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Fontana rende omaggio al vescovo Giovanni D’Ascenzi

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“Il suo episcopato in terra aretina si caratterizzò per la grande attenzione alla promozione delle vocazioni sacerdotali e la ripresa della voce della Chiesa  nel  contesto culturale del territorio. Si trovò ad affrontare il complesso passaggio dalle tre vecchie diocesi alla nuova, provvedendo a darle un’adeguata fisionomia istituzionale. Dà attuazione al Concilio, costituendo i nuovi organismi di partecipazione”. Con queste parole, l’arcivescovo Riccardo Fontana ha reso omaggio a monsignor Giovanni D’Ascenzi, in occasione della celebrazione delle esequie nel Duomo di Arezzo. 

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Omelia dell’Arcivescovo per le Esequie del Vescovo Emerito Giovanni D’Ascenzi

Venerati fratelli nell’Episcopato,

cari sacerdoti, figli e figlie della nostra Chiesa diocesana:

il Signore ci dia pace, in questo momento in cui la santa assemblea

dà il commiato cristiano al nostro Vescovo Giovanni.

 

         Questa celebrazione  è l’avvio della pasqua personale del Vescovo che per 13 anni ha retto questa Chiesa diocesana. E’ anche l’ultimo dono che egli in terra fa al popolo che ha amato e servito nel suo ministero.

         Il suo episcopato in terra aretina si caratterizzò per la grande attenzione alla promozione delle vocazioni sacerdotali e la ripresa della voce della Chiesa  nel  contesto culturale del territorio.Si trovò ad affrontare il complesso passaggio dalle tre vecchie diocesi alla nuova, provvedendo a darle un’adeguata fisionomia istituzionale. Dà attuazione al Concilio, costituendo i nuovi organismi di partecipazione.      Nel corso del suo episcopato, memorabili sono le visite di Giovanni Paolo II nel 1993 ad Arezzo e Cortona, e a La Verna e Camaldoli, e la Peregrinatio Mariae svoltasi nel 1995-1996 nelle parrocchie più popolose, per celebrare il secondo centenario della Madonna del Conforto.

         Alla maniera della Scrittura ci piace fare memoria del bene che per suo tramite il Signore ci ha elargito; ringraziare Iddio per il servizio reso dal Vescovo Giovanni a questa Chiesa e intercedere a favore del  fratello defunto, perché il Signore distolga lo sguardo dalle fragilità da cui è appesantito ogni uomo che si presenta al cospetto dell’altissimo.

         Raccogliamo dalla Parola di Dio qualche seme di meditazione, ispirandoci alla vicenda umana del Vescovo che salutiamo insieme.

1.     “E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3,26). Il libro delle lamentazioni ci offre una chiave di lettura per gli anni in cui il successore degli Apostoli che ora salutiamo è rimasto incapace di comunicare con il mondo esterno: un grande silenzio nel quale una vita che sembrava “assenzio e veleno”[1] si è comunque svolta al cospetto di Dio. La tradizione dell’Occidente cristiano vuole che il Ministro del Signore sia ad un tempo sacerdos et hostia. Dopo una vita intensa, piena di attività, un ministero svolto prima nella chiesa viterbese poi a Roma, a Pitigliano e infine da noi per un disegno imperscrutabile che Dio ha comunque permesso il suo servo è rimasto come offerta sull’altare non raccolta per anni, come un’oliva lasciata sull’albero, quasi dimenticata dagli uomini. Nessuno di noi riesce a cogliere una motivazione umana per l’immane silenzio di questi anni. Solo la fede ci conforta alla luce della Parola di Dio: “le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie”[2]. La lunga attesa del vescovo Giovanni durata più di quella delle sentinelle all’aurora, sappiamo che è giunta al suo esito “perché con il Signore è la misericordia e grande è con Lui la redenzione”[3]. L’offerta di una vita spesa per la Chiesa, oggi dinanzi al popolo, diventa il segno della speranza. Il lungo peso di tanto dolore sopportato dal Vescovo prende senso solo nella contemplazione del Crocifisso che -“propiziatorio sospeso in Croce”- ha una straordinaria efficacia, perché ci fa passare dall’ordine delle cose pensate, all’esperienza vissuta; dalla salvezza sperata, alla patria beata. “Colui che guarda attentamente [il Crocifisso] compie con lui la Pasqua, cioè il  passaggio, affinché con la verga della croce attraversi il Mar Rosso, dall’Egitto passando al deserto, dove possa gustare la manna nascosta, e con Cristo riposi nel Sepolcro come morto alle preoccupazioni di questo mondo, sperimentando però… ciò che Cristo in croce promise al buon ladrone: oggi sarai con me in paradiso”[4]. Tanto ci insegna  Bonaventura, indicando alla Chiesa universale,  in questa esperienza,  la dimensione interiore  di San Francesco a La Verna.

2.     “Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria”[5]. Con la medesima trepidazione di Israele antico al passaggio del Mare Rosso, questa Chiesa accompagna il vescovo Giovanni al suo passaggio di liberazione, verso la Santa Gerusalemme del Cielo. Pur obnubilata nel dolore della separazione e nei ricordi che si affollano nella mente di molti, ormai prossima è la Pasquadel nostro fratello vescovo; siamo infatti “convinti che Colui che ha risuscitato il Signore Gesù, resusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a Lui, insieme con voi”[6].

              Sull’insegnamento dell’Apostolo sappiamo leggere l’austera lezione delle spoglie mortali ormai prossime a essere deposte nella terra: “noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili…che sono eterne”[7]. Il nostro corpo infatti è come una tenda, la nostra dimora terrena: quando sarà distrutta riceveremo da Dio una dimora non costruita da mano d’uomo. Il nostro fratello vescovo ha dedicato gran parte del suo magistero nel predicare la fede nella resurrezione e le gioie che ci aspettano in Cielo. Ci piace ricordare in questo momento supremo i legami fortissimi che egli ebbe con la Madonna. Tra breve deporremo le spoglie mortali del vescovoad pedes Dominae nostrae e a Lei affidiamo il nostro fratello e la sua sofferenza 

3.     “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui”[8]. La croce gloriosa del Cristo riassume le sofferenze del mondo intero, ma è soprattutto segno tangibile dell’amore, misura della pietà di Dio per l’uomo che, al di là del peccato, mai è abbandonato dal suo Creatore. Anche noi, con il salmista, qua ci sentiamo sollevati dal peso della storia: ”perché le genti sono in tumulto/ e i popoli cospirano,invano?… Ride Colui che sta nei cieli,/il Signore si fa beffe di loro”[9]. Da queste riflessioni  si innalza la scala di Giacobbe[10]; noi tutti siamo chiamati a recuperare la dimensione soprannaturale delle cose, a liberarci dal peso del contingente, a tornare ad affidarci completamente al Signore, con cuore libero e perfetta letizia.  

              Vorremmo che questa Eucaristia nel cuore della Quaresima ci aiutasse a contemplare il volto del Signore risorto che è fonte della nostra speranza. La vicenda umana del vescovo Giovanni va letta alla luce della narrazione marciana della morte e risurrezione del Signore, che abbiamo appena ascoltato.       Nella casa di Santa Maria Maddalena presso il Castello di Gargonza, abbiamo visto la passione di un uomo e la carità di chi ha saputo stare provvida ai piedi di quella croce, nella preghiera come Maria e nel servizio come Marta.          Ora ci affidiamo alla fede di questa Chiesa diocesana e assieme ai congiunti del vescovo defunto e a quanti lo conoscemmo vivo e operoso, vogliamo ascoltare la voce degli Angeli che tornano a ripeterci questa mattina: “non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui”[11].

              Assieme al Signore amiamo pensare il suo servo fedele e a Lui lo affidiamo. Con le parole del Papa vogliamo interpretare questo momento, questa vicenda che stiamo vivendo nel ricordo del vescovo che ha servito questo popolo: “il suo andare via è al contempo un venire, un nuovo modo di vicinanza a tutti noi”[12]



[1] Lam 3, 19

[2] Lam 3, 22

[3] Sal 130, 7

[4] Idem, Itinerarium mentis in Deum, Cap VII, 2

[5] II Cor 4,17

[6] II Cor 4, 14

[7] II Cor 4, 17

[8] Mc 16,6

[9] Sal 2, 1.4

[10] Cfr. Gen 28, 10-22

[11] Mc 16, 6

[12] J. Ratzinger, Gesù di Nazareth, 2, 315

Al museo diocesano di Cortona torna il capolavoro del Beato Angelico

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L’Annunciazione del Beato Angelico ha fatto ritorno alla sua ormai consueta collocazione nel Museo diocesano di Cortona.  L’opera era stata scelta dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione come primo pezzo di una singolare “staffetta” di opere dei Maestri del Rinascimento, organizzata in occasione dell’Anno della Fede, nella Galleria Borghese di Roma. Oggi L’Annunciazione è stata riportata a Cortona accompagnata da un funzionario della Soprintendenza di Arezzo. Nel primissimo pomeriggio era già completata l’opera di riallestimento e nuovamente visibile presso il museo diocesano di Cortona. 

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È morto mons. Giovanni D’Ascenzi giovedì alle 10 il funerale in Cattedrale

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Martedì 26 febbraio è morto monsignor Giovanni D’Ascenzi, Vescovo emerito della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. La salma giungerà in Cattedrale mercoledì 27 alle 12, e alle 21 è prevista una veglia di preghiera a cui è invitata a partecipare tutta la cittadinanza. Giovedì 28, alle 10, sarà celebrato il funerale, trasmesso in diretta dall’emittente diocesana Tsd.
Monsignor Giovanni D’Ascenzi nasce il 6 gennaio del 1920 a Valentano in provincia di Viterbo, in una famiglia di umili origini e di salde tradizioni cattoliche. Viene ordinato presbitero nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il 19 giugno del 1943, nella Cattedrale di Montefiascone (Vt), sua diocesi di origine. Laureatosi nel 1950 in teologia presso la Facoltà teologica della Pontificia Università Gregoriana, diviene docente di sociologia rurale presso l’Università Cattolica di Piacenza e alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. Nel 1952 il Papa lo nomina monsignore e da quell’anno e fino al 1975 è consigliere ecclesiastico nazionale della Coltivatori Diretti. Pubblica numerosi studi e articoli sulla dottrina della Chiesa e il mondo rurale. Per incarico della Santa Sede, in quegli anni svolge un’intensa attività internazionale per promuovere il coordinamento delle varie associazioni cattoliche nazionali di coltivatori.

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Madonna della Selva: restaurato l’affresco

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Un dipinto della Beata Vergine con in collo il Bambino, nell’atteggiamento di nutrirlo con il suo latte alla presenza di due angeli in posizione estatica e orante. Questa la descrizione di uno dei pochi affreschi che si trovano nel territorio di Caprese Michelangelo. Non conosciamo l’epoca nella quale è stato dipinto (XV secolo?) e nemmeno chi sia l’autore; certamente non un pittore di fama ma devoto della Madonna nella sua maternità divina. Il dipinto esisteva ed era venerato in una maestà o cappella lunga quattro braccia e alta cinque edificata ai bordi della strada che univa la terra di Caprese con il Castello di Montauto. Nel 1634 le apparizioni della Madonna in quel luogo, chiamato “La Selva”, procurarono notorietà al dipinto e quell’immagine fu oggetto di accresciuta devozione nel territorio di Caprese e nei dintorni. Dal 1634 al 1640 fu eretto un sacro edificio contenente l’antico affresco e capace di accogliere molti devoti. La costruzione, iniziata con la sola chiesa di stile barocco-toscano, molto sobria e armoniosa, con l’andare del tempo si arricchì di altre pertinenze. In occasione del Grande Giubileo del 2000 è stata oggetto di un consistente restauro in tutte le sue strutture che hanno portato alla nascita di una casa scoutMancava solo il restauro dell’affresco, e nel 2012 si è provveduto a quest’ultima opera.

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Primo incontro del Coordinamento oratori della diocesi

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Giovedì 28 febbraio si riunisce per la prima volta il Coordinamento Oratori della Diocesi. Molti gli argomenti all’ordine del giorno a partire dai risultati spunti emersi nel convegno regionale sugli oratori svoltosi il 20 gennaio scorso ad Arezzo. Nell’incontro verrà anche proposto un tema condiviso per l’estate e ripreso da quello scelto dalle diocesi lombarde. Tra l’altro segnaliamo che un’equipe del Centro Pastorale per i giovani ha studiato e approfondito questo tema insieme agli ideatori in un incontro svoltosi a Brescia. 

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Quaresima di carità in aiuto dei più poveri

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“Anche in questa Quaresima 2013, la Chiesa aretina-cortonese-biturgense indica la raccolta per il Fondo di solidarietà a sostegno delle persone e delle famiglie in difficoltà come segno unitario di attenzione ai poveri. La crisi economica e sociale, che ormai da anni stiamo vivendo, è una crisi che manifesta tutta la sua tragicità, soprattutto nell’ambito lavorativo, e che richiede risposte non solo di tipo economico ma anche di speranza e di ascolto”. Così in una lettera indirizzata ai sacerdoti della diocesi, il direttore della Caritas diocesana, don Giuliano Francioli annuncia la nuova raccolta che sarà realizzata durante la Quaresima in tutte le parrocchie.

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Omelia dell’Arcivescovo nella II domenica di Quaresima

Fratelli e Sorelle nel Signore:
pace a voi!

 

Come Pietro Giacomo e Giovanni, gli amici di Gesù, siamo chiamati anche noi  a salire sul monte, per vedere il vero volto di Gesù e riprendere il coraggio necessario per fare i cristiani nella quotidianità della vita.
            Siamo tutti coinvolti nel pellegrinaggio stazionale, con il quale quest’oggi larga porzione del popolo di Dio di questa Chiesa particolare ha voluto esprimere la voglia di uscire dalle abitudini usurate dal tempo, per rinnovare con la contemplazione la propria fede. Anche noi siamo saliti sul Monte.
            La parola chiave per entrare nel Vangelo della trasfigurazione è appunto exodos. Per riempirci di Dio ci è chiesto a tutti di farci pellegrini: di deporre l’uomo vecchio che è in noi, di rivestirci della novità del Cristo. La nostra aspirazione grande salendo sul monte della preghiera è di “conoscere Lui, la potenza della sua resurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, divenendogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla resurrezione dei morti”[1]

 

1. Il Vangelo della Trasfigurazione è una proposta per noi
            La narrazione lucana della trasfigurazione ci insegna che, per essere chiamati a condividere la sua stessa esperienza di esodo, “thn exodon autou”[2], è necessario essere tra i suoi amici. L’evangelista intende sottolineare il valore pasquale delle vicende di Gerusalemme. La passione morte e resurrezione di Gesù sono un nuovo e definitivo “esodo”: non già dall’Egitto, ma dalla condizione di schiavitù in cui più o meno consapevolmente ci troviamo. Non ci è promessa la terra di là dal Mar Rosso, ma la città di Dio: la città della giustizia e della pace. Questa nostra vita, per gli amici di Gesù, è dunque un cammino nel deserto, come lo fu quello dell’Israele antico. Alla Pasqua si partecipa se si è amici di Gesù. Egli ha fatto il primo passo: ci ha chiamati suoi amici e per noi si è assoggettato alla passione, è morto ed è risuscitato . Tocca dunque a noi far ora la parte nostra. Al Monte di San Savino, siamo convocati per decidere nel segreto delle nostre coscienze, ma anche dando senso di verità all’assemblea che si è adunata, se vogliamo essere tra gli amici di Gesù.
            Tra le espressioni più antiche della liturgia romana il titolo più bello che si dà ai cristiani è di essere “famuli Dei”: di avere cioè familiarità con Dio.
            Impariamo dai fanciulli che cosa significhi e raddrizziamo di conseguenza la nostra vita di adulti. San Domenico Savio, il piccolo santo al seguito di Don Bosco, il segno di come il grande educatore di giovani volesse che fossero gli oratori, dette una risposta ai suoi compagni di giuoco che merita di essere ricordata stasera di fronte all’Assunta del Vasari, in questa Chiesa che parla dovunque della Città di Dio. Nel parlare dei ragazzi, chi sa perché quel pomeriggio il discorso andò sulla fine del mondo e sul giudizio di Dio. Che faresti te se sapessi che questo mondo sta per finire? Vi fu chi voleva andarsi a riconciliare; ci fu anche chi protestò la sua volontà di fare per il futuro buone azioni; un altro ancora voleva mettersi a pregare. Il santo, con semplicità diceva ai suoi compagni di giuochi che avrebbe proseguito a giocare. Di fronte al giudice romano il nostro antico martire, che convertì i Longobardi, San Savino, disse lo stesso. Ho Dio per amico, cosa mai potrà accadermi di male? Poniti anche tu la stessa domanda e vedi se puoi tranquillamente proseguire il tuo giuoco.
Papa Leone Magno insegna che ci sono tre buone ragioni per spiegare questa fortissima esperienza che Gesù propone ai suoi amici:
  1. 1.“rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce”
  2. 2.“dare un fondamento solido alla speranza della Chiesa, perché tutto il corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato oggetto”
  3. 3.“confermare gli apostoli nella fede… con la testimonianza di Mosè e di Elia”[3] perché dinanzi a tanti testimoni non dubitassero della verità del Cristo, Verbo di Dio.
            Anche a noi questa sera sono offerte le stesse prove, è proposto lo stesso progetto: andare al di là delle apparenze, trans figuram. Ci è chiesto di uscire dalla banalità, con cui si vanificano anche le esperienze più belle della vita. Siamo terribilmente piallati da una civiltà dell’apparenza che svuota i contenuti, rende tutto effimero e su tutto insinua dubbi e incertezze. La maturità della fede ti porta al recupero dell’essenzialità. In questo secondo passo della quaresima ci è chiesto di fermarci sulle cose che contano, per recuperare il nostro giudizio, la nostra libertà. Ci è chiesto di affermare e vivere i valori ai quali intendiamo improntare la nostra vita.
            Per recuperare il fascino della fede è ancora necessario salire sul monte, che è espressione biblica che indica il cammino interiore alla ricerca di Dio. La Parola ci ripropone la via della fatica e della preghiera. Ciascuno riveda il proprio progetto di vita e si impegni a favorire il gran bene che si porta dentro. Come si sale in montagna perché dalla vetta si aprono più larghi orizzonti e si respira aria più pura, così ci è chiesto di uscire dalla mediocrità e dallo sconforto per rimediare in questo tempo almeno alle più consistenti inclinazioni al male. Scegli se vuoi seguire il Signore sul monte e comportati di conseguenza. Agli adulti è chiesto di riaprire per se stessi il discorso sul metodo, perché le aspirazioni di questo giorno si traducano in realtà.
            Ci è proposta innanzi tutto la via della contemplazione. Per lasciarsi svelare il volto glorioso di Cristo dobbiamo favorire il recupero dell’ascolto della Parola di Dio. Abbiamo bisogno di superare la grossolanità interiore e di favorire la delicatezza dello spirito: che è gioia e pace; è poesia e amore; è il contenuto della promessa che il Signore ci fa, chiamandoci suoi amici. Il materialismo che ci circonda ci rende ottusi, slabbrati come un vecchio maglione.

 

2. La contemplazione nel linguaggio del Tabor “svela” il volto di Gesù

 

            Dio stesso attesta che Gesù è “il Figlio mio”[4]: noi ci fidiamo di Gesù, perché è Dio, in quell’unità di natura, che ripetiamo ogni domenica nel “credo”. Alzare gli occhi verso il crocifisso è contemplare il volto di Dio, non solamente la sua passione; è invece il segno del suo amore per noi: è il segno del limite, della misura straordinaria a cui arriva l’amore di Dio per noi. Dio è Dio: più grande di noi anche nell’amore; è il “grande nella misericordia”. Noi siamo il suo popolo. Non disperare: impara la fede dal ladrone pentito in croce.
            Nella nostra Chiesa risuonò la predicazione del “Nome di Gesù” di San Bernardino e dei frati francescani: il popolo per secoli si è chinato commosso di fronte alla bontà di Dio. Di fronte al Santo Nome. Torniamo anche noi a più miti consigli: lasciamoci toccare il cuore dall’amore di Dio per noi!
            È “l’Eletto”: Dice la voce sul Tabor, per indicare che Gesù ha una missione per noi. Cristo si cura di noi, è interessato a me. È la vicinanza di Dio verso di me.
            Gli antichi nostri fratelli del Medioevo, di fronte al male che anche allora pareva prevalere; di fronte al timore che Dio stesso si sia disgustato di noi e del nostro comportamento amavano ripetere: “Recordare Jesu pie quod sum causa tuae viae, ne me perdas illa die”[5]. La Scrittura non cessa di ricordarci che nessun cristiano può rimanere indifferente di fronte al dolore, alla morte, alla altrui sofferenza. Anche in questa settimana il suicidio di alcuni giovani figli della nostra Chiesa ci interpella, perché forse non sapemmo accorgerci delle loro fragilità, o non sapemmo dir loro con linguaggio comprensibile a questa generazione che si fidassero del Signore. Abbiamo bisogno d’incarnare la pace con la nostra fede: pace nel mondo; pace anche tra di noi, perché possiamo essere credibili annunziatori della pace di Cristo.
            “Ascoltatelo” dice infine la voce del Tabor, che vuol dire la sequela di Gesù che è chiesta a ciascuno di noi. Ascoltare vuol dire andargli dietro, al di là delle cose.
            Ripetere con l’Apostolo che “la nostra patria è nei cieli”[6] significa riordinare le nostre priorità. L’adesione al Vangelo comporta scelte concrete di vita. Ai cristiani è chiesto di distinguersi dal loro stile di vita, non già nell’ideologia.
            So bene che l’avventura cristiana è una grande fatica. La liturgia ci aiuta perché non perdiamo il coraggio: “In alto inostri cuori”… “Sono rivolti al Signore” [7]. Vuoi sapere a quale Signore? “A Dio che allieta la mia giovinezza”[8] Non importa se è faticoso: rinnovo l’impegno a seguire il Signore Gesù. Gli antichi si facevano coraggio: “Per crucem ad lucem”[9].

 

3. L‘alleanza che ti viene riproposta stasera è come quella di Abramo: avere le stelle per discendenza. Il recupero della poesia

 

            Abbiamo ripetuto col salmista: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”[10]. Sì il Signore è la mia parte d’eredità, perché io stia sicuro del futuro che mi attende; è Lui il mio calice, perché io possa fare festa.
            La fede che rinnoviamo stasera è scegliere con Abramo di essere “fecondi”, di avere un seguito, di non insterilire la proposta che ci viene dalla Parola di Dio.
            È un invito alla nostra Chiesa diocesana ad uscire dal “ghetto” e a diventare propositivi: questo è il senso della missione, questo è il più qualificativo contributo che possiamo offrire agli altri nel dialogo. Forse è l’occasione propizia per riproporre la sequela di Gesù a tutti i nostri che non sono qui: contemplare sul Tabor ci fa rendere ancora conto che vogliamo rinnovare la nostra disponibilità alla missione. Vogliamo dire al Signore che può contare anche su di noi.
            Il Santo Viaggio che ci viene proposto è molto concreto: “Nutri la nostra fede, o Signore, con la tua parola, purifica gli occhi del nostro spirito, perchè possiamo vedere”[11]. Questa è la Quaresima, questo è il tempo favorevole, perché ritorniamo al Signore e con lui ci rimettiamo in marcia verso la Gerusalemme del Cielo.

[1] Fil 3,10-11

[2] Lc 9,31

[3] S. Leone M. Discorso 51,3

[4] Lc 9, 28-36

[5] Tommaso da Celano, Sequenza Dies irae

[6] Fil 3,20

[7] Messale Romano, introduzione ai Prefazi

[8] Sal 43(42),4

[9] Sentenza medievale in Walther 21191a

[10] Sal 27 (26),1

[11] Messale Romano, Domenica II di Quaresima, orazione colletta 

Stazione quaresimale a Monte San Savino

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Proseguono le Stazioni quaresimali, il percorso di avvicinamento alla Pasqua guidati in ogni Zona Pastorale dall’arcivescovo Riccardo Fontana. Dopo la prima tappa del Mercoledì delle Ceneri nel Duomo di Arezzo, in concomitanza con la Novena della Madonna del Conforto, domenica scorsa la Stazione è stata ospitata dal Casentino, nella parrocchia di Bibbiena, dove è stato conferito il lettorato al seminarista Luca Vannini. Luca, 34 anni, era stato ammesso tra i candidati all’ordine sacro il 23 settembre scorso nella parrocchia di Ponte a Poppi, dove è cresciuto.

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Tsd a casa dello scrittore toscano Manlio Cancogni per i 70 anni di matrimonio con la moglie Rori

Febbraio 1943-febbraio 2013. Settant’anni di matrimonio. Oggi che la durata di una coppia si conta quasi in mesi, dodici lustri di convivenza sembrano una durata «lunare». Il noto scrittore e giornalista (ha vinto il Premio Strega e ha lavorato per le principali testate italiane) Manlio Cancogni (97 anni) e la moglie Rori (89) sono al vertice di una lunghissima storia basata sui valori umani e religiosi. Un affetto reciproco che, pur nella marcata diversità dei caratteri, li ha portati a superare anche i dolori più acuti, come la perdita, vent’anni fa, di una figlia.

Se chiediamo a Rori (il cui vero nome è Maria Vittoria Vittori) qual è il pregio che più ammira in Manlio la risposta è immediata: la bontà innata e la generosità. Una dote precipua che Manlio apprezza nella moglie? «Non so scegliere. Posso solo dire che non ho saputo, non so e non saprei fare a meno di lei».

Nella casa sul lungomare di Tonfano, in Versilia, la vita scorre tranquilla, allietata dalle frequenti visite di parenti e amici. Anche davanti al televisore Rori e Manlio sono una accanto all’altro per vedere le partite di calcio. Ma – è questa l’unica divergenza fra i due – il tifo bianconero di Rori si scontra puntualmente con l’astio anti-juventino dello scrittore «che risale – ci tiene a precisarlo – al 1926».

Una troupe di Tsd (in collaborazione con TvPrato e il settimanale Toscana Oggi) è stata accolta in casa Cancogni, tra il mare e le Apuane, dove Manlio e Rori, facendo un’eccezione al loro naturale riserbo, hanno reso possibile uno speciale di 40 minuti attraverso il quale i telespettatori diventeranno partecipi dei ricordi e dei sentimenti di questa coppia di «ferro».

«Coppia di “ferro” – Una storia d’amore, libri, giornali e viaggi» è infatti il titolo del programma della serie «Tsd eventi» in onda sul canale 85 del digitale terrestre e in streaming sul sito www.tsdtv.it sabato 23 febbraio alle 21.20.