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15 febbraio 2021

Omelia dell’Arcivescovo nel giorno della Festa della Madonna del Conforto

Fratelli e Sorelle

il Signore ci dia pace

in questo giorno santo!

 

Accanto a Gesù, nel Paradiso dei Santi, è assunta in corpo e anima la Madonna, che non cessa di esercitare il ruolo di Madre verso gli uomini e le donne della Terra. Il Cristo in Croce affidò a lei questo singolarissimo compito per rendere manifesto nel tempo l’amore di Dio a ciascuno di noi.

 

  1. La Madonna è capace di confortare, perché ascolta

La Vergine di Nazareth, fin dal suo primo comparire nel Vangelo, ha dato prova della sua capacità di ascolto. Con la Parola di Dio in mano, di fronte all’Arcangelo Gabriele, che per conto dell’Altissimo le chiedeva collaborazione per soccorrere le persone ridotte in difficoltà dalla superbia del peccato, si fece pronta alla maternità di Gesù e di tutti i suoi fratelli, cioè noi cristiani che vogliamo raccogliere il Vangelo.

Durante gli anni, da Betlemme al Calvario, non si separò mai dal Figlio di Dio – grazie a lei, diventato anche Figlio dell’Uomo. Sobria, essenziale, ricevette dal Cristo la qualifica di Donna dell’ascolto: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica[1]. Un ascolto efficace, come quando a lei ti rivolgi e chiedi aiuto e sei certo che non si ferma alle apparenze, ma aiuta a risolvere.

Dopo la Resurrezione, alla Chiesa nascente, impaurita dalla Croce, è lei che si fa presente nel Cenacolo, ascolta e conforta ricordando la promessa che Dio non abbandona nessuno.

L’antico pittore provenzale, Guillaume de Marcillat, ha istoriato il rosone maggiore di questa Cattedrale, raccontando Maria, il giorno di Pentecoste, provvida accanto agli Apostoli e amici di Gesù.

 

  1. Il conforto diventa coraggio

Tutta la gente in Terra d’Arezzo sa bene che, in questo stesso giorno, durante un terribile terremoto che aveva provocato paure e sgomento, fame e miseria, la Madre di Dio invocata intervenne. Il mio grande predecessore Agostino Albergotti racconta questa Chiesa diocesana “ad pedes almae nostrae Virginis Mariae Consolatricis”. Questa Chiesa è profondamente legata alla Madre di Dio che, attraverso i secoli, non cessa mai di essere di conforto.

Il nostro Vescovo Niccolò Marcacci, otto giorni dopo il noto prodigio di Via Vecchia, scrive ai Vescovi del Granducato che Dio ha fatto il grande miracolo: far ritornare in chiesa gli aretini, cioè far loro riassumere presenza e responsabilità nella nostra Arezzo.

Il modo con cui la Madonna consola non sta in strepitosi atti che sovvertono l’ordine della natura.  Induce tutti noi a recuperare il rapporto con Dio, facendosi attore della nostra Terra, non più suddito e neppure muto gregge, ma popolo credente, popolo di Dio.

Tu vieni a rinnovare la tua fiducia in Dio e con ciò stesso ti svincoli dalle preoccupazioni del tempo e, recuperando la qualità di figlio, ti fai libero; ritrovi il coraggio di fare la tua parte nel mondo, nella tua vita personale, ma anche nel tuo impegno nel sociale.

So bene che pare un’utopia difficilmente realizzabile anche solo concepire Arezzo come una comunità vera, ma questa è la Festa del risveglio possibile.

Questo giorno nelle brume dell’inverno serve per fermarci: stare per pensare e ricominciare da capo. È un’operazione riconducibile alla Madonna. Avviene nel segreto delle coscienze, dove a nessuno è lecito entrare, se non alla persona stessa e a Dio.

Il conforto viene dalla qualità. Ti rendi conto di essere una persona amata da Dio, qualunque siano i tuoi meriti o i tuoi sbagli fatti finora. Il conforto di Maria, Madre della Chiesa, è d’essere disposta sempre ad accogliere, pronta a ridarti fede e coraggio.

 

  1. Il conforto di Maria è ritrovare Cristo, per rinnovare la comunità aretina

Il processo interiore del conforto, che siamo certi di riconoscere in Maria, si fonda nel diventare anche noi capaci di ascolto. Ascolto di Dio che ci parla con la sua Parola; ascolto degli altri che hanno bisogno del nostro amore, che si fa carità; ascolto di noi stessi, che è la via dell’interiorizzazione, sicuro fondamento della pietà cristiana.

La Madre di Dio assume, nella tradizione biblica, il ruolo della Ghebirà, cioè la Madre del Re vincitore che intercede per i bisogni dei poveri. È, al tempo stesso, la Madre della Chiesa che, accanto e in continuo dialogo con il Cristo, torna a ridarci fiducia, ogni volta che umilmente ci rivolgiamo a lei.

Il popolo che, di fronte ai mali che ci rattristano in questo tempo di pandemia, non ha cessato mai un solo giorno di invocare il suo aiuto. Sa di poter contare sulla Madre che ascolta, Madre che interviene, Madre mediatrice della Grazia divina.

Dalla situazione di emergenza in cui siamo, si esce certamente. Occorre tuttavia non già ricostruire ciò che è andato perduto, ma fare comunità perché tutti insieme possiamo costruire una pagina nuova della storia, quella universale ma anche quella aretina.

Il Papa ci invita a riconoscerci fratelli tutti. Nella Scrittura, chi divide è il diavolo, che accusa, rifugge dal bene comune e produce ogni contrapposizione.

Questa Chiesa Cattedrale, visibile da tutta Arezzo, è il segno dell’unità possibile. Fatta da milioni di pietre, ci ricorda che c’è posto per tutti e che il sogno diventa realtà se, con l’aiuto di Maria Madre del nostro Conforto, che è Gesù, ci impegneremo a rimuovere le asperità che dividono e a trovare quella comunicazione essenziale e provvida, che riesce a farci un unico soggetto capace di meraviglie.

 

[1] Lc 11,27-28

Lettera alle famiglie della Diocesi

Lettera dell’Arcivescovo alle famiglie della Chiesa aretina

 

  1. La pandemia ha fatto evidenziare la fragilità dei singoli

Appena di ritorno da Roma, dove aveva dato prova di sé sotto la guida del Beato Angelico, a Benozzo Gozzoli fu chiesto di affrescare la Cappella Maggiore della Chiesa di San Francesco a Montefalco, con le storie del Poverello d’Assisi. Benozzo aveva una straordinaria capacità di far attraverso le sue pitture.

A dar buona prova di sé alla prima opera in Umbria, Benozzo scelse la tematica illustrata da Giotto nella Basilica Superiore e, tra le opere compiute da San Francesco, anche l’artista racconta la cacciata dei diavoli da Arezzo.

La tematica è palese: qual è la causa del male che affligge ogni civitas? Il giovane pittore si avvale delle sue competenze. Intanto, i diavoli possono essere cacciati, non con riti esoterici ma con la Parola di Dio e la qualità della Chiesa, che esprimono la Santità di chi prova ad aiutare la gente per amore di Gesù.

Da una parte una città arroccata e chiusa in se stessa, dalle forme rigide e geometriche e dai colori freddi; nell’opposto comparto, una natura umanizzata, bella e fiorita che accoglie frate Francesco e frate Silvestro[1]e dà modo di rimettere insieme gli aretini. La communitas, che trae origine dall’aiuto di Dio, è la grande medicina per sconfiggere i mali del tempo, che seguitano ad essere la superbia, l’invidia, la violenza come

all’inizio del Libro della Genesi. Quello appena passato è stato un anno difficile. Le prime avvisaglie di quanto sarebbe successo le abbiamo viste subito dopo la Festa della Madonna del Conforto dello scorso anno.

Forse, in qualche modo, è stato sottovalutato il rischio, il dolore che ne conseguiva, le difficoltà di rispondere a una sfida inedita.

La cosiddetta “spagnola”, tra il 1918 e il 1920, era stata l’ultima epidemia a seminare lutti e paure in un Occidente disinteressato di quello che succedesse altrove.

Siamo passati attraverso anche la  “supponenza” di chi era convinto che la cultura del nostro tempo, pur nella medicina che in questo secolo ha fatto passi da gigante, avrebbe saputo certamente trovare la soluzione perfino al nuovo “esserino”, chiamato con quel nome strano, “Covid-19”.

L’approccio al nuovo avveniva con ragionamenti che della filosofia avevano soltanto l’apparenza, ma non la riflessione, la ricerca del vero, la capacità di relativizzare l’oggetto del discutere, cioè la qualità.

Poi, sono subentrate subito l’economia e la politica, come due sorelle siamesi, inseparabili, soprattutto quando una sorta di dogmatismo laico, da troppo tempo, non metteva in discussione il nostro stile di vita, il colonialismo statunitense, l’assoluto identificato con la soddisfazione dei sensi e il denaro messo a disposizione di chi, per ricchezza o per lavoro, ha goduto di un mutamento sociologico. Per ritrovare situazioni analoghe, bisogna andare molto indietro, ma questa operazione retroattiva non serve a granché, se non a far pensare. Per esempio, l’Impero Romano cedette di fronte al nuovo che avanzava, perché erano andate perdute le virtù repubblicane.

Cambiare lo stile di vita, fino all’anno scorso, era lo spettro con cui la maggior parte della gente – forse anche noi cristiani – cercava di non misurarsi o quantomeno di rimuoverlo dalla considerazione degli auditel. Noi, che siamo Chiesa, laici e chierici insieme, non abbiamo saputo e forse neppure voluto dare spazio a questa riflessione. La parabola “del ricco Epulone e del povero Lazzaro”[2]inquietava solo i migliori, i missionari e i Papi. A qualcuno davano noia, con dire evangelico, anche i poveri lazzeri, arrivati nella ricca Europa a crear fastidi e a mettere in discussione i benpensanti e l’establishment intero.

Il confronto tra giustizia e carità è stato confinato ad essere un argomento accademico, rifuggito dalla politica e perfino poco praticato dai predicatori.

La pagina successiva è stata la grandine di morti che ci ha fatto riflettere, anche piangere. Qualcuno ha ritrovato il verso di pregare per recuperare almeno l’essenziale.

Parte della nostra popolazione si è attardata, disquisendo, con rinnovato bizantinismo, se sia più importante salvare i profitti o la vita altrui, almeno fin quando i corpi esanimi, le salme dei nonni sono andate perdute, generando sofferenze, rimpianti e, nei più attenti, qualche senso di colpa.

  1. Il dialogo tra i membri della famiglia

In questo sovvertimento globalizzato dobbiamo renderci conto che la famiglia ha tenuto. Forse, qualche volta ci eravamo dimenticati che i matrimoni cristiani hanno una bellissima funzione di buon esempio, non perché siano necessariamente migliori degli altri, ma perché, perlomeno, rispondono a una proposta alta che aiuta tutti, sia quelli a cui riesce metterla in pratica, che pure quelli per i quali non abbiamo cercato i modi giusti per cogliere l’identità propria del Matrimonio secondo il Vangelo.

Pare che quello dei cristiani sia sempre e solo un sistema di divieti, di condizionamenti, di sacrifici e di repressioni, ma non è per niente così. Una storia d’amore ha un suo linguaggio proprio che accomuna il linguaggio dei corpi, pur nel rispetto delle persone. La nostra popolazione, anche tempestata da una continua ripetizione di modelli antitetici, si sta facendo attenta alla bellezza di storie d’amore che durano per l’eternità, come quelle degli sposi innamorati. Non è utopia, ma parte della fede cattolica.

Anche in materia matrimoniale, è doveroso distinguere tra fede e morale. In questo tempo siamo tentati di giudicare i comportamenti e meno a capire le motivazioni. La fede viene prima della morale.

Certamente la coerenza vorrebbe  che  alle  parole  corrispondessero i fatti, ai segni i contenuti, ma la logica non è la misura della realtà. La Chiesa, se vuole essere fedele al suo Signore, deve vivere di misericordia, far conoscere il progetto di Dio e aiutare tutti ad essere felici.

I comportamenti di molta  gente  vengono  determinati oggi da una sorta di cultura dominante che afferma se stessa e, poco per volta, trasforma la medesima autoconsapevolezza di essere persone.

Un grande studioso della Filosofia del Diritto, nel secolo scorso, ragionava attorno a tre monosillabi latini, mos, ius, lex: consuetudine, diritto e legge. A seconda di come combini le precedenze tra questi tre concetti, cambia il mondo intero. È dalla coerenza con i comportamenti diffusi che deriva la giustezza del tuo operare fino a stigmatizzarlo come doveroso modo di vita? Oppure: il principio, astratto da non si sa chi, deve diventare norma di vita accettata dai più? E infine: in una storia d’amore può esserci una norma che determina i comportamenti di tutti, fino a farli diventare misura condivisa?

Una delle differenze sostanziali tra paganesimo e fede cristiana sta appunto in una storia d’amore di Dio che chiama un uomo e una donna a condividere la strada della vita. “Si intrattiene con essi per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”[3] . Genereranno figli e figlie fino a progettare il mondo futuro sulla scorta di un rapporto personale con il Signore, sempre recuperabile, come quello descritto in Genesi,  quando  cioè ogni giorno Dio si intrattiene amabilmente con l’uomo e la donna, ascoltandoli e aiutandoli a fare storia.

La novità del cristianesimo, di fronte alla visione pagana del mondo, si ripropone ad ogni generazione. Proprio perché l’uomo e la donna sono persone libere, devono scegliere quale sia la strada che vogliono percorrere, puntando sempre sulla pazienza di Dio, che è ben raffigurata dalla fede di Israele: il padre che accoglie comunque i figli, li ama, è pronto ad aiutarli. Da quest’ultima visione del mondo si manifesta la sacramentalità del Matrimonio. L’idea, invece, che l’uomo e la donna siano due persone sole che inventano una storia, ogni volta a rischio, appartiene alla letteratura d’oltreoceano, dove il fascino della conquista spesso prevale sulla bellezza di una esperienza d’amore, per la quale vale la pena di giocarsi tutto.

Il coraggio dei giovani che si sposano e magari anche fanno figli è alternativo al pensiero comune. È un lento, moderato ripensamento: quanta minore sarà la retorica nel rappresentarlo, tanto più può diventare avvincente perché reale. È frutto di un’antropologia non inventata, né pretenziosa: è l’eco della storia che conforta ancora oggi, soprattutto se illuminata dalla fede.

Questo  tempo  di  pandemia  ha  fatto  sperimentare  alla gente un dolore amarissimo per la perdita quasi improvvisa dei vecchi, senza la certa speranza cristiana di ritrovarli nel giorno del Signore. Figli e nipoti sono stati provati nei loro affetti più semplici dalla dipartita dei nonni.  Anche in Arezzo, fino a poco tempo fa, si risolveva l’alternarsi delle generazioni con il meccanicismo e, in questa terra, “intra Tevero et Arno”[4], ricca di fondamentali memorie, si era giunti al disinteresse per gli altri, tutti concentrati al proprio tornaconto.

Solo qualche anno fa, uno dei nostri valenti parroci aveva avviato una sorta di confraternita per assistere alle esequie di chi, magari troppo vecchio o poco “interessante”, non riusciva ad avere neanche i figli al funerale. Il grande sovvertimento di questi mesi, ci offre l’occasione per ripensare ai fondamentali dell’esistenza umana e, tra questi, al significato e al valore della famiglia.

I cultori di altre scienze da tempo fanno rilevare la relazione che esiste tra le generazioni. In questo complesso di storie particolari si costruisce l’identità di un territorio. L’esperienza dei capifamiglia chiamati all’arengo – la grande assemblea di uguali – “in Piazza Grande” a decidere sulle questioni comuni resta sì lontana nel tempo, ma manifesta un’esigenza ancora presente. Non si riesce a parlare di insieme, senza la famiglia. Non c’è Chiesa, senza di voi famiglie cristiane, ma non c’è neppure la società civile, che, almeno nella nostra visione del mondo, non è la contrapposizione di singoli che si scontrano, ma la bellezza di storie d’amore che fioriscono, durano nel tempo, generano il futuro e si addormentano nella speranza di trovarci insieme, non già entro le mura del Tarlati, ma dentro la Gerusalemme del Cielo.

In  questo  tempo  difficile,  la  nostra  Chiesa  vuol  dire  il grande apprezzamento e il bisogno che ha delle famiglie, non già come soggetti perfetti, ma come popolo in cammino: non come aggregazioni fiscalmente rilevanti, ma come risorsa culturale che sopravvive alle difficoltà del presente.

La Chiesa aretina vuole dire grazie a tutte le famiglie che in essa si sono aggregate. Forse, sarà il tempo di riavviare una riflessione comune sulle distinzioni giuridiche elaborate quasi cento anni fa. Lo Stato e la Chiesa hanno entrambi interesse per la famiglia, che va comunque favorita e rispettata. Dalle finestre della casa del Vescovo, mi capita a volte di vedere coppie di giovani sposi che escono dal Comune, dove hanno sottoscritto la loro voglia di diventare una famiglia, e salgono le gradinate del Duomo per andare a fissare con la luce negli occhi la loro presenza presso la Madonna del Conforto. Questo fenomeno merita di essere approfondito, giacché l’identità del Matrimonio cristiano non è un problema di luoghi, ancor meno di stereotipi, ma il Sacramento che si esprime nell’amore vicendevole, aperto alla generazione della vita, durevole e unico nel tempo, in se stesso indivisibile. Non è solo un contratto, ma un Sacramento.

Credo che la Chiesa debba riavviare il dialogo con tutti e saper fare la profezia di distinguere tra le forme e la sostanza. Questi giorni di prova amara ci hanno fatto riconoscere il valore di vivere in famiglia, forse facendo riscoprire ai più giovani l’importanza della maternità e della paternità, il modello ideale di essere fratello e sorella che, anche scontrandosi sul caso particolare, si riconoscono in un vincolo familiare, che non è solo anagrafico.

  1. La famiglia, luogo della vita secondo lo Spirito

In questo tempo complicato che ha segnato le relazioni, cari cristiani della nostra Chiesa in terra d’Arezzo, la famiglia è stato uno dei pochi elementi vincenti. Non si è trattato soltanto di una sorta di prova del fuoco a cui la Nazione si è sottoposta. Il risultato comunque è positivo, il nucleo familiare ha ritrovato il modo di scoprirsi ancora capace di elaborare le difficoltà e, per di più, lo ha fatto con amore.

La prova e il dolore sono stati di tutti i membri, seppur con diversa consapevolezza. Gli anziani con rimpianto, gli adulti con dolore; i ragazzi, pur messi alla prova soprattutto per la mancanza di scuola e di sport, hanno reagito tendenzialmente assai bene.

Questa esperienza ci ha fatto ricavare non solo un positivo resoconto delle sfide superate, ma, soprattutto, una missione per il futuro dei cristiani che possono essere Annuncio del Vangelo nel loro stare bene insieme.

Venendo dalla Patria di San Benedetto dove venticinque anni fa ho avviato il mio Ministero Episcopale, mi viene spontaneo ricordare che uno dei maggiori Padri della cultura dell’Occidente ci insegna che la convivenza pacifica richiede alcune scelte di base. Non si sta bene se non si è prima di tutto in pace con se stessi, se cioè non si è capaci di consapevolezza e responsabilità. Ciascuno di noi ha delle doti invidiabili, nessuno di noi è senza fragilità o difetti.

Dio si fa pietra di paragone, perché il rapporto con lui diventa misura della capacità di essere beati costruttori di pace con gli altri.

Cinquanta anni fa Harvey Cox pubblicava a New York uno studio veramente provocatorio, dal titolo “La teologia della morte di Dio”. Purtroppo, in questo mezzo secolo abbiamo visto una lunga litania di eventi in cui è doveroso chiederci che razza di uomo abbiamo. Alla famiglia è chiesto di recuperare il rapporto con Dio, ciascuno con il proprio stile, perché non muoia l’uomo, unico soggetto creato capace di sperare.

Gli eventi terribili dei mesi passati ci hanno fatto percepire che il rapporto con gli altri non può essere costituito soltanto da elementi funzionali. Non c’è comunità vera che non parta dal modello familiare, accettato o criticato, riproposto o stigmatizzato. La famiglia è come il calendario con i suoi mesi: cambiano i contesti, ma in casa si misurano le stagioni della vita e anche la nostra generazione non può ignorare questo passaggio.

Vorrei  che  questa  Festa  della  Madonna  del  Conforto in piena pandemia fosse l’occasione perché tutte le famiglie si rendessero conto del grande dono che sono le vicende d’amore e che tutti i cristiani tornassero ad avviare una riflessione corale sull’essere figli di Dio, in ogni realtà che nasce da una

storia matrimoniale.

Il lavoro che manca, nella crudezza della situazione attuale, ci obbliga a dare attenzione a quanti studiosi ragionano, in questo tempo, dell’economia sostenibile. Siamo venuti fuori dalle ideologie. Occorre uscire dalle inutili contrapposizioni, soprattutto da quella non ignorabile tra il profitto e i diritti della persona umana. Il lavoro non può essere mai obliato. Bisogna ritrovare pace con questa dimensione dell’essere.

Da ultimo,  mi  piacerebbe  che,  ragionando  di  famiglia, chiedessimo alla Madonna di insegnarci a trasformare il mondo,  non  a  rovinarlo.  Le  Nozze  di  Cana,  tra  le  tante  valenze scritturistiche che sono state attribuite a questo episodio della vita di Cristo, potrebbero essere il segno che, come Vescovo,

torno a proporre alla mia Chiesa.  Su una delle poche parole di Maria nel Vangelo c’è scritto: “Fate quello che Egli, Gesù, vi dirà”, allora  l’acqua  del  pianto  potrà  ancora  trasformarsi  nel  vino

della gioia.

[1] Celano, Vita Seconda, Cap. 74, in FF 695

[2] Lc 16,19-31

[3] Costituzione Dogmatica Sulla Divina Rivelazione, I, 2

[4]  Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, IX, 106

Lettera ai giovani della Diocesi

Lettera dell’Arcivescovo ai giovani della Chiesa aretina

Miei cari giovani amici,

1. Sono rimasto incantato a vedere l’approccio positivo che molti di voi hanno avuto nei confronti delle difficoltà attuali, causate dai contagi. Non è stata poca cosa in questi mesi il cambiamento delle consuetudini del mondo giovanile, soprattutto – mi pare – in tre ambiti molto delicati: la limitazione della libertà di movimento a cui non eravate certo abituati; la rivoluzione del sistema scolastico, che in genere vi ha visti collaborativi pur con molto sacrificio; il rapporto ravvicinato con la famiglia, che un tempo era scontato, ma assai poco esplorato per la vostra generazione. Siete stati molto capaci di capire, di aiutare, di farvi carico di un’emergenza nuova e inaspettata.

Nei fatti, la libertà non è fare quello che si vuole, ma decidere cosa sia meglio fare. In questo tempo, i rapporti con gli amici sono diventati ancora più importanti, ma selettivi. Siete stati bravi, rovesciando perfino i ruoli all’interno degli equilibri familiari. Tradizionalmente, ad aiutare erano i più grandi d’età e i giovani erano coloro che si facevano aiutare.

Questo piccolo “esserino” che si chiama “Covid-19” ha fatto diventare importantissima la delicatezza che avete saputo tirar fuori da voi stessi per addolcire, anche agli adulti, la situa-

zione nuova. Avete capito che non serve a granché lo sdegno; occorre  invece  trovare  soluzioni,  pur  provvisorie  che  siano, per rendere meno amara la vita a tutti.

Oltre alla positività di quanto è avvenuto, viene fatto di chiederci quali ne siano le cause, soprattutto quelle remote. Nell’immediato, è certamente stata la necessità che chiedeva soluzioni. Di fronte all’emergenza, i giovani sono abituati a scegliere di essere concreti e operativi.

Mi pare però opportuno riconoscere che nell’attitudine aretina, tra le ragioni profonde di rispettare gli altri, soprattutto la famiglia, non siano estranee le radici cristiane del nostro popolo: elaborate sempre, a volte contestate, apparentemente non dichiarate, ma, nel fondo, sono un elemento che ha peso. È vero che siete la generazione digitale, ma anche ai più piccoli di voi è venuto addosso, come uno tsunami, lo schermo del computer: non per cercare quello che volevate trovare, ma per dover collaborare con la scuola e rimanere in uno stato di precarietà infinita, tra la voglia del gioco e la necessità di usare il tempo per imparare a vivere.

Mi  è  sembrato  davvero  bello  che,  perlopiù,  voi  ragazzi abbiate ricordato a tutti noi l’importanza della formazione, che non è solo apprendimento, ma relazione tra chi ha già ha fatto

esperienze e voi. Queste sensazioni affiorano nel vostro modo di reagire contro gli interventi fatti dall’alto sulla scuola, in presenza, in dad, i distanziamenti, i trasporti, gli orari che travolgono il piccolo ambito di ciascuno e quello delle famiglie, gli sport negati, i confini imposti per gli spostamenti. Avete saputo mettere da parte la tradizionale sfrontatezza giovanile, pur di garantire la funzione essenziale che la scuola ha nella nostra società, a partire dalle radici dell’antichità più remota della Grecia, di Roma e del Medioevo, ma anche di quello che percepite di più da vicino, voi non meno dei vostri insegnanti.

Sono in una condizione molto privilegiata per ascoltare tantissime persone. I ragazzi e le ragazze del nostro tempo non avevano mai fatto esperienza di rimanere così a lungo insieme con il proprio nucleo familiare. Una convivenza obbligata con i fratelli ha fatto maturare velocemente una sorta di responsabilità,  che  le  nostre  generazioni  non  avevano  conosciuto. Avete fatto assumere ancora a babbo e mamma l’occasione per riscoprire nel concreto la paternità e la maternità, come elemento che segna l’esistenza. Avete arricchito voi stessi, ma anche i genitori, pur nelle inevitabili tensioni di chi si misura con il limite imposto.

Per  trovare  un  precedente  a  quello  che  state  vivendo occorre andare indietro fino agli anni della Guerra Mondiale: tempi di sacrifici, di sofferenze, di inutili lutti. All’inizio del Novecento, furono massacrati più di 37 milioni di giovanotti per ragioni che non appartenevano a loro. Questa guerra contro la pandemia certamente ha causato morti, ma le vostre facce, le vostre reazioni hanno aiutato molti a uscire fuori dai contrasti e a recuperare una Europa vera. Pensate: si deve a voi se tutto questo è avvenuto senza scatenare odio e divisioni.

Sono, quasi d’improvviso, calate le violenze contro la natura che la società del benessere aveva giustificato. Mi dicono che si è guadagnato tanto in termine di delicatezza, di attenzione e di amore. È significativo che una di voi, Greta Thunberg, sia riuscita a fare opinione per sensibilizzare tutta una generazione al valore del contemplare il bello e di riscoprirne la sacralità. Tutto questo non succedeva da quando, in Assisi, quel giovanotto che si chiamava Francesco, ricorrendo al linguaggio poetico, fece  girare per  il  mondo  il  Cantico delle Creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”. Certe idee passano soltanto con il canto e la musica.

2. Ragazzi, ancora una volta, tocca a voi uscire fuori dai luoghi comuni e dagli schemi che gli altri vorrebbero imporre. Siete la generazione del pulcino. Non so se voi avete mai visto come da un uovo, che nel suo piccolo è duro e limitante, nasca il pulcino, affermando il primato della vita di fronte al duro guscio della morte. Ragazzi, qual è il progetto della società che nasce dopo la grande crisi pandemica? Ancora una volta torniamo a quello che conta. Il sistema mediatico di cui siete abbastanza padroni, pone

di fronte a un bivio: comunicare il proprio pensiero, le aspirazioni, i progetti o diventare il secchio della spazzatura, dove tutti i prepotenti della Terra sanno di poter versare quello che fa loro comodo, perfino il dominio delle emozioni altrui.

Credo che questo momento così delicato abbia bisogno della vostra capacità di discernimento. Siete stati capaci di non far morire il fanciullino che è in voi e, ognuno con il proprio carattere, con la grinta o con il silenzio, ha dato prova di saper pensare. Non so se qualcuno di voi ha ancora fratellini piccoli in casa. I ragazzini del nido o, ancora meglio, della scuola dell’infanzia sanno benissimo dire di no. Io mi chiedo se, crescendo, saremo ancora capaci di scegliere. Forse i piccoli lo fanno con impetuosità,  voi  sapete  farlo  con  generosità,  sempre  che  lo vogliate.

Un progetto lo si fa comunicando: la tastiera dell’iPhone, come quella del computer di cui siete maestri, può anche diventare il veicolo di un dialogo molto più grande. Dialogo con chi conosci, con gli amici, con le persone con cui hai relazione. Pensa che bello: la tua tastiera e la connessione con il mondo! I nonni del Medioevo – uno di loro si chiama Tommaso d’Aquino – avevano capito che dal bello l’uomo libero è capace di risalire all’autore del bello. Le forme, che forse potreste

raccontarci, vi consentono di scoprire anche Dio. Anche la tecnologia è frutto di quella Intelligenza Creatrice con la quale voi siete abilissimi a interloquire. Dio, per comunicare con noi, si è fatto Parola e, anche con voi che digitate sulla tastiera, si serve dello scritto per raccontare la Buona

Notizia. La pandemia certamente finirà, perché la bontà sconfigge sempre il male e Dio non risparmia nemmeno a questa generazione giovane e pulita l’invito a rimettersi in cammino, magari per le vie del web, verso una grande festa che si chiama Gerusalemme del Cielo.

Coraggio  miei  giovani  amici!  Mi  viene  in  mente  che,  ai tempi dei vostri nonni, quando tutto sembrò crollare per una guerra assurda e generata dalle ideologie, tra il Tevere e l’Arno un gruppo di giovani studenti, facendo capo a Camaldoli, sminuzzando scienze e conoscenze di chi ne sapeva più di loro, riuscirono a mettere insieme un puzzle nuovo, bello e utile che, di lì a poco, si chiamò Costituzione italiana. Erano i cattolici capaci di pensare non solo a se stessi, ma soprattutto al futuro di quella e di altre generazioni. Voi giovani siete una risorsa.

3. La Madonna del Conforto costituisce parte dell’identità del territorio aretino per una storia sì vecchia, ma vera. C’era un terremoto, cioè una situazione di profonda instabilità. Ci sono passato personalmente in Umbria, prima di venire in Arezzo. Le scosse di assestamento le percepisce il subconscio e indeboliscono la persona e la sua libertà, come gli scontri della politica che irritano la gente libera e nessuno capisce, se non chi ci trae vantaggio.

Nel 1796 il lavoro mancava come oggi; allora erano più impreparati. Chi aveva tanto, chi non aveva quasi niente se non un panino in mano e l’amarezza dei commenti con gli amici. L’argomento che girava nelle parole della gente aretina, ma anche dei paesi vicini, in qualche modo dipendenti almeno come indotto, dall’economia della città, ortolani, artigiani, braccianti, era l’incertezza del futuro. Come se ne esce? Proprio una condizione che assomiglia molto a quella che stiamo vivendo.

Uno  di  loro,  nella  mensa  della  caritas  dei  Camaldolesi, alzò gli occhi verso il quadro appeso al muro e se la prese anche con la Madonna, perché restava immobile di fronte alle tribolazioni della gente. Le vicende di allora ve le hanno raccontate in casa fin da bambini. Meno quell’ondata di reazione che dura nel tempo, soprattutto nel profondo della gente, e che anche lo scorso anno  ha  portato  in  Duomo  più  di  quarantamila  persone  in dieci giorni. Ho fatto in modo che nessuno fotografi la faccia di chi cammina, pregando in silenzio, perché il segreto delle coscienze va rispettato, anche quello dei giovani. Non vanno messe etichette a nessuno. Almeno in Chiesa, si deve essere assolutamente liberi.

Allora gli aretini ripresero coraggio e quell’immaginuccia di terracotta che forse avete visto fin dall’infanzia riesce ancora a far pensare.

So che non mancheranno anche quest’anno i ragazzi che si  racconteranno  vicendevolmente  di  essere  cristiani,  anche quelli che solitamente non usano le forme clericali, ma non si rifiutano di riflettere. Il Conforto è questo, recuperare la libertà della speranza.

Per il rispetto che vi porto, non mi attardo a ragionare di sentimenti, di impressioni, di sensazioni. Non volendo rubare il vostro tempo, mi va di chiedervi, in un ideale rapporto tra chi scrive e il lettore: cosa ne fai della tua vita? Attraversa la cultura dell’Occidente un verso di poesia che ha motivato, nei secoli, chi ha voglia d’essere se stesso e chi ha voglia di fare la sua parte al mondo, di costruire storie, bellezze e sogni. Questa mia piccola lettera vuole catturare una scintilla di quella sapienza che nasce da un esametro latino: “Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando?”; ma forse, per parlare con il giro dei ragazzi e delle ragazze del nostro tempo, è più

familiare se dico: “Who, What, Where, When, Why?”. È un passaggio obbligato. Un mio vecchio professore di quando frequentavo l’università usava ripetere che chi vuole essere libero non deve fermarsi, ma deve camminare in avanti e, se è buio – come ora pare che sia – e bisogna attraversare

un fiume in piena come la fiumana di parole che invadono il sistema mediatico attuale, servono delle sponde: quelle stesse che l’antico verso latino ha offerto a chi voleva andare avanti. Ancora oggi, chi vuole fare il giornalista si imbatte con chi gli ricorda che un articolo non ha senso se non risponde a quei cinque punti cardinali che in inglese cominciano con W.

Ricordo ancora con meraviglia, quando mi resi conto che i cristiani che costruirono la nostra cattedrale avevano raccolto il tesoro dalla lettura pagana l’esametro che vi ho raccontato, perché, dove c’è sapienza, questa viene sempre da Dio. Non importa chi la dice: è fondamentale che si colga il contenuto.

Ogni lettera si scrive con la speranza di avere una risposta. Non mi interessa averla con un messaggio vocale, spero di ravvisarla nei vostri i gesti o, comunque, nella fiducia che, se siete arrivati a leggermi fino a questa riga, in qualche modo, non ho perso tempo. Mi fido di voi.

La forza della fede

“La forza della fede” è il messaggio che l’Arcivescovo ha dedicato non solo ai malati e a quanti si trovano in situazioni clinicamente difficili, ma anche tutti gli operatori sanitari che, in questo anno particolare segnato dalla pandemia, si sono spesi – e lo fanno tuttora senza riserve – a fornire assistenza e cure a tutti.

  1. La fede salva

Cari aretini, la Madonna anche questa volta ha fatto la sua parte per il conforto della nostra gente. Un gran numero di persone, chiedendomi di pregare per i malati, ha frequentato in modo intenso la nostra Cattedrale, perché, partecipando alla Liturgia, la preghiera comune fosse sostenuta e sempre più efficace.

Certamente, nessuno può consolare facilmente con parole i figli che hanno perso i loro genitori e quanti si sono dovuti misurare con il distacco da parenti e da amici cari. Il nostro popolo è stato molto responsabile e, come i dati ufficiali confermano, i contagi non hanno determinato, con il segno della morte, un numero di persone comparabile con il resto d’Italia.

La  fede,  l’aiuto  della  Madonna  e  la  dimensione  soprannaturale  non  intervengono  necessariamente  sull’or-dine della natura, ma, con pari certezza, concedono a chi si affida a Dio la forza di resistere al male e la speranza necessaria per far bene la propria parte. Credo che non giovi a noi il senso di disfatta e di impotenza che si è diffuso nella Nazione più che altrove. La responsabilità della nostra gente ha suscitato riconoscenza verso la Madre di Dio, come nei momenti più difficili della nostra storia, dal prodigio del 1796 ad oggi.

Non siamo stati più bravi degli altri, ma molti dei nostri hanno pregato intensamente, affidando tutti al Signore – anche quelli che sono meno avvezzi ad appellarsi al soprannaturale –, perché insieme si ricomponesse quella comunità che connota il nostro popolo e quel clima di vicendevole aiuto che ha distinto i nostri operatori sanitari, mostrando che anche l’eroismo è ancora possibile.

  1. Dalla malattia si può guarire

Quando Israele antico, dopo sette settimane di anni, dalla schiavitù in Babilonia riuscì a ritornare a casa, solo con la poesia fu in grado di raccontare la terribile esperienza fatta. Lo fece perché non cadesse la memoria di quanta sofferenza siamo capaci di costruire insieme, quanta fatica per liberarcene e, soprattutto, quale coraggio per edificare il nuovo.

È una vicenda che si è ripetuta varie volte, dopo la grande guerra che aveva privato l’Europa di trentasette

milioni di giovani; poi la Shoah e tutte le altre sciagurate prove, che hanno indotto in giro per il mondo terrore e morte a centinaia di migliaia di persone.

Dall’inizio del ventesimo secolo ad oggi, occorre fare memoria per non dimenticare le vicissitudini drammatiche che ideologie, rivoluzioni, repressioni hanno segnato molte popolazioni e anche in queste ora stanno facendolo.

Con la pandemia da coronavirus è la prima volta che si riesce a mettere in sofferenza il mondo intero, conosciuto e meno, e a dover contare un numero esorbitante di morti, come neppure le guerre riuscirono a fare. Eppure, mai come prima, abbiamo visto una solidarietà larghissima che, senza guardare le frontiere politiche, ci ha fatto riscoprire tutti fratelli.

Guardando  avanti  con  fiducia,  come  quando  si  comincia a intravedere la luce alla fine del lungo tunnel che ci ha costretti a camminare nella speranza, realizziamo che anche il nostro tempo ha bisogno di una cultura nuova, non segnata soltanto dagli interessi di parte, ma capace di una visione d’insieme, come il Papa ci ha insegnato nella sua ultima Enciclica, “Fratelli tutti”.

  1. I semi di una cultura nuova da coltivare

Per la prima volta, c’è un largo consenso su alcuni punti fondamentali di questa vicenda di grande sofferenza. Nessuno ci ridarà indietro i nostri cari, anche perché il piccolo “nemico invisibile” venuto dalla Cina i danni li ha causati davvero. Sono elaborabili soltanto con la fede, che accomuna tutti noi credenti e la speranza certa che ci ritroveremo insieme, con i nostri, nella valle di Giosafat[1] .

Una seconda categoria che merita rispetto per il dolore subito e il male sopportato con fortezza sono i tanti

guariti, alcuni dei quali, in Arezzo come altrove, si sono già dati da fare per ringraziare il Signore e la Madonna, perché hanno dato supporto a chi era nella prova e sono venuti a capo di un percorso che sembrava a senso unico, orientato alla fine della vita.

C’è infine una categoria che ci rallegra molto e dona speranza  a  tutti:  i  medici,  che  non  si  sono  astenuti  dal prestare aiuto ai malati gravi, perché trovassero sollievo e vincessero i danni inflitti dal terribile virus. Sono ugualmente le tante espressioni del personale sanitario che ha curato e assistito chi era in preda al dolore, chi soffocava per il mancato funzionamento dell’organismo. Sono anche i  ricercatori  e  gli  scienziati  che  hanno  identificato  quali fossero le vie d’uscita per salvare il maggior numero possibile di persone dalla morte e, in tempi mai visti prima, hanno elaborato vaccini per bloccare il virus e perché la vis sanatrix naturae potesse recuperare le condizioni per riprendere vita.

Mi  piace  cogliere  in  questo  momento  l’occasione propizia per rinnovare la nostra vicinanza al Signore, per rinnovare la nostra Chiesa, che ritorni alla Sacra Scrittura come Maria, che capì la Volontà di Dio solo con la Bibbia in mano, e come, in Arezzo, è sempre raffigurata la Santissima Annunziata.

La fede viene prima della morale, che ne è la conseguenza. Dio conosce le nostre fragilità. Averne sperimentato il ritmo furibondo con l’infuriare della pandemia ci ha fatti più liberi: ha fatto venir meno tanti luoghi comuni.

Nella preghiera, ci siamo resi conto che nessuno ha diritto ad appropriarsi né di Dio né della sua Santissima

Madre, che da secoli, in Toscana, si chiama Madonna: Mea Domina.

Chiediamoci  ancora  una  volta  se  siamo  disposti  a metterci sotto la protezione di Maria nelle forme che il tempo presente richiede.  Fare evolvere la Pastorale della nostra Chiesa può essere uno dei punti positivi di questa terribile prova che abbiamo vinto. Anche nella fede, occorre andare avanti e passare il testimone ai nostri bambini e ai giovani che sono stati bravissimi, in questi mesi ristrettezze e limitazioni.

Alla considerazione comune di quanti mi furono affidati da San Giovanni Paolo II, venticinque anni fa – cattolici, cristiani d’ogni denominazione, ma anche credenti di altre religioni – convenuti in questa antica e bellissima terra “intra Tevero et Arno”, consegno questi pensieri, perché siano la ripresa di un dialogo da cui mi aspetto una nuova cultura del vivere insieme.

A tutti assicuro la mia preghiera e su tutti invoco la Benedizione del Signore.

[1] Cfr. Gioele 3,2

Festa della Madonna del Conforto 2021

Sabato 6 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 10.00        Santa Messa con i volontari della Protezione Civile

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa con i Frati Minori e le Confraternite di Misericordia,

Gruppi Donatori di Sangue Fratres, Croce Rossa, Croce Bianca

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Domenica 7 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 16.00        Santa Messa animata dai cattolici di altre Nazioni presenti in Diocesi

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa con le parrocchie del Casentino

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Lunedì 8 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie del Valdarno

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Martedì 9 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie di Cortona-Castiglion Fiorentino

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Mercoledì 10 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie del Chianti e del Senese

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Giovedì 11 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 15.00        Giornata del Malato

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie di Arezzo

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Venerdì 12 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie della Valtiberina e dalle Caritas parrocchiali

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

ore 19. 30       Pellegrinaggio dei giovani

 

Sabato 13 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa animata dalle parrocchie della Val di Chiana

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Domenica 14 febbraio 2021

ore 07. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 10.30        Santa Messa con gli sposi delle nozze d’oro e d’argento

ore 17. 00       Rosario e Vespri

ore 18. 00       Santa Messa con i Monaci benedettini di Camaldoli e

 le famiglie della Diocesi

Preghiera mariana con l’Arcivescovo

 

Lunedi 15 febbraio 2021

ore 06. 00       Lodi mattutine e Santa Messa

ore 10. 30       Santa Messa pontificale presieduta

dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità

Preghiera mariana

ore 14. 30       Rosario meditato fino alle ore 16.00

ore 17. 00       Secondi Vespri

ore 18. 00       Santa Messa solenne presieduta dall’Arcivescovo

Preghiera mariana

ore 20.00        Santa Messa

 

 

Secondo la tradizione, per favorire la partecipazione di tutto il popolo, le Sante Messe saranno celebrate anche alle ore 6.00, 7.00, 8.00, 9.00, 12.00, 16.00.

 

Omelia del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nel Pontificale per la Solennità della Madonna del Conforto, Patrona della Diocesi di Arezzo-Sansepolcro – Cattedrale di Arezzo, sabato 15 febbraio 2020 A.D.

Omelia del Cardinale Sandri per la Madonna del Conforto

Eminenza Reverendissima, Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze,

Eccellenza Reverendissima, Caro Arcivescovo Riccardo, Vescovo di questa Diocesi di Arezzo-Sansepolcro,

Eccellenze Reverendissime,

Signor Presidente del Consiglio Regionale della Toscana,

Signor Sindaco,

Distinte Autorità Civili e Militari,

Reverendi Sacerdoti, Religiosi, Religiose, Seminaristi,

Sorelle e fratelli nel Signore!

Sono lieto di essere tra voi quest’oggi, a condividere la gioia e la festa della comunità diocesana che guarda alla sua patrona, la Madonna del Conforto, e rinnova ormai da quasi duecentoventicinque anni l’affidamento a Lei. Ella vegli e protegga ciascuno dei suoi figli, e ottenga da Gesù quella benedizione speciale che risplende nella storia delle vostre terre: la consapevolezza della grandezza e della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, che si esprime nell’operosità dei campi, delle vigne e delle imprese, nel genio della letteratura e dell’arte, nella luce che emana dalla vita dei santi e delle sante che hanno fecondato con la loro testimonianza i luoghi della Diocesi. Maria vuole che tutti possano sentirsi a casa sotto il suo manto materno, in compagnia del compatrono il Vescovo san Donato, di San Francesco che a La Verna ricevette le Stimmate, a Santa Margherita, stella di Cortona. La Madonna del Conforto mi perdonerà una menzione speciale al beato Papa Giovanni X, sepolto in questa cattedrale, forse sconosciuto ai più ma il cui pontificato custodisce alcune dimensioni molto attuali per la Chiesa da un lato e per il mio ruolo di Prefetto della Congregazioni per le Chiese Orientali: il suo anelito alla riforma, la tensione alla ricomposizione dello scisma con l’Oriente, l’attenzione alla Terra Santa e, non ultimo, il primo scambio di ambasciatori con la Cina di allora.
Il miracolo del 1796 fa assistere ad una trasformazione progressiva: in un luogo modesto ed angusto di vita quotidiana per i poveri, d’improvviso l’immagine di terracotta diviene pulita e splendente da sporca e incrostata che era. Dopo il suo trasporto in cattedrale una intera parete laterale viene abbattuta per rendere comunicante l’aula liturgica con la Cappella in cui era stata riposta l’immagine della Vergine. Che cosa lega questi eventi di cambiamento improvviso e radicale? La forza della preghiera e la grazia potente di Dio che viene in soccorso dell’umanità in affanno. Si pregava per la liberazione dalla terra che tremava rovinando la città e anni più avanti si invocava la libertà dalle forze di occupazioni francese. A quante sfide è posta innanzi l’umanità lungo la sua esistenza, e quante hanno la forza di sconvolgerla e destabilizzarla, mentre noi siamo un popolo che ha fame e sete di futuro, che anela alla gioia piena e duratura. Spesso però, come canne sbattutte dal vento inseguiamo mete illusorie e fuochi fatui che non illuminano e non scaldano i nostri cuori.
La Parola di Dio che è stata proclamata si rivolge a noi e ci interroga nel profondo. Nel vangelo abbiamo assistito alla premura materna di Maria, che in una festa di nozze a Cana è preoccupata che non venga meno il segno della festa, quel vino che allieta la tavola degli sposi e degli invitati. Ella non ha dubbi, e indica la sorgente: non è soltanto il ritrovarci insieme o la somma dei nostri buoni propositi o lo sforzo della buona volontà di ciascuno, non basta il volersi bene pur così bello di un uomo e una donna che iniziano il loro progetto di vita insieme, non servirebbe a niente l’affannarsi dei servitori o del maestro di tavola o degli addetti alla cucina. Quello che trasforma radicalmente tutte le realtà e le dimensioni che ho enumerato è la presenza di Gesù, che si coinvolge con il mistero dell’esistenza umana, poiché Egli è il Verbo fatto Carne, l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Maria, la Madre, lo sa bene, e osa quasi sfidare suo figlio sollecitandolo a dare un segno del dono che egli è, anche se non è ancora giunta la sua ora, come lui stesso afferma quasi rimproverando Colei che lo ha dato alla luce. E così accade: l’acqua sovrabbondante per la purificazione dei Giudei diviene vino dal sapore intenso e inebriante, la collaborazione operosa dei servi che sanno ascoltare e fidarsi indispensabile, una festa che andava concludendosi ritrova invece il suo vertice. Ecco il miracolo della trasformazione suscitato da Maria, dal suo sguardo, dalla sua fede umile e dal suo abbandono alla volontà di Dio, non soltanto a Nazareth quel giorno dinanzi alla proposta dell’angelo, ma in ogni istante, sin sotto la croce di quel figlio che amava. Ci domandiamo allora dove stia la pienezza delle nostra vita, dove andiamo a cercare la sorgente della nostra gioia, quanto possiamo affannarci nel fare e cercare tante cose, ma senza desiderare la presenza di Gesù nel nostro cammino?
Le immagini della prima lettura sono semplici ed efficaci, in particolare perché descrivono il nostro essere qui oggi, dinanzi alla Madonna del Conforto: da Lei vogliamo essere portati in braccio ed allattati, sederci sulle sue ginocchia ed essere accarezzati, in una infanzia spirituale che è stata di tanti santi, e che non si vergogna di fermarsi e di dire: “da solo non ce la faccio, ho bisogno di te, per questo sono ai tuoi piedi o Madre, prendimi in braccio e stringimi a te”. L’aridità di tanti cuori sembra aver reso sterile la terra, non solo per i figli che non nascono più o la cui vita è spezzata nel grembo delle madri, ma per le violenze e le guerre che flagellano troppe aree del nostro pianeta terra, che non sembra più una casa comune da affidare integra alle giovani generazioni, ma un deserto di egoismi e un incendio che divora in tante forme la dignità dell’uomo. Abbiamo bisogno Signore, del fiume della pace di cui parla il tuo profeta, Isaia, di quel torrente in piena che torna a far splendere la gloria delle genti. Che esso giunga presto nel martoriato Medio Oriente, come chiede senza stancarsi la voce di Papa Francesco, per la martoriata popolazione civile di Idlib, in Siria, nuova parte di quella scacchiera sui cui si muovono i pezzi manovrati dai differente interessi regionali ma che ancora lasciano calpestati e affamati i piccoli e i poveri.L’aver sperimentato lungo i secoli la vicinanza materna e l’intercessione della Madonna del Conforto non può lasciare indifferente il popolo di Arezzo, come ci ha detto san Paolo nella seconda lettura: “Egli, il Signore, ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio”. Ciascuno di noi, dopo aver rivolto i suoi occhi alla Madre di Dio e madre nostra, deve offrire uno sguardo nuovo sulla realtà e sui fratelli che incontra nel suo cammino quotidiano: possiamo e vogliamo essere ciascuno una fiaccola nuovamente alimentata con l’olio della consolazione, per portare speranza con semplici gesti quotidiani nelle nostre case – specie quelle segnate da divisioni o dal mistero della sofferenza – nei nostri luoghi di lavoro, nella nostra città e nel mondo. Tra le altre cose, le vostre terre si distinguono per quelle opere di carità coltivate nelle Misericordie e le Compagnie, che incoraggio a rimanere fedeli alla loro origine e missione, come pure ringrazio tutti coloro che sono impegnati nelle attività della Protezione civile e che trovano nella Madonna del Conforto la loro speciale protettrice.Non stanchiamoci di operare la carità, e alimentiamola sempre con la forza della preghiera, ricordando quanto disse in mezzo a voi, a Piazza Vasari, nel 1993, san Giovanni Paolo II: “la forza della preghiera fa conversione, rinnova la persona umana, rinnova gli ambienti e non passa mai. La preghiera non è mai di passaggio, ma è dell’oggi e del domani.” E vorrei concludere proprio con le sue parole, ricorrendo quest’anno il centenario della nascita del santo Pontefice, che pronunciò al termine il suo atto di affidamento alla Madonna del Conforto: “Bianca regina, Madonna del Conforto, eccoci ai tuoi piedi…cantando ‘tu sei la nostra speranza’ Tu, nostra riconciliazione e nostra pace, Vergine santa del Conforto! Prendici per mano, Madre buona, liberaci dall’odio e dal male, rendici saldi nella fede. Stella luminosa di salvezza, veglia su questo popolo che a te s’affida! Alimenta in ciascuno l’ansia del bene, la solidarietà verso i poveri e gli ammalati, i carcerati e i senza tetto e i disoccupati, verso gli stranieri e chi vive solo ed emarginato. Confortetur cor tuum! Si conforti il tuo cuore, Coraggio, Santa Madonna del Conforto, prega per noi! Amen.”

SERVIZIO TSD

Intervista TSD

Concerto per la Madonna del Conforto

STELLA DEL VASTO MARE
Concerto per la Madonna del Conforto

AREZZO Cattedrale dei Santi Pietro e Donato
Domenica 2 febbraio 2020 ore 21:00

Insieme Vocale Vox Cordis
Lorenzo Donati, violino e direzione

Giorgio Albiani, chitarra e il quartetto d’archi Foné
Paolo Chiavacci, violino
Marco Facchini, violino
Chiara Foletto, viola
Filippo Burchietti, violoncello

Mauro Morini, trombone
e La Pifarescha
Andrea Inghisciano, cornetto
David Brutti, cornetto
Anaïs Chen, violino, viola tenore
Vittorio Zanon, organo