del pericolo.

 

  1. La vita del cristiano come pellegrinaggio verso la Santa Gerusalemme del Cielo

            Il Santo Padre Agostino insegna che ogni buon cristiano è un “homo viator”: “Sei un viandante, questa vita è soltanto una locanda. Serviti del denaro come il viandante si serve, alla locanda, della tavola, del bicchiere, del piatto, del letto, con animo distaccato da tutto[2]. Devi trascorrere gli anni della tua vita terrena come un viaggiatore, un turista che apprezza la pulizia della locanda, la squisitezza del cibo, la compagnia degli amici, l’amore che dà sapore all’esistenza.

Ma l’homo viator, immagine del cristiano, fa il suo cammino, giorno per giorno, godendo del buono, del giusto e del bello, lasciando traccia di sé con il bene che svolge al mondo, trasformandolo con il lavoro, rispondendo alla propria vocazione, sia esplicita che indiretta.

Il Vescovo d’Ippona insegna che sarebbe stolto il turista che si dimenticasse che a casa ci sono amori da non dimenticare, impegni da realizzare e, soprattutto, guadagni da incassare: la Gerusalemme del Cielo è la casa di ciascuno di noi, dove ci sono persone amate che ci attendono e, soprattutto, il frutto delle opere buone che abbiamo compiuto lungo il percorso della vita.

Questa esperienza della Madonna di Loreto in mezzo a noi è fonte di ulteriori Grazie per tutta la nostra Chiesa.

[1] Sant’Agostino, Sermone 215, 4.

[2] Sant’Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, 40, 10

 

 

Epifania del Signore 2021

XXV Anniversario di Ordinazione Episcopale del nostro Arcivescovo!

Omelia dell’Arcivescovo in Cattedrale, nel XXV della sua Ordinazione Episcopale

 

Venerati fratelli nell’Episcopato che generosamente siete a pregare quest’oggi con noi,

Cari sacerdoti del nostro presbiterio, Diaconi e Ministri qua convenuti:

il popolo di Dio ha voluto farsi presente nella Chiesa Cattedrale.

 

  1. Epifania, manifestazione del Cristo e della Chiesa

I Re del lontano Oriente, scrutando le stelle, trovarono Gesù. Anche il nostro tempo conosce un numero di persone in cerca del senso della vita, orientate potenzialmente a incontrare il Signore.

I Magi, giunti a Betlemme, furono le primizie del pellegrinaggio della fede che, di generazione in generazione, avvicina gli uomini a Cristo luce del mondo.

La Chiesa ha la missione di incontrare tutti. Vi sono quelli che hanno la grazia, fin dall’infanzia, di avere esperienza di Dio. Più complesso è non escludere nessuno, anche se certuni sono convinti di trovare ovunque nemici. La Scrittura ci insegna che uno solo è il nemico, tutti gli altri sono fratelli, ai quali proporre il Vangelo del Signore.

I cristiani d’oggi devono intercettare nelle incertezze della cultura liquida, i linguaggi giusti e le occasioni opportune per dialogare con gli uomini e le donne alla ricerca di Dio.

Credo che lo stile giusto sia quello di San Paolo sull’Areopago[1]. La nostra qualità di Apostoli, pellegrini insieme ai tanti abitanti della Terra, non ha strategie pastorali, non si avvale di opportunismi mediatici e neppure della ricerca di consenso. Ha rispetto verso tutti, non vuole prevaricare alcuno. Trae coraggio dal “dare ragione della propria speranza[2].

Quando il mio antico preside Carlo Maria Martini entrò, per la prima volta da Arcivescovo, nel Duomo di Milano, aveva in mano solo il Vangelo di Gesù, nella certezza che lo Spirito Santo sostiene la ricerca dei molti, servendosi del nostro ministero.

Oro, incenso e mirra, nella interpretazione dei Padri della Chiesa, significano la regalità di Cristo, cioè che Dio ha un progetto d’amore capace di rimettere insieme tutta l’umanità.

Sono tanti, anche tra i non cattolici, coloro che riconoscono la divinità di Gesù Signore, anche per vie non consuete, affascinati dalla persona di Lui, dalla bellezza del Vangelo, dalla coerenza della passione. Se riuscissimo a raccontare il Signore senza il peso delle strutture della storia, troveremo facilmente attenzione anche in quella parte non indifferente dell’Islam contemporaneo, che è venuto a vivere da noi.

La mirra delle sepolture esprime che, senza sacrificare qualcosa, anche nelle rinunce di questo tempo di pandemia, non si esce dalla cultura pagana, non si propone un nuovo umanesimo cristiano, “Evangelium sine glossa” predicato da San Francesco e dai Santi riformatori della Chiesa medievale.

I Santi Magi sono l’icona dell’incontro sempre possibile con il mondo che “viene da lontano”, ma è interessato come noi alla ricerca del buono, del giusto e del bello. La Chiesa è chiamata ad accogliere tutti, a mostrare Gesù come Maria, la Madre di Dio, e come Giuseppe, custode del Signore e del suo progetto.

 

  1. Il Rapporto Chiesa mondo, la Chiesa aggregata per comunità e ministeri

La Dottrina agostiniana dell’Ecclesiologia di Comunione, con il Concilio Vaticano II, tornò ad essere un irrinunziabile punto di riferimento. Nella Chiesa non ci sono spettatori, ciascuno di noi ha un ruolo, una vocazione.

Già i Padri Apostolici, nell’analogia tra Chiesa ed Eucarestia, affermavano che non si dà il pane se non dopo aver raccolto il grano, che va macinato e reso compatto con l’acqua. Il pane per essere pronto a sfamare, deve passare attraverso il fuoco.

Sant’Agostino, illustrando l’Eucarestia e spiegando la Chiesa, insegna “voi stessi siete quel che ricevete[3].

Venticinque anni fa, in questo stesso giorno, Papa Giovanni Paolo, prima di ordinarci Vescovi, ci esortava a ricordare: “con l’Episcopato, carissimi fratelli, Voi diventate in pienezza custodi del Grande Mistero, Amministratori di quella Rivelazione di cui parla Paolo nella Lettera agli Efesini… Ogni Vescovo è Ministro dei Misteri di Dio… nel quale Dio rivela se stesso, si avvicina agli uomini, li cerca, conduce ciascuno nella Comunità della Chiesa sul cammino della fede[4].

Anche oggi, custodire il Mistero non significa nasconderlo, ma trasmetterlo in risposta alla vocazione alla fede di tutti i popoli della Terra. La complessità del Ministero del Vescovo è trovare, assieme al Presbiterio e alla Chiesa che gli è affidata, i modi, i tempi, il linguaggio giusto per avvicinare gli uomini del nostro tempo e far scoprire loro che Dio è vicino.

Già Isaia Profeta ci avverte che lo Spirito Santo muove i cuori di ogni generazione e ci invita a guardare con coraggio la realtà, perché Dio si fa presente alle interiorità delle persone e, ancor prima che arriviamo noi, infrange i muri del pregiudizio e costruisce i ponti. La Chiesa è un sistema infinito di relazioni, di dialogo, perché è frutto della Parola.

A noi che annunziamo il Vangelo, ci è solo chiesto di accogliere: “I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio[5].

Il Santo Vescovo di Roma che mi ha ordinato, mettendo in pratica i principi di Gaudium et Spes ci ha mostrato nei fatti che il rapporto tra la Chiesa e la comunità umana non devono essere necessariamente conflittuali, anzi, nella ricerca della verità che appartiene a tutti gli uomini e le donne dabbene, dobbiamo ritrovare la via dell’unità. Come insegna l’Aquinate, “Sacerdos propter populum[6]. Non una Chiesa autoreferenziale che giudica e sentenzia, ma popolo di Dio che aggrega con l’esempio, convince con l’Annunzio della parola bella, l’Evangelo che indica, come possibile, un mondo migliore.

Con i Vescovi ordinati insieme a me siamo cresciuti con questa missione da realizzare, che significa necessariamente cambiamento. Lo è già nei discorsi programmatici dei Papi, ma lo deve essere nel rinnovamento di ogni Chiesa particolare. Occorre apprezzare tutto: i Padri hanno fatto giungere fino a noi la fede, ma la Chiesa ci chiede di far fiorire i doni dello Spirito nel servizio quotidiano. “Non recuso laborem”, come disse Martino di Tours, pur stanco delle fatiche, ma desideroso di completare l’opera che Dio gli aveva affidato.

Papa Giovanni Paolo, che ebbi l’onore di servire per anni, a tutti noi Vescovi appena ordinati chiese di non cercare l’applauso, il successo personale, ma, piuttosto, di guidare il popolo sulla faticosa via del rinnovamento. Scriveva Gregorio Magno: “Spesso pastori non impegnati e in preda a paura di perdere il favore popolare non osano proclamare liberamente la verità e, come avverte la Verità stessa, non provvedono alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma a guisa di mercenari, perché al sopraggiungere del lupo si danno alla fuga, nascondendosi nel loro silenzio[7].

Papa Giovanni Paolo, dopo avermi consegnato il pastorale con la formula di rito “Regere et gubernare Ecclesiam Dei[8], conoscendomi personalmente, mi dette un prezioso mandato: “fallo, che lo sai fare!”. Tutte le volte che è stato necessario andare controcorrente, mi sono tornate alla mente le parole del Santo, padre del mio episcopato.

 

  1. San Giovanni Paolo II e il servizio nella Chiesa

In questi giorni, mi sono tornate alla mente alcune immagini evangeliche che hanno segnato il mio cammino, nella quotidiana ricerca di equilibrio tra l’essere e l’agire: è la presenza all’aratro nel Santo campicello del Signore, accanto alla gente: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio»[9].

Uscendo da Pisa, mia Chiesa madre, raccolsi, come icona del servizio episcopale, la formella che Bonanno Pisano aveva illustrato con la lavanda dei piedi. Non sono riuscito a essergli fedele, ma l’intenzione era quella di offrire prossimità alla gente, ai piccoli, ai poveri, ai malati e ai senza lavoro. [Il pastore] non solo coltivi nell’anima retti pensieri, ma… inviti chi lo osserva a raggiungere i più alti traguardi. Non abbia desiderio dei successi di questa vita né timore della avversità, si opponga alle lusinghe del mondo tenendo conto di ciò che nell’intimo dà terrore e ne disprezzi le paure seguendo l’attrattiva delle interiori dolcezze[10].

Avrei certamente potuto fare di più e fare meglio. Molti ricordi mi tornano alla mente: sono storie di grandi sofferenze, una specie di scuola che ho frequentato e che mi ha arricchito. Ho il dovere di ricordarne almeno alcune, per dire grazie ai tanti che mi hanno aiutato a crescere un po’ con la loro amicizia e credendo che la collaborazione è un dono della Divina Provvidenza. Negli altri ho potuto vedere la forza della fede e la bellezza della Chiesa: è un grande onore poterla servire.

Il 26 settembre 1997, nel cuore della notte, il popolo mi ha fatto capire che era doveroso e bello essere in mezzo ai terremotati di Verchiano. Poi il laicato della mia Chiesa mi chiamò a mettere mano alla mensa e al dormitorio di Spoleto e alla fattoria della Misericordia di Eggi per provare a dar da mangiare a chi non aveva nulla; ma soprattutto per trasformare i più miseri, abituati a essere di peso agli altri, a diventar capaci, con dignità, di regalare la verdura e la frutta a tutte le case della Caritas in Umbria. Che bella la comunione tra le 8 Chiese sorelle della terra dei Santi Benedetto e Francesco! Poi la presenza in Macedonia e in Kosovo, durante la guerra, in fraternità con il Vescovo Marco che reggeva quella Chiesa. Di nuovo in Thailandia per conto di Caritas Italiana in aiuto delle vittime dello tsunami: tornare dove ero stato diplomatico a portare il segno della carità delle Chiese italiane ai pastori dei pescatori senza terra, rifugiati di cui pochi sanno. La CEI per molti anni mi ha inviato in Palestina con la Holy Land Coordination, rappresentando i Vescovi italiani, in quei luoghi dove la pace non riesce a durate.

Arrivato ad Arezzo, al Sindaco che mi accoglieva in Piazza, chiesi la cittadinanza. Non fu un gesto formale, ma la scelta di mettermi dalla parte degli immigrati, assieme all’impegno di spendere per attivare servizi, perché fosse chiaro che la Chiesa punta su dare lavoro, non a fare soldi.

La Caritas, in questi anni, è stata la nostra pupilla dell’occhio. Con l’aiuto di Papa Francesco, le Case Amoris Lætitia sono diventate realtà, assieme agli oratori e alle Unità Pastorali.

Ringrazio Dio per avermi voluto partecipe del sacerdozio di Cristo e successore degli Apostoli. La centralità della Parola di Dio e la piena sintonia con il Vescovo di Roma sono le mie gioie, accanto alla consapevolezza di quanto purtroppo sono inadeguato come Ministro della Misericordia, ma ho con me un Presbiterio favoloso e multiforme, che assicura la vicinanza alla gente, la vita sacramentale e anche la ripresa di una cultura significativa nelle scienze teologiche dei nostri coraggiosi giovani preti, ma disposti a condividere la vita dei nostri poveri.

La luce di Cristo illumina il cammino di questa Chiesa che è bellissima, anche se costretta a misurarsi con sfide dure e comuni con le Chiese sorelle. Viva Iddio siamo cattolici!

La scelta, raccomandata dal Papa di puntare sul laicato, ha generato il nostro Sinodo i cui frutti sempre più risplendono, con l’impegno di molti e la condivisione di una Chiesa fondata sulla comunione.

Talvolta tocca camminare in mezzo alla notte di cui Isaia 62 ci ha parlato, ma risuona comunque il grido dei pastori, dei Magi e di tutti i credenti in ogni epoca: “Christus apparuit nobis, venite adoremus![11].

[1] Cfr. At 17, 22

[2] 1Pt 3, 15

[3] Sant’Agostino, Discorso 229/a, 1-2

[4] San Giovanni Paolo II, omelia all’Ordinazione Episcopale nella Solennità dell’Epifania, 6 gennaio 1996

[5] Is 60, 4

[6] S.Th.Aquin. S.Th. III, q.82, a.3  «sacerdos constituitur medius inter Deum et populum. Unde, sicut ad eum pertinet dona populi Deo offerre, ita ad eum pertinet dona sanctificata divinitus populo tradere».

[7] Gregorio Magno, Regola Pastorale, Parte Seconda, Capitolo IV, Città Nuova Editrice, p.45

[8] Pontificale Romano, Ordinazione del Vescovo, n.59

[9] Lc 9,62

[10] Gregorio Magno, Regola Pastorale, Parte Seconda, Capitolo III, Città Nuova Editrice, p.41

[11] Ufficio delle Letture dell’Epifania, Invitatorio