Festa di San Bartolomeo Apostolo 2021

Omelia dell’Arcivescovo agli aderenti al MEIC
24-08-2021

Cari Camaldolesi, fratelli miei,

Amiche e amici del MEIC,

Il Signore faccia fruttificare questa nostra preghiera con rinnovato impegno al servizio delle Chiese che sono in Italia.

 

La liturgia dell’Apostolo Bartolomeo si apre quest’oggi, offrendo alla comune meditazione una pagina del XXI° capitolo dell’Apocalisse. Il testo nasce in epoca di difficoltà e anche di persecuzioni, invitando tutti coloro che credono in Cristo a guardare avanti, a tener vivo il coraggio, rimirando, seppur da lontano, la Città di Dio.

Noi cristiani abbiamo un progetto e un cammino per realizzarlo. Innanzitutto, dobbiamo rifuggire da visioni estetizzanti che finiscono per essere fuga dal reale.

Tocca a noi, con l’aiuto del Divino Spirito, calare l’utopia nella storia. La città della giustizia e della pace, Gerusalemme di Palestina, ha in sé il senso dell’incompiuto. Ci è data una missione: con la forza del Risorto, non avremo paura di rimettere continuamente in discussione noi stessi, perché la giustizia, che è l’impronta del Regno di Dio, finalmente trionfi in ogni cultura e in ogni luogo della terra.

È una grande sfida, in questi giorni, la questione dell’Afghanistan. L’Occidente cristiano, che ha molte colpe da farsi perdonare, non ha tuttavia modelli precostituiti da imporre a chi che sia. Il miglior modo per dire che siamo cristiani sarà riuscire a comprendere gli altri, soprattutto quelli che più soffrono: le donne e gli uomini di una terra che, pure con altra fonetica, invocano l’unico, onnipotente, misericordioso Iddio. Allah Maha Kuasa.

La preoccupazione principale di queste ore non è di difendere il nostro comodo, ma di cercare di capire anche le ragioni dell’Islam moderato, che si confronta con l’oltranzismo religioso. Sono gli effetti lontani del Trattato di Londra del 1915, in cui le ragioni della forza e il potere dell’economia si illusero di poter discriminare il potere ottomano, con una spartizione ancora vergognosa.

La Gerusalemme del Cielo, verso la quale noi camminiamo, è fatta di giustizia ancora da realizzare e di pace per tutti, perché i figli di Agar sono pure, come noi, discendenti di Abramo. Perché giustizia e pace possano prevalere, cioè si facciano passi concreti verso la Santa Gerusalemme del Cielo, c’è bisogno di molto: cultura anzitutto; accoglienza dei più bisognosi; riaffermare i principi che rendono salde le mura della Città Santa, contro le intemperanze del tempo.

L’unico vero nemico è il maligno, che divide e si serve oggi più delle armi dell’economia che di quelle delle varie milizie contrapposte. Non è la paura che fa trionfare la pace, ma un coraggioso dialogo.

Il Santo di cui in questo giorno facciamo memoria ha il nome di Nathanaêl, cioè dono di Dio, e il soprannome di Bartolomeo, cioè figlio di Tolmai, l’aratore: ci invita, con il suo feroce martirio, probabilmente di origine persiana, ad avere la pazienza dell’agricoltore, che è per noi la fede che ci impedisce di perderci di coraggio.

A Filippo, che dice al pescatore di Cana di Galilea di aver trovare il Signore, Nathanaêl risponde citando la Scrittura “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?”[1]. Filippo argomenta: “Vieni e vedi[2]. Anche stasera dobbiamo fare tesoro del dialogo tra i due Apostoli.

Non è la prima volta che gli Apostoli siano ricordati anche per le caratteristiche caratteriali che essi ebbero nel gruppo. Ci sono due virtù che credo di sottolineare in Bartolomeo, figlio dell’aratore: la prudenza, che induce a liberarci dei fanatici luoghi comuni come sa fare ogni agricoltore, e il senso critico. Se vogliamo fare donne e uomini liberi, c’è bisogno di credere fermamente nel ministero dell’insegnamento.

Racconta il nostro Vasari, nella vita di Michelangelo, che, discorrendo una sera sulla piazza di Pietrasanta con gli operai che lo avevano accompagnato sulle cave del marmo bianco statuario, uno di loro gli chiese: “Maestro, come fai a scolpire opere così belle?”. Buonarroti avrebbe risposto: “La bellezza delle forme è già dentro il blocco del marmo, a me tocca soltanto togliere via il superfluo, perché risplenda la figura umana”. Se noi riuscissimo a percepire l’insegnamento, ma anche le altre professioni, come un aiuto prestato a Dio perché risplenda il bello, la Gerusalemme del Cielo sarebbe un po’ più vicina a noi, che non le terribili cronache di queste ore.

È lo stesso Natanaele detto Bartolomeo che, incontrando Gesù, ci insegna a non stupirci della categoria della meraviglia. Nell’incontro con il Signore, lo chiama “Maestro, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”[3]. Vestendo, anche noi, gli abiti dei maestri d’Israele, abbiamo innanzitutto l’occasione di suscitare la meraviglia nelle persone e nei giovani che sono affidati alle nostre cure. Se poi avremo l’umiltà di non voler dominare, ma servire, ci sarà ben possibile vedere un mondo diverso da quello attuale, ricco di spari e macchiato di sangue.

In queste stesse mura che ci ospitano, ottanta anni fa, un gruppo di giovani universitari cattolici, guidati da sapienti maestri, sotto l’ispirazione di Giovanni Battista Montini, trovò la forza di disegnare l’utopia con il Codice di Camaldoli e di lì a poco riuscì loro di far diventare la loro riflessione uno dei principi ispiratori della Costituzione repubblicana.

Cari amici del MEIC, c’è da chiederci perché i cristiani della nostra generazione, che pur vivono in tempi migliori di quei coraggiosi fucini, non sappiano ritrovare la gioia di guardare avanti. Si potrebbe porre il proprio impegno al servizio del bene comune, senza ideologia e pregiudizi, rendendo possibile cambiare il piccolo mondo dove tu arrivi con le tue mani: la famiglia, la scuola, la vita politica e perfino le leggi.

Ormai molti anni fa, Johann Baptist Metz ci insegnava che il termine “professionista”, nato nella riforma protestante, è un valore ancora nel nostro tempo, laddove non indica una casta privilegiata di laureati, ma un gruppo di persone che della cultura fanno uno strumento per professare la propria fede.

Credo che sia ancora necessario che il laicato cattolico prenda consapevolezza del proprio impegno battesimale. Sappia far da lievito entro la massa della società italiana, senza contrapposizioni o tentazioni ideologiche; e metta mano per fare la propria parte e aiutare tutti a camminare verso la Gerusalemme del Cielo.

 

[1] Gv 1, 45

[2] Gv 1, 46

[3] Gv 1, 49-50