Il 15 febbraio 1796 una piccola Immagine in terracotta raffigurante la beata Vergine Maria di Provenzano (Siena), posta in un angusto locale adibito dai monaci camaldolesi a spaccio di vino per i poveri, prodigiosamente da sporca e grommata che era divenne istantaneamente pulitissima e splendente, mentre alcuni devoti popolani vi pregavano innanzi per chiedere la cessazione dei ripetuti eventi sismici che da giorni sconvolgevano la Città e il contado di Arezzo. 
Il Vescovo Niccolò Marcacci, appurata processualmente la veridicità dei fatti, fece trasportare l’Immagine in Cattedrale. La fama del prodigio si diffuse rapidamente, corroborata da successivi, evidenti e strepitosi miracoli di guarigione.
Nello medesimo anno, per volontà del Vescovo e del Granduca di Toscana, fu iniziata la monumentale Cappella (comunicante con la Cattedrale mediante l’abbattimento di una intera parete laterale di questa), capolavoro dello stile neoclassico sia nelle strutture che negli arredi, la costruzione della quale fu sostenuta con entusiasmo dalle popolazioni della Diocesi, che iniziarono a invocare la Madre di Dio sotto il titolo di “Madonna del Conforto”.
Negli anni della susseguente dominazione francese, il culto della Madonna del Conforto divenne per tutta la Toscana la bandiera delle lotte popolari per la libertà.
Nel maggio 1805 il Papa Pio VII, di ritorno a Roma dalla Francia, venerò la Madonna del Conforto, arricchendone il culto di grazie spirituali. Il beato P io IX volle donare un prezioso calice, che tutt’ora vi si conserva. Il 15 febbraio 1896 l’Immagine fu incoronata dal Capitolo vaticano.
I vescovi aretini favorirono sempre la devozione mariana espressa sotto questo titolo e immagini della Madonna del Conforto sono diffuse fin dalla prima ora in molte località della Diocesi aretina e di quelle cortonese e biturgense.
Il 15 febbraio di ogni anno e i nove giorni precedenti i fedeli accorrono numerosissimi da ogni parte della Diocesi per la preghiera, la catechesi e per accostarsi alla Confessione e alla Santa Comunione.
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