Miei cari fratelli presbiteri,
Figli e figlie della Chiesa:
il Signore ci dia pace mentre insieme avviamo la Settimana Santa!
Questa assemblea ha appena celebrato la stazione quaresimale, ripetendo i gesti dei fanciulli ebrei all’ingresso di Gesù a Gerusalemme.
1.Due temi si intrecciano inseparabilmente in questa liturgia: la memoria dell’ingresso trionfale del Signore nella Città Santa e l’avvio della sua passione che ci salva tutti.
La storia della Chiesa è scandita da questi motivi che si contrappongono: la vicinanza alla gente e l’insanabile contrasto tra il Vangelo e la visione mondana della vita: “Redemptor orbis, immolatus, vicerit”, il Redentore del mondo, immolato, ha vinto
[1].
È il cuore del Mistero Pasquale: la scelta di Dio di vincere la superbia del mondo attraverso la via dell’umiltà e del servizio. La scelta che ci viene proposta in apertura della Settimana Santa ci induce alla riflessione: questa generazione di cristiani vuole veramente avere Gesù come modello e la sua scelta di mansuetudine e di umiltà come scelta di vita?
Ha un fascino assoluto scegliere per Gesù: è una decisione profondamente umanizzante aver Lui come mio modello. Vale davvero la pena ritornare al Vangelo nella semplicità della vita e nella sapienza di “nulla anteporre all’amore di Cristo”
[2].
2.Tutto il nostro Seminario è in mezzo a noi. Tra breve faremo Alessandro Accolito.
Credo interessante che il Seminario, che non è estraneo alle contraddizioni e alle difficoltà dell’età giovanile, si faccia stasera strumento evangelico per interpellare tutto il popolo di Dio.
Mettersi al servizio degli altri non è una questione teorica, astratta: i seminaristi sono nostri figli che cercano di vivere la compagnia degli Apostoli, in questo bellissimo momento di Chiesa, in cui il Papa, scegliendo il nome di Francesco, propone di ritornare al Vangelo con radicalità, ciascuno di noi mettendo in gioco la propria vita.
Il tempo del loro discernimento ci coinvolge tutti, perché ripropone a tutti la possibilità di scegliere; fa delle ragioni della fede la regione di vita: è davvero possibile seguire Gesù, con l’impegno di una vita? Vale la pena puntare sul servizio agli altri, come risposta al Vangelo? Questi figli provano a dire come molti di noi: “Il Signore è mia parte d’eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda”
[3].
Riusciremo a ringraziare anche noi il Signore per la chiamata al suo servizio, che è ragione della gioia, anche quando costa fatica?
Nella logica del Vangelo, dove Dio non permette mai che prove della vita siano superiori alle nostre forze, assicurandoci la sua grazia, questa è l’occasione propizia per ragionare delle nostre difficoltà. La fatica è uno dei nomi della croce.
Chi sceglie di avere come modello Gesù, in qualunque condizione di vita, nel sacerdozio come nel matrimonio, mette in conto che non tutto sarà facile. Sarebbe perfino banale.
Dio che ci ha fatti figli nel Figlio, ha fiducia di noi: non sottovaluta il nostro senso di responsabilità, che manifesta fortemente la fede vissuta. Potendo liberamente scegliere, col suo aiuto e l’esempio del “primogenito fra molti fratelli”
[4] sapremo anche noi fare scelte di servizio.
Il peso delle contraddizioni del mondo mette certamente a dura prova la nostra vita quotidiana e quella dei nostri ragazzi che si avviano al sacerdozio. Non è meno difficoltoso, tuttavia, per chi fa altre scelte di vita. L’egoismo diffuso e incrementato in questi anni dal materialismo pratico in cui l’Occidente si è trovato a vivere è responsabile della mancanza di generosità del nostro tempo e della caduta di molti ideali. La gente, lo abbiamo visto anche recentemente sulla scena politica, non sa fare di meglio che protestare. Tutti rivendicano. Si ragiona dei diritti propri; assai meno dei doveri che ciascuno ha in ordine al bene comune. La vocazione al sacerdozio è essenzialmente il contrario di questi stili di vita, ricordando il Paradiso e indicando a tutti nella via della carità la strada per raggiungerlo. Questi temi, cari alla Scrittura, sono presentati con efficace sintesi da San Paolo, che ci ricorda che la vocazione cristiana è la fatica di completare “quello che manca alla passione di Cristo”
[5].
3.L’accoglienza del Signore nella città dell’uomo
Oggi la Chiesa, ricordando l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, ci parla “per ritus et preces”. Ci rammenta le condizioni necessarie per accogliere il messaggio cristiano.
Il corteggio dei rami d’ulivo, segno della pace in tutte le civiltà mediterranee, è la condizione necessaria per far riscoprire la bellezza di accogliere Dio in mezzo a noi. La cultura della pace è ad un tempo il desiderio profondo dell’uomo di incontrare Gesù, ma anche l’effetto della sua venuta nella nostra casa. La cultura della polemica e della contrapposizione violenta non ci appartiene. Le differenze sono sempre dono dello Spirito, le divisioni opera del Maligno. Nella ricerca della pace c’è già una superiore ispirazione divina. Con la pace nulla è perduto. Nel conflitto anche i migliori si perdono. L’incontro con il Signore ci assicura la pace interiore, secondo l’insegnamento di Sant’Agostino: “Tardi t’amai, bellezza così antica e così nuova, tardi t’amai !Ed ecco, tu eri dentro di me ed io ti cercavo fuori di me e mi gettavo, brutto com’ero, sulle cose belle della tua creazione. Tu eri con me, ma io con ero con Te. Le tue creature mi tenevano lontano da Te… Tu mi hai chiamato e gridato e hai vinto la mia sordità; Tu hai brillato e balenato e hai dissipato la mia cecità; Tu hai sparso il tuo profumo, io l’ho respirato e ora anelo a Te. Ti ho gustato e ora ho fame di Te. Mi hai toccato e ardo dal desiderio della tua pace”
[6].
Le palme nel deserto, significano la nostra volontà di uscire dall’aridità del presente e trovare l’oasi dove rinfrancarci. Questo è il senso dell’accoglienza di Gesù, le palme in mano. Perché il Signore al suo passaggio ci risani è necessario che l’animo si distenda in umiltà; solo allora Dio potrà aiutarci a ricostruire.
È il tema della “crux foliata” dell’antica tradizione patristica. L’albero della croce è vivo. Porta frutti di melograno: nessuno sa prima d’aprirlo quanti grani ha un melograno, il frutto dalla corteccia amarissima, e dai frutti dolcissimi, che dissetano dalle fatiche della storia.
Le difficoltà del tempo presente non sono né maggiori, né minori di quelle del passato. Gli amici del Signore crocifisso non temono di doversi anche loro far carico della croce ogni giorno, secondo le proprie capacità e sempre con l’aiuto di Dio.
A quanti assumono un ministero
la Liturgia della Chiesa ripete anche questa sera: “Amate di amore sincero il corpo mistico del Cristo, che è il popolo di Dio, soprattutto i poveri e gli infermi. Attuerete così il comandamento nuovo che Gesù diede agli Apostoli nell’ultima cena: amatevi l’un l’altro, come io ho amato voi”
[7].
Il Signore ci faccia “istrumenti della sua pace”!
[1] Venazio Fortunato, Inno Pange lingua gloriosi proelium certaminis
[2] San Benedetto, Regula Monachorum, 4,21; 72,11
[6] Sant’Agostino, Confessioni, 10,27
[7] Pontificale Romano, Esortazione all’istituzione degli Accoliti