Lettera ai Parroci della Diocesi
in occasione della ripresa del culto con il popolo nelle nostre Chiese

Diocesi di
Cari fratelli e sorelle,
è una grande gioia, per le nostre Chiese, poter tornare a vivere con il popolo le celebrazioni liturgiche, poter riprendere la condivisione, in forma comunitaria, della Mensa Eucaristica.
Come Vescovi toscani, rinnoviamo il nostro compiacimento per l’intesa raggiunta tra Stato e Chiesa nel Protocollo firmato giovedì 7 maggio, nello spirito di reciproca collaborazione per il bene del Paese espresso dalle norme concordatarie.
Abbiamo accettate di buon grado, per senso di responsabilità e animati dalla carità verso tutti, le restrizioni dolorose di questi mesi e che ancora in parte viviamo. Ora siamo lieti che si possa aprire una nuova stagione piena di speranza. Mentre invitiamo le nostre comunità e ciascuno ad agire con responsabilità, adottando tutti gli accorgimenti necessari per mettere in atto, nelle diverse situazioni concrete, le misure indicate nel Protocollo, vogliamo definire anche l’orizzonte pastorale entro cui si colloca questa nuova fase, che vede, nell’ottica di una prudente ripresa della vita sociale, anche la possibilità di una più ampia partecipazione dei fedeli alla vita sacramentale, sebbene a precise necessarie condizioni. Ci ispira la certezza che l’attenzione a mettere in atto quanto è necessario per la salvaguardia della salute di tutti può andare di pari passo con una vita liturgica che permetta ai credenti di poter alimentare alle sorgenti della loro fede il loro contributo alla vita civile.
Invitiamo innanzitutto le comunità a mostrare – anche attraverso lo scrupoloso rispetto delle misure di sicurezza – quanto sia bello e importante poter tornare a celebrare insieme. Sarà un momento di letizia, e allo stesso tempo di vicinanza per chi ha sofferto, e soffre, per tutte le conseguenze che questa pandemia ha provocato e continua a provocare a livello sanitario, sociale, economico. Mentre riprendiamo con rinnovato slancio le celebrazioni dell’Eucaristia con il popolo, vogliamo dire che in esse continueranno a essere presenti, come lo sono stati finora, i malati; i defunti e le loro famiglie nel dolore; le persone che hanno vissuto ansia, solitudine, che si trovano in situazione di disagio o povertà; tutti coloro che si stanno spendendo per il bene comune, con particolare attenzione a medici, infermieri e altro personale sanitario, cui va una ribadita gratitudine per l’abnegazione e l’impegno professionale, nonché chi esercita responsabilità nella vita politica, amministrativa ed economica, perché, guidati dalla ricerca del bene comune, diano forma a una ripresa che non lasci indietro nessuno, famiglie, lavoratori, poveri.
Il Protocollo ci chiede, tra l’altro, che l’accesso agli spazi della celebrazione sia regolato da volontari e collaboratori: è un’opportunità che possiamo cogliere perché la presenza di queste persone serva non solo a garantire il rispetto delle misure di sicurezza, ma anche a mostrare lo spirito di gioiosa accoglienza con cui la comunità vive questo momento, sottolineando come tutti gli accorgimenti che sarà necessario tenere presenti durante la celebrazione sono nell’interesse e per il bene di tutti.
Ribadiamo l’importanza delle nostre chiese come luoghi deputati alla celebrazione liturgica, nelle quali già dal 18 maggio potremo celebrare la liturgia feriale. Per le liturgie domenicali, potrà essere valutata, se necessario, la possibilità di utilizzare altri ambienti parrocchiali più vasti, oppure di individuare, in accordo con le autorità civili, spazi, anche all’aperto, in cui poter svolgere le celebrazioni in forma dignitosa.
Nell’invitare calorosamente tutti i fedeli a tornare a partecipare alla liturgia, ricordiamo anche che, come sempre, quanti per motivi di età o di salute sono dispensati dal precetto festivo potranno continuare a seguire le celebrazioni attraverso i mezzi di comunicazione, a cominciare dai normali canali televisivi.
Le nostre Chiese hanno fatto sentire, in questi mesi, la loro vicinanza attraverso un’intensa attività caritativa, che si è moltiplicata di fronte alle tante nuove situazioni di povertà e ha coinvolto numerosi volontari. Ma anche la vita spirituale e l’attività pastorale sono proseguite, attraverso nuovi strumenti e modalità. Molte chiese sono sempre rimaste aperte per la preghiera personale, così come i nostri sacerdoti non hanno mai interrotto la celebrazione del culto a nome della Chiesa. Anche quando hanno celebrato da soli o con pochissime persone, lo hanno fatto a nome di tutti, continuando a offrire per tutto il popolo il sacrificio di lode nel memoriale della passione e risurrezione del Signore.
Questo tempo difficile ci ha fatto riscoprire anche cose importanti, sulle quali sarà necessario ritornare con una riflessione più attenta. C’è stata la scoperta di una ministerialità diffusa, la valorizzazione della famiglia come Chiesa domestica, in cui la vita di preghiera e l’ascolto della Parola di Dio hanno conosciuto una bella fioritura, la ricchezza spirituale della preghiera e della meditazione di ciascuno, in specie degli anziani. La Chiesa, nel suo insieme, non ha mai smesso in questi giorni di annunciare la buona notizia di Cristo Crocifisso e Risorto, facendo arrivare in tanti modi la sua voce. Tutto questo non deve andare perduto, e dovrà aiutarci a ripensare per i prossimi mesi la vita ecclesiale. È fondamentale vedere in questa nuova fase della vita comunitaria, pur nel permanere dell’emergenza sanitaria, un’occasione di vero rinnovamento di tutta la vita cristiana. Nella continuità di un cammino che mai si è interrotto – lo vogliamo sottolineare – intendiamo cogliere in questo momento l’invito del Signore a compiere un passo ulteriore nella fedeltà al Vangelo, trovando modi nuovi di vivere come comunità, segnati da un desiderio di conversione autentica, da uno slancio di ritorno al Signore, con una fede arricchita anche dal sacrificio.
Sappiamo che il cammino verso una piena ripresa della vita delle nostre comunità dovrà essere graduale e progressivo: dovremo essere pronti, nei prossimi mesi, a individuare, in un proficuo dialogo con le autorità civili, le forme più idonee in cui poter riprendere anche tutte quelle attività educative e formative, rivolte in modo particolare a bambini, ragazzi e giovani, che costituiscono un prezioso servizio per tutta la società. È un’attesa viva tra noi, ma che potrà prendere forma solo in considerazione di come si svilupperà la diffusione della pandemia. L’attesa non deve tradursi in scelte affrettate, ma in paziente preparazione.
Dobbiamo essere consapevoli che per un tempo, che sarà ancora probabilmente lungo, dovremo adeguare la nostra vita alle limitazioni e alle modalità che questa emergenza ci impone, pur auspicando che tutti i momenti che caratterizzano la nostra esperienza di fede possano gradualmente aprirsi a una piena partecipazione. In questo momento quello che più ci preme è ribadire il nostro essere profondamente lieti che le nostre comunità possano tornare a celebrare insieme l’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Un segno di questa gioia sarà la celebrazione che le Chiese di Toscana faranno della Messa Crismale il 30 maggio, vigilia della Pentecoste, la Messa in cui, con la benedizione degli Oli, vengono offerti ai credenti i segni dell’amore di Dio che fa nuova la nostra vita.
Un ultimo invito. L’“Alto Comitato per la fratellanza umana”, composto da capi di diverse religioni, ha proposto ai credenti di tutte le religioni di vivere il prossimo 14 maggio una giornata di preghiera, digiuno e opere di carità, una comune condivisione degli spiriti per implorare Dio che aiuti l’umanità a superare questa pandemia. Il Papa ci chiede di aderire a questa giornata e noi vi esortiamo a farlo, con la fiducia che i credenti ripongono nella preghiera.
Vi salutiamo, in questo tempo di Pasqua, con l’antico annuncio: “Cristo è risorto. Cristo è davvero risorto!”. Lo Spirito del Risorto, che è gioia, pace e novità di vita, sia con tutti voi.
Firenze, 8 maggio 2020
I Vescovi delle Diocesi della Toscana
I Vescovi della Toscana si uniscono alla Conferenza Episcopale Italiana nell’esprimere l’esigenza di poter riprendere l’azione pastorale e l’attività di culto della Chiesa, nel rispetto delle misure necessarie per il controllo del contagio, ma nella pienezza della propria autonomia.
In queste settimane anche le Chiese della Toscana non solo hanno accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni assunte per far fronte all’emergenza sanitaria, ma le hanno accolte e vissute nell’orizzonte del bene comune. Lo hanno fatto però nella consapevolezza che, come ha affermato Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica in Santa Marta lo scorso 17 aprile, “questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile”. “L’ideale della Chiesa – ci ha ricordato il Santo Padre – è sempre con il popolo e con i Sacramenti. Sempre”.
Le Diocesi toscane quindi si dicono pronte a recepire tutte le indicazioni che potranno essere fornite da specifici protocolli di sicurezza, analogamente a quanto stabilito per altri luoghi e attività, nella certezza che le ragioni economiche, culturali e sociali, in base alle quali vengono o verranno presto riaperti fabbriche, negozi e musei, parchi, ville e giardini pubblici, non possono avere una prevalenza rispetto all’esercizio della libertà religiosa, che è tra i principi fondamentali della Costituzione (come sanciscono gli artt. 2, 7 e 19) e definita dal Concordato tra Stato e Chiesa (si vedano gli artt. 1 e 2 dell’Accordo di revisione del Concordato tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984).
I Vescovi toscani ricordano che, come in tutta Italia, anche nella nostra Regione la Chiesa è stata in questo tempo difficile vicina alle persone, sia con l’assistenza spirituale resa possibile dai mezzi di comunicazione, sia fornendo attraverso le parrocchie, le Caritas, le associazioni, il volontariato organizzato una serie di servizi socialmente importanti. Ritengono però che adesso, con l’apertura di una nuova fase, sia necessario consentire una più ampia partecipazione dei fedeli alla vita sacramentale che sta alla base della prossimità caritativa, assicurando la massima disponibilità, come dimostrato finora, ad attenersi con rigore alle indicazioni che saranno date perché questo possa avvenire con il massimo controllo possibile. In questo ci si fa voce anche di tante persone sole, per le quali l’espressione comunitaria della fede è urgenza esistenziale. La Chiesa ha dimostrato di saper rispettare, anche quando questo è costato pesanti rinunce, le ragioni della scienza e della politica chiamate a dare indicazioni di carattere sanitario e sociale su come contenere il contagio. Anche chi ha responsabilità scientifiche e politiche però deve dimostrare adesso di saper rispettare le ragioni della fede e riconoscere la capacità della Chiesa di agire con matura responsabilità.
I Vescovi delle Diocesi della Toscana, 27 aprile 2020
Anche i discepoli del Signore furono sconvolti in quelle ore terribili, dall’Ultima Cena al giorno dopo il sabato, quando Maddalena, stupita, era talmente segnata dalla morte di Gesù, che stentò a riconoscerlo risorto, appena fuori delle mura di Gerusalemme. Lo avevano visto flagellato, pieno di sangue, con la corona di spine in capo, poi caricato della Croce, inchiodato e morto. Sembrava crollare perfino la fede. Solo i più coraggiosi, con amore, lo avevano deposto dal patibolo nel sepolcro nuovo. Quel sabato di Pasqua segnato dal silenzio, chiusi in casa dentro al Cenacolo anche gli amici più cari di Gesù erano sgomenti. San Luca pone sulle labbra di due giovani di Emmaus in cammino verso casa la desolazione: «Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele» (Lc 24, 21). Tra pochi giorni i cristiani si troveranno ancora a fare Pasqua. Rischieremo anche noi di non riconoscere Cristo Risorto, di non renderci conto, di fronte alla terribile prova di questo piccolissimo micro organismo che ha falcidiato una gran parte dell’umanità. Non fummo capaci di abbattere le frontiere che dividono i popoli. Gli interessi, di gruppo e personali, hanno contrapposto, gli uni contro gli altri, i miei contemporanei, che sanno vedere solo i flagelli, le sofferenze e la morte. Ci stiamo rendendo conto che siamo tutti nella stessa barca, la famiglia umana.
Sussidio per vivere il Triduo pasquale e Lettera dell’Arcivescovo Riccardo Fontana alla Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro per la Pasqua 2020
La Chiesa aretina, cortonese e biturgense ringrazia la Comunità Monastica di Camaldoli, per la vicinanza e il supporto offerto in questo periodo di dura prova per la pandemia in atto. Ci siamo sentiti supportati con la preghiera dalla più antica presenza monastica del territorio. È bello poter prendere atto anche della collaborazione che abbiamo ricevuto in vari modi, per rendere un buon servizio al popolo di Dio. In particolare desidero esprimere viva gratitudine a Dom Matteo Ferrari, monaco camaldolese e apprezzato liturgista, che è autore dello studio che si pubblica in questo volume. Vorremmo che le nostre famiglie, pur non potendo partecipare attivamente alle liturgie del Sacro Triduo, con questo strumento possano pregare insieme con la Chiesa, pur rimanendo nelle proprie case.
+Riccardo Fontana
L’evolversi dell’emergenza epidemiologica da coronavirus covid-19 induce a rafforzare l’impegno delle nostre comunità ecclesiali per contrastare la diffusione della malattia, che avrebbe conseguenze fatali sull’intero sistema sanitario e di conseguenza sulla stessa coesione sociale. Quanto scriviamo fa seguito ai più recenti provvedimenti del Governo e al Comunicato della Presidenza della C.E.I. del 12 marzo.
Ci sembra di dover raccogliere anzitutto l’invito delle Autorità pubbliche a restare in casa per quanto ci è possibile. Aderire a questa esortazione deve essere inteso non solo come un esercizio di responsabilità civica, ma ancor prima come fondamentale espressione di carità cristiana: rispetto del prossimo, contributo a non aggravare l’opera lodevole ed estenuante di medici, infermieri, volontari e forze dell’ordine, favorire chi è costretto a uscire per irrinunciabili motivi di lavoro o di prima necessità. Esortiamo a vivere la permanenza in casa anche come un tempo di preghiera e di raccoglimento. Di fronte a Dio ciò che qualifica la nostra preghiera non è il luogo da cui si innalza, ma il cuore da cui sgorga.
Quanto siamo costretti a vivere in questi giorni è anche occasione per scoprire meglio due modi di presenza del Signore in mezzo a noi, non come segno di ripiego, ma come necessità costante per la vita cristiana, anche nel futuro. Anzitutto, la famiglia è come una “Chiesa domestica”, dove siamo chiamati a crescere insieme nella fede e nell’amore, memori della promessa del Signore: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Vale per noi in questi giorni l’esortazione di San Giovanni Crisostomo ai suoi fedeli: «Fate della vostra casa una Chiesa» e quelli accolsero l’invito con «acclamazioni di giubilo». Pregare in casa non deve essere inteso come una privazione, ma come occasione per riconoscere la grandezza della vita familiare. Una seconda esortazione riguarda l’importanza di riscoprire in questi giorni il grande valore della “presenza reale” del Signore nella sua Parola: una presenza da custodire, coltivare e approfondire personalmente e in famiglia. Diamo alle nostre giornate il giusto orientamento lasciandoci illuminare da un’assidua lettura e una profonda meditazione della Sacra Scrittura.
In questo contesto, che privilegia il rimanere nelle nostre case, considerato il ruolo che le chiese hanno sempre avuto nel contesto delle città, borghi e paesi della Toscana, nonché nel sentire della nostra gente, riteniamo di poter mantenere aperte le nostre chiese, come segno di una Chiesa che resta presente alla vita delle comunità, ancor più in questi giorni di sofferenza. L’apertura delle chiese viene proposta dunque come un segno, non come un invito a frequentarle. Di qui la precedente esortazione a valorizzare la casa come luogo di preghiera e di lettura della Parola di Dio. Occorre però essere molto avveduti, per cui l’apertura può esserci a condizione che si possa garantire un rassicurante adeguato livello sanitario (distanza tra le persone, esclusione di oggetti che possono passare da una mano all’altra come i libri di preghiere, possibilità di intervenire con frequenza con azioni di disinfezione di panche, porte, maniglie o altri oggetti che possono essere toccati dai fedeli, ecc.), anche tenendo conto che tutto questo sia consentito dalle condizioni di salute ed età dei nostri preti. Senza queste condizioni sarebbe un gesto di irresponsabilità aprire i nostri luoghi di culto e lo sarebbe soprattutto verso i più deboli.
Ci sembra infine significativo e lodevole l’impegno di molti sacerdoti a restare in contatto con i fedeli mediante i social, rendendosi utili così all’accompagnamento e offrendo anche l’opportunità di unirsi alla preghiera del sacerdote in chiesa. Vanno anche valorizzate le trasmissioni dedicate alla preghiera che vengono offerte nelle reti nazionali e attraverso i nostri mezzi di comunicazione locali. In questo contesto esortiamo i sacerdoti a farsi vicini soprattutto ad anziani e malati tramite il telefono, portando loro parole di sostegno e di conforto.
Il nostro pensiero va, con sentimenti di solidarietà e vicinanza, agli ammalati e alle persone e famiglie in quarantena. La fede ci invita a vedere nella loro sofferenza, nell’orizzonte della croce di Gesù, una partecipazione al mistero della redenzione. Nella nostra preghiera ci sono tutti loro, come pure quanti hanno incontrato la morte in questa pandemia. Ci sentiamo vicini con ammirazione e gratitudine nonché con la preghiera a quanti operano nel nostro sistema sanitario e di protezione civile per combattere il morbo. Chiediamo al Signore luce per i nostri governanti, affinché le loro decisioni siano nel segno della saggezza e trovino convinta accoglienza nel nostro popolo.
L’emergenza sanitaria ci coglie nei giorni della Quaresima, e le indicazioni di comportamento che ci vengono date vanno accolte quasi come un’opera penitenziale specifica di questo tempo, un’opera di misericordia e di carità verso i più fragili. Ma noi sappiamo anche che la Quaresima è preparazione alla Pasqua del Signore: nel suo potere di Risorto poniamo le ragioni della nostra speranza di vita.
13 marzo 2020
I Vescovi delle Chiese della Toscana
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 21, 33-43. 45)
In quel tempo, Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono.
Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero.
Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri”? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare».
Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.
DAVANTI A LORO MANDÒ UN UOMO
Commento di D. Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli
Come sintesi delle letture che ci propone la liturgia di oggi potremmo prendere una espressione del Salmo responsoriale, il Salmo 104, nel quale si afferma: «Davanti a loro mandò un uomo» (Sal 104, 17). Si tratta di una «salmo storico» che ripercorre l’intera storia del popolo di Israele, mettendo in evidenza la bontà di Dio nel suo agire e l’esigenza di essere fedeli alla sua alleanza.
In quest’uomo “mandato avanti” da Dio, di cui ci parla il Salmo, possiamo vedere, certo, Giuseppe – a lui precisamente si riferisce il Salmo – ma anche il figlio del brano evangelico inviato dal padrone ai vignaioli ai quali egli aveva affidato la sua vigna e anche tutti gli altri servi ripetutamente e incessantemente mandati prima del figlio.
Giuseppe il sognatore, un ragazzo che certo non faceva molto per farsi benvolere, diviene “precursore” dei suoi fratelli in Egitto. Un episodio della vita, anzi una circostanza molto negativa nella quale dei fratelli tramano contro la vita di un loro fratello, diviene “occasione” per la salvezza della vita di tutti: «Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Gn 45,5).
Così i servi e il figlio inviati sono i «precursori» del padrone, amante della vigna, che attende frutti nel tempo opportuno: persone «mandate avanti» per richiamare alla fedeltà nei confronti di colui che ha piantato la vigna, l’ha circondata con una siepe, vi ha scavato un frantoio, vi ha costruito una torre e l’ha affidata a noi perché la curiamo e la facciamo fruttificare.
In entrambi i testi di oggi – la prima lettura e il brano evangelico – qualcuno è inviato avanti, con intenti di bene, ma egli viene accolto con violenza e rifiuto. Giuseppe va in cerca di fratelli (v. 17), ma trova dei nemici. Quando egli arriva dai suoi fratelli e sembra essere giunto al termine del suo cammino, essi invece sono ancora lontani da lui nel loro cuore e attentano alla sua vita. Così anche i servi e il figlio unico inviati vanno per trovare il frutto da coloro a cui era stata affidata la vigna che non era di loro proprietà, ma del padrone. Tuttavia, essi trovano non dei servi, custodi di un bene non loro, ma dei padroni che si sono impossessati di ciò che era stato loro affidato.
Queste due pagine bibliche nel nostro cammino quaresimale possono essere invito a saper riconoscere e accogliere coloro o Colui che Dio manda davanti a noi per custodire la nostra vita. La sua Parola ci attesta una visita di Dio premurosa e costante per richiamarci alla fedeltà e per mantenerci in vita.
I sogni di Giuseppe – «il signore dei sogni» viene chiamato nel testo della Genesi – sono ciò che lo separano dai suoi fratelli; «i sogni» del padrone della vigna sono ciò che separano il figlio unico dai vignaioli omicidi. L’ascolto della Parola nel cammino quaresimale ci metta sempre più in sintonia con «i sogni di Dio», perché essi non ci separino da lui, ma ci preparino ad accogliere la visita del Figlio amato, che nella sua Pasqua è mandato avanti per mantenerci in vita, per donarci la sua stessa vita.
Dal Salmo 104
Il Signore chiamò la carestia su quella terra,
togliendo il sostegno del pane.
Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
finché non si avverò la sua parola
e l’oracolo del Signore ne provò l’innocenza.
Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
lo costituì signore del suo palazzo,
capo di tutti i suoi averi.
Preghiera
O Dio nostro Padre,
tu incessantemente e premurosamente
hai mandato davanti a noi i tuoi servi, i profeti,
per invitarci alla conversione e alla comunione con te.
Nella pienezza dei tempi hai inviato a noi
il tuo Figlio amato per rivelarci la grandezza del tuo amore
e per farci conoscere il tuo Volto.
Ti preghiamo di aprire i nostri occhi,
perché anche nel tempo che stiamo vivendo,
sappiamo riconoscere coloro che tu ci invii
e i segni della tua misericordia che mai ci abbandona.
Per Cristo nostro Signore.
Indubbiamente ciò che è male rimane male e ciò che è emergenza rimane emergenza. Ma anche un fatto in sé doloroso e molto negativo assume un valore differente per la nostra vita dal modo in cui noi lo viviamo, scegliamo di viverlo e, come credenti, cerchiamo di comprendere come attraversarlo alla luce della Parola di Dio. Allora anche il tempo del Covid-19 può diventare un’occasione per riscoprire alcuni aspetti della nostra fede, mentre la Quaresima che stiamo vivendo può insegnarci ad attraversare il difficile deserto del Coronavirus. La quarantina ha qualche cosa da dire alla quarantena.
La ricetta quaresimale Questo travaglio mondiale e nazionale cade proprio nel tempo di Quaresima. La Chiesa nella sua storia bimillenaria per questo tempo liturgico ha sempre indicato dei “rimedi”, delle “medicine” per attraversare il deserto quaresimale e giungere, rinnovati e “guariti” dalle nostre ferite, a celebrare la vittoria pasquale: l’ascolto della Parola e la preghiera, il digiuno, la carità. Non potrebbero essere anche queste “medicine” quaresimali ad indicarci come vivere questo tempo così difficile anche per la fede. Invece di protestare per la ragionevole e doverosa sospensione delle celebrazioni pubbliche, per il bene nostro e degli altri, non si potrebbe “rispolverare” alcune pratiche che ci vengono dalla sapiente tradizione cristiana? Forse allora anche la quarantena potrebbe dire qualche cosa alla nostra quarantina e “costringerci”, come spesso accade quando si è necessariamente ridotti all’essenziale, a riscopre alcuni elementi fondamentali della fede.
L’ascolto e la preghiera Innanzitutto l’ascolto e la preghiera. Perché insistere così tanto anche sulla Messa trasmessa per televisione? Può certo essere una cosa buona per persone sole o anziane; può essere utile per ascoltare le letture e l’omelia. Tuttavia non ci sono anche altri modi per ascoltare la Parola di Dio e per pregare? Non potrebbe essere questo tempo forzato un’occasione per riscoprire che, secondo il dettato del Vaticano II, la Bibbia deve diventare il nutrimento di tutti? Le famiglie potrebbero trovarsi insieme quotidianamente, prendere le letture del giorno, leggerle, stare un po’ in silenzio e concludere con un momento di intercessione e di preghiera. La Quaresima allora direbbe alla quarantena che è necessario ricordarsi di Dio e che un credente non può vivere questi momenti nella disperazione e ripiegandosi unicamente su sè stesso. La quarantena dice alla quarantina che l’uomo “non vive solo di pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3). La quarantena del Covid-19 ricorda invece al credente nel tempo di Quaresima di riscoprire che “preghiera” non è solo Messa, ma che proprio perché la celebrazione eucaristica sia feconda, occorre un ascolto personale delle Scritture e una preghiera non solo comunitaria. Può essere anche il tempo della riscoperta della preghiera in famiglia.
Il digiuno Il secondo elemento che la tradizione ecclesiale suggerisce per attraversare il tempo di Quaresima è il digiuno. Certo non quel digiuno un po’ “ipocrita” che consiste nel rinunciare a qualche piccolo “lusso” o mangiare pesce costosi il venerdì al posto della carne. Si tratta del digiuno vero, quello spazio vuoto che indica una apertura a Dio e agli altri. In questo caso la Quaresima potrebbe dire alla quarantena che
questo tempo di “digiuno”, non scelto ma forzato, da tante cose che consideriamo fondamentali nella nostra vita può diventare un tempo per fare spazio alle cose veramente essenziali. Innanzitutto, per un credente, uno spazio per Dio. La necessità di abbandonare tante cose superflue ci fa toccare, forse anche con sofferenza, la fragilità della nostra esistenza e ci guida a riscoprire la possibilità di vivere in un modo differente per fare spazio a Dio. Nello stesso tempo la quarantena può dire alla nostra Quaresima che ci può essere anche un “digiuno eucaristico” che può alimentare l’attesa e la fame di partecipare alla celebrazione eucaristica nell’assemblea liturgica radunata intorno all’alatare Signore. Non potrebbe essere questo “digiuno eucaristico” di oggi, non sconosciuto alla tradizione cristiana, un’occasione per vivere in un modo differente la Celebrazione eucaristica domani?
La carità Infine, l’ultima medicina quaresimale è la carità. La Chiesa ai catecumeni e ai penitenti suggeriva la carità fraterna come medicina dell’anima per guarire e trasformare il cuore. La Quaresima potrebbe insegnare alla quarantena per il Covid-19 che ciò che ci viene chiesto in questi giorni – rimanere in casa, rinunciare a quello che, anche di buono e di bello, potremmo fare – è un atto di carità verso noi stessi e verso il prossimo. Soprattutto verso i più deboli e i più esposti. La Quaresima dice alla quarantena che la responsabilità in questo momento non è solo un fatto di legalità e di civiltà, ma anche di fede. Un cristiano vive tutto questo come esercizio della carità, seguendo le orme di Gesù che non è venuto per essere servito, ma per servire; non è venuto per i sani ma per i malati; non ha vissuto per sé stesso, ma per gli altri. D’altra parte la quarantena può dire alla Quaresima di riscoprire una carità concreta che si fa carne nelle scelte concrete di ogni giorno. Se oggi questa carità ha il volto ben preciso dello “stare a casa”, un domani questa medesima carità vorrà dire vivere le scelte della nostra vita non solo dalla prospettiva del “buon cittadino”, ma anche da quella del “buon cristiano”, che non estromette la fede da alcun ambito della propria vita.
Il vaccino quaresimale Ecco il vaccino che la fede ci dona e che non ha bisogno di nessuna sperimentazione. È già stato sperimentato per secoli: l’ascolto-preghiera, il digiuno, la carità. Se come credenti vivremo con fede questo tempo di “prova”, potremo scoprire domani che la quarantena ci ha insegnato qualche cosa, che magari avevamo perduto, sulla quarantina, mentre la Quaresima ci sosterrà nel cammino in questo deserto della quarantena. Se sapremo ascoltare sia la quarantina, sia la quarantena, potremo giungere, rinnovati, a celebrare la Pasqua del Signore. E sarà veramente una Pasqua di Risurrezione! Allora anche le nostre assemblee vivranno la festa del sentirsi nuovamente convocate, magari avendo prima dovuto attraversare il tempo in cui sperimentare un ascolto diverso, un digiuno non scelto ma accolto, una carità autentica.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli