Un cordialissimo saluto a tutti voi con l’augurio di buona festa e che sia davvero una festa di gioia e di speranza, di fraternità e di cammino che ci lega nell’amicizia. Un augurio che in particolare voglio rivolgere ai vescovi Riccardo e Franco, e poi con loro a tutti i presbiteri presenti e diaconi. Buona festa alle Istituzioni a partire dal nostro vice sindaco, il comandante della polizia urbana e tutti gli altri che qui rappresentano la comunità, insieme anche agli amici della compagnia di S. Donato. Buona festa al nostro fratello pastore della comunità ortodossa che ringrazio per la sua presenza e tramite lui l’augurio a tutta la comunità. E poi anche alle religiose, i religiosi e qui ci sono anche questi bambini simpatici che sono i bambini dell’Arezzo Calcio, e quindi anche a voi benvenuti, buona festa! Voi ci aiutate a dire che nella vita è bello giocare. Dobbiamo imparare un po’ tutti a giocare nella vita e a giocare per le cose belle, per le cose vere. E poi anche ai quartieri con i loro rappresentanti, a tutta la comunità.
Certo parliamo di gioia, di comunità, di incontro, di augurio, ma se riflettiamo bene, guardare al nostro patrono, il vescovo San Donato, che è vescovo e martire, certo dobbiamo dire che è un invito a uno sguardo particolarmente impegnativo. Abbiamo per patrono un vescovo martire, un vescovo che è stato ucciso per la fede, che ha dato la vita per l’amicizia di Gesù, con Gesù. Allora capite questo è molto impegnativo. È un patrono ed è uno sguardo che diventa impegnativo per tutta la nostra chiesa, a partire dai presbiteri. Il nostro vescovo patrono ha dato la vita per Gesù e per la Chiesa. E’ impegnativo per noi pastori, presbiteri, per tutta la chiesa. È impegnativo guardare un patrono così per tutta la città perché è un invito alla città, a tutta la gente, alle famiglie, a saper dare la vita, donare la vita. Ed è impegnativo cari amici per tutti noi, anche per i bambini, perché San Donato martire che ha donato la vita dice anche ai più piccoli che dobbiamo vivere l’avventura, il gioco dell’imparare ad amare, dell’imparare a voler bene. Allora abbiamo un bel patrono, San Donato, vescovo, ma piuttosto impegnativo perché martire. E che cosa vuol dire allora? Che cosa possiamo scoprire da questo vescovo martire che è Donato e che è il nostro patrono?
Anzitutto che un vescovo martire vuol dire un vescovo che contempla. È il vescovo che accoglie la parola del Vangelo ed è la parola di Gesù che dice: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.” Il vescovo martire Donato è un vescovo che contempla e che vede in Gesù il buon pastore che dona la vita, che dona la vita per le pecore. Allora il vescovo che contempla è un vescovo che invita tutti noi a cercare il buon pastore, a saper vedere e riconoscere l’opera del buon pastore, del Signore Gesù. È un invito a sentirsi dal Signore cercati e amati perché per noi ha donato la vita, per noi ha dato la sua esistenza. Guardare al nostro vescovo martire per noi oggi è un invito a imparare a vedere la presenza di Dio nella nostra vita. Potremmo chiederci: ma nella nostra città, Arezzo, è presente Dio? Sappiamo riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi, nella nostra comunità, tra le famiglie, con i bambini nell’educazione che viviamo, nel rispetto e nella ricerca della giustizia, cioè la presenza di Dio. Ed è una ricerca, è un imparare a vedere la presenza di un Dio che è buon pastore per noi e che dona la vita per noi, soprattutto nella strada della preghiera. Un vescovo martire è un vescovo che prega, cerca e vede Dio perché prega. Allora anche a noi è chiesto guardando il vescovo martire di imparare la contemplazione. A noi è chiesto di imparare a vedere Dio, a sentirlo presente nella nostra vita, ad accoglierlo nella preghiera, a riconoscerlo vivo in mezzo a noi.
Ma la prima lettura ci invita a cogliere anche altri aspetti del vescovo martire, proprio suggerendoci dei verbi, delle azioni. Un vescovo martire vuol dire un vescovo che cerca. Come diceva il libro di Ezechiele: “Dice il Signore Dio, ecco, io stesso cercherò le mie pecore”. Un vescovo che cerca. Ed è non solo il vescovo, ma tutti noi, tutta la Chiesa. È l’andare incontro della Chiesa e della comunità tutta. È non avere paura di incontrare gli altri, tutti. Lo diceva spesso Papa Francesco, ripetendolo: “Tutti, tutti, tutti, nessuno escluso, incontrare tutti”. Allora questo vescovo martire che cerca è per noi un invito a non avere paura di incontrare, di stringere la mano, di sorridere, di vivere la cortesia dei rapporti. Vuol dire valorizzare ciò che oggi ci consente anche il mondo della comunicazione, dei social, anche l’intelligenza artificiale nell’incontrare, ma che non ci deve impedire l’incontro reale, il parlarsi, il guardarsi negli occhi, il prenderci per mano. Ecco il nostro vescovo martire ci invita a cercare, a non avere paura dell’incontro, dello stringere la mano a chi ci è accanto, chiunque sia.
Ma ancora, ci suggerisce il libro del profeta Ezechiele, parlando dell’opera del pastore e dicendo che ricondurrà le pecore nell’ovile, le condurrà per ottime pasture, affermando: io mi prenderò cura delle pecore, andrò in cerca di quella ferita, di quella malata. E anche Gesù, il buon pastore, ci dice il Vangelo, va a cercare la pecora perduta per curarla. Allora un vescovo martire è un vescovo che cura. Ma noi potremmo dire sono i pastori, è tutta la comunità, sono le istituzioni, è un vescovo ed è una comunità che cerca il bene, cerca il bene comune, cerca la vita degli altri, si fa vicino alle forme diverse di vita, talvolta di sofferenza, di bisogno, è capace di incontrare anche i più piccoli, questi bambini, per portare la cura di una comunità. Una comunità che accompagna, che fa crescere, che cura le ferite, che medica i malanni, che si fa carico delle sofferenze degli altri. Un vescovo martire ci chiede di essere una comunità che sappia curare.
Ma, ancora, un vescovo martire è un vescovo, ed è una comunità che condivide, cioè sta con il gregge, come il buon pastore di cui ci ha parlato il Vangelo. Condividere vuol dire che la comunità sta in mezzo e conosce, chiama per nome, che vuol dire ama. Anzi il vescovo martire e noi chiamati da lui come comunità dobbiamo stare in mezzo, come colui che dona la vita, che la perde, appunto, Donato martire. E guardate questo donare la vita è il volto più vero e più bello dell’amore, dell’amare. Quando si ama si dona davvero, non si ha paura di dare la propria vita, non si ha paura di condividere, non si ha paura di donarsi. E questo è racchiuso anche nel nome del nostro patrono, Donato.
Tutto questo, guardando a un patrono così impegnativo, Donato, vescovo, martire, tutto questo lo vogliamo oggi chiedere per noi nella preghiera. Vogliamo pregare perché ci aiuti San Donato ad essere chiesa, pastori, persone, istituzioni, comunità tutta, città che sa vedere la presenza e l’opera di Dio, pastori e comunità che sanno andare in cerca degli altri per incontrare, per stringere la mano, per accogliere, che sa vivere le forme di cura di cui ha bisogno il mondo di oggi. Un mondo ferito gravemente dalla violenza e dalla guerra e che ha bisogno della cura del perdono e della pace. E chiediamo anche nella preghiera a San Donato di imparare a stare in mezzo, cioè a condividere, ad amare davvero. È la strada della vita, è la strada della felicità, della speranza, ed è il far crescere il dono, saperlo vedere, promuovere e vivere anche noi in prima persona. L’incontro e il donarci agli altri anche a costo della vita. Buona festa a tutti.
+ Andrea Migliavacca