Solennità del Corpus Domini 2025

Omelia del Vescovo nella Basilica di San Domenico
19-06-2025

1. C’è un pane da portare, c’è un pane che siamo chiamati a portare: è quanto viene messo in luce e richiamato dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato.

È quel pane che bisogna portare, che Melchisedek, re di Salem, offrì come segno e dono sacerdotale, come dono per il popolo.

È quel pane, che bisogna portare, che la pagina di Vangelo ci dice essere capace di sfamare una moltitudine di genti; e la parola di Gesù mette bene in luce qual è quel pane che dobbiamo portare, che siamo chiamati a portare, dicendo “voi stessi date loro da mangiare”, quasi lasciando intuire che il pane non è solo quello che viene portato in cibo, ma è il dono della vita, è il servizio, è il dare la propria vita.

Dobbiamo portare il pane: il pane che è la nostra vita.

Allo stesso modo, nella seconda lettura, nella pagina di Paolo che abbiamo ascoltato, quel portare il pane che Gesù stesso prende, spezza, benedice e dà per i suoi discepoli, diventa memoriale del suo dono, del suo sacrificio sulla croce per noi, oggi, l’Eucaristia, quel pane consacrato che rende presente il Signore in mezzo a noi; e a noi oggi viene detto che dobbiamo portare il pane e la processione che vivremo tra poco non vuole essere un’esibizione, una dimostrazione della forza, della decisione della nostra fede; ma la processione vuole essere un segno fraterno e umile di chi porta il pane nella vita della città, in mezzo alla gente, nelle nostre vie, per le case delle nostre famiglie.

2. Ecco: una processione che ci regala il portare il pane, come la parola di Dio mette in luce. Allora, che cosa può voler dire, per noi, questo portare il pane, portare il pane che è la nostra vita, che è la nostra carità, che è il nostro servizio?

Portare il pane che è l’Eucaristia celebrata, presa, mangiata, adorata e, soprattutto, vissuta con vite eucaristiche che davvero sono quelle che portano il pane del Signore, è un cammino.

La processione che questa sera ci regala di portare il pane, Gesù, il Risorto per le strade della nostra città che cosa racconta? Che cosa diventa, per noi, il portare il pane?

È anzitutto il portare il pane della fraternità e della comunità.

Ci apprestiamo, carissimi, in questi giorni – lo sappiamo bene – a vivere la Giostra del Saracino; i quartieri sono in fermento, ci sono le prove, le cene, ci sarà sabato la gara, ci sarà un quartiere che vincerà ma tutti partecipano. È un piccolo segno che dice la vita della città, la vita della città che si ritrova, che vive un momento di festa, di incontro, in qualche modo un momento simbolico della vita della città di sempre.

E noi dobbiamo portare il pane, cioè dobbiamo portare quel pane che fa crescere l’amicizia, la fraternità, il rispetto reciproco, la legalità nella vita pubblica, la fraternità che cresce; c’è da portare il pane nella vita della città perché davvero il nostro incontrarci, le piazze, le nostre vie, il luogo del gioco, i quartieri, la vita, le case delle nostre famiglie, diventino il luogo dell’amicizia e dell’incontro, del perdono e della fraternità.

3. Dobbiamo portare il pane per portare, per regalare, per far crescere questa fraternità; ma, ancora, dobbiamo portare quel pane che è il pane della carità: e la processione che vivremo attraverserà alcuni luoghi che realmente, simbolicamente, ci racconteranno e ci faranno incontrare dei luoghi di carità.

Proprio qui accanto, partendo da San Domenico, dal luogo dove c’è la mensa della Caritas, un primo luogo di carità: e qui davvero si porta il pane; ma poi, andando poco oltre, incontreremo la casa di riposo, e lì la vita di chi è più affaticato, più solo, magari malato, anziano: e anche quello è un luogo di carità nel quale portare il pane della vita e della fraternità.

Poi, prima di arrivare al luogo della benedizione, ci soffermeremo nel carcere, che è un luogo di fraternità ed è un luogo benedetto nella vita della nostra città: e vorrei da qui salutare davvero tutti i carcerati; nel carcere portiamo il pane, portiamo il pane della nostra presenza, della nostra preghiera, il pane della carità, della fraternità con tutti; di una fraternità che è vera e che dobbiamo far crescere anche con chi ha sbagliato nella vita. Una fraternità che ritrova, in particolare, come luogo e come segno giubilare, il carcere, luogo in cui incontriamo il Signore. Ricordate, Gesù aveva detto: “ero carcerato e mi avete visitato: l’avete fatto a me”; e li portiamo il pane, portiamo il pane della presenza del Signore e della nostra fraternità.

Portare il pane, allora, in tutti questi luoghi che incontreremo nel nostro cammino sarà il portare il pane della carità.

4. Il pane è frutto della terra e noi possiamo portare il pane perché c’è il frumento, il grano, ci sono i campi, l’acqua che scende dal cielo; c’è chi coltiva il terreno, chi lavora… cioè: è frutto del lavoro della terra e dell’uomo, come diciamo nell’offertorio; ed è il pane che ci regala la bellezza della creazione di un Dio che è creatore, che è portatore della vita.

Dobbiamo, allora, portare il pane nella casa comune che è l’ambiente, che è la creazione che siamo chiamati a custodire, a promuovere, a rispettare, a vivere con l’armonia della nostra vita e, soprattutto, con la lode, con la gratitudine. Portiamo il pane e ci racconterà la bellezza della vita e della creazione.

5. Infine, siamo chiamati a portare il pane anche nel nostro mondo. Lo possiamo fare davvero, lo possiamo fare almeno con la nostra fede, con la nostra preghiera, con la nostra carità. Dobbiamo portare il pane nel nostro mondo, in particolare a Gaza, dove ancora vengono tragicamente violentati e segnati dalla violenza e dalla brutalità della guerra coloro che sono innocenti, bambini: portiamo il pane a Gaza e diciamolo forte perché noi e il mondo non si dimentichi di Gaza e di quello che accade, che il cardinale Pizzaballa ci racconta come situazione vergognosa, inaccettabile, ingiusta.

Dobbiamo portare il pane a Gaza, dovremmo portarlo veramente lì, dove la fame viene ancora usata come arma di guerra; dobbiamo portare il pane a Gaza, che è il pane della pace e della fraternità; dobbiamo portare il pane in tutto il Medio Oriente, in Israele, Palestina, in Iran; dobbiamo portare il pane riconoscendoci tutti fratelli e chiedendo ad alta voce la pace, non la forza delle armi e della guerra, non la violenza e la brutalità della morte e della parola del potente, del più forte, ma la pace; e dobbiamo portare il pane della fraternità e di chi nella pace ci crede ancora, dobbiamo portare il pane in Ucraina, in Russia: perché questi popoli fratelli tornino ad essere fratelli, a vivere nell’amicizia, nel rispetto reciproco e nella pace.

E poi potremmo girare il mondo: dovremmo portare il pane in Congo, ad Haiti, in America Latina, in tutti quei luoghi in cui ancora la guerra semina violenza e morte.

Amici, dobbiamo portare il pane della pace e della fraternità; il pane che è il Signore risorto che a tutti, incontrandoli e incontrandoci, dice “Pace a voi”.

Siamo chiamati a portare non la pace del mondo, ma la pace del Signore, la pace del Risorto; e questo pane, che è l’Eucaristia, ci chiede di essere portatori del pane e della pace che il Signore ci ha consegnato, ci ha dato e ha affidato a noi e alla Chiesa.

6. Chiamati a portare il pane, che è il pane della pace; ma non dimentichiamoci di portare questo pane anche a noi stessi: rischieremmo di morire di “anoressia spirituale” se non prendessimo anche noi questo pane, che è il pane della vita, che è l’Eucaristia, che è il Signore presente in mezzo a noi e che ci dà quella vita che è la vita eterna.

Ci nutriremo tra poco di questo pane che è l’Eucaristia, lo porteremo nella processione: ma portiamo il pane nella vita di ogni giorno; il pane che è il Signore Gesù che è la vita eterna.

                     + Andrea Migliavacca