Omelia per l’Ordinazione diaconale di Alessandro Bivignani

28-12-2013
Fratelli e sorelle amati, 
il Signore ci dia pace in questo giorno santo!
Torniamo a celebrare in questa Basilica la liturgia di san Giovanni, conferendo  a un giovane figlio di questa valle il Sacramento dell’Ordine. Dalla preghiera stessa sgorga il senso del nostro convenire festoso: “Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena”1. Gioisce la nostra Chiesa diocesana perché Alessandro, che a questo fonte fu battezzato, viene ascritto oggi tra i Leviti nel terzo grado dell’Ordine Sacro. 


1. Il messaggio della scrittura
Figlio carissimo, ancor prima di passarti il ministero, è nostro dovere spezzare assieme a questa assemblea il pane della Parola. Pietro e Giovanni, mentre salirono al tempio per la preghiera, presso la Porta Bella, si imbatterono in un uomo storpio fin dalla nascita2. Egli stesso si aspettava solo un’elemosina, abituato a sopravvivere da mendicante, senza casa e dignità. La Chiesa nascente si avvale di quella vicenda antica per spiegare la propria missione. Quel racconto, ricco di allegorie, ci offre anche alcuni riferimenti per capire come ha da essere il ministro di Dio. Quanti di noi ti facciamo corona ringraziamo il Signore che stasera ci fa tornare a misurarci con Gesù. Vogliamo spendere la nostra vita come Lui che, “passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui”3. Si è uomini di Dio se Dio è con noi e noi con Lui, ogni giorno, nelle prove della vita e nella festa della salvezza ritrovata.
Il primo Papa ci insegna la misura: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina”4. Ci è chiesto di avere come tesoro la confidenza con Gesù e di donare alla gente del nostro tempo un dono più prezioso del danaro. L’icona della guarigione dello storpio, a te che stasera diventi ministro della Parola, ci insegna come deve essere il ministero sacro, dettandocene le componenti essenziali: forte del Vangelo, attento ai bisogni della gente, in dialogo con il prossimo, capace di rispondere alle necessità altrui. L’effetto di una Chiesa che si spende così è un poderoso recupero di fede in quanti si incontrano, ma anche di umanità: lo storpio risanato recupera il rapporto con Dio, entra nel tempio, è ricondotto alla sua dignità, potendo finalmente camminare, lega la sua esperienza con gli Apostoli alla gioia di chi può finalmente saltare e lodare Dio. Noi vogliamo ridirci stasera che lo stupore di una Chiesa che si interessa degli altri è la via maestra per annunziare il Signore.
Tu hai voluto, Alessandro caro, che questa liturgia facesse meditare la gioia ritrovata con il ritmo dell’interlezionario. Ricordo quando, giovanissimo prete, rimasi incantato a leggere come il primo vescovo missionario, evangelizzatore di Giava, avesse voluto scrivere sulla sua cattedrale lo stesso salmo: “Exultet terra, laetentur insulae multae”5. L’annuncio del Vangelo dà gioia a chi lo riceve, ma dà anche senso alla vita di chi si fa ministro della Parola. 
Come ci insegna Papa Francesco, dobbiamo tornare alle periferie della nostra società per ridire Gesù a tutti, portare quello che abbiamo veduto e udito agli altri, attraverso quel processo interiore che il grande sant’Agostino esprime con una forte sintesi: “Meditata aliis tradere”. Se vuoi che la nostra testimonianza sia efficace non dire mai parole di routine: sarai credibile nella misura che donerai agli altri ciò che tu per primo hai sperimentato nella tua interiorità: non c’è niente di più inutile di un prete superficiale, di un ministro del Signore che non partecipa con tutto se stesso al servizio che rende al popolo.
Il Santo Sepolcro, il sepolcro di Cristo vuoto dopo la Resurrezione, dà il nome alla tua terra e alla nostra diocesi intera. Sul ritmo medievale del monaco al monaco Wipone, cappellano dell’imperatore Corrado, anche noi chiediamo a Maria di Magdala di narrarci cosa mai abbia visto nella sua esperienza pasquale: “Dic nobis Maria quid vidisti in via? Sepulcrum Christi viventis, et gloriam vidi resurgentis,angelicos testes, sudarium et vestes”6.
Tornando a ordinare un sacro ministro si riafferma la vita nuova che Cristo ci dona, si ridice la fede pasquale di questa antica Chiesa che vuole guardare avanti, sicura che il Signore non ci abbandona. Corrono Pietro e Giovanni, ma Giovanni, più giovane, vede il sudario e i teli ma non entra: lascia che sia Pietro per primo a entrare vedere e testimoniare. La Chiesa di Cristo si vive insieme, ciascuno nel suo ruolo all’interno della comunità. Non è un’esperienza elitaria, intimista: come diceva il Beato Giovanni Paolo II “nella Chiesa la comunione è per la missione”7. 
Stasera ci torna ancor più forte la voglia di rimetterci in cammino, cari sacerdoti, lodando Dio che anche in questi segni sacramentali ci apre la strada e ci dona la gioia di essere scelti e chiamati al servizio del suo popolo.   

2. Con il Sacramento dell’Ordine si rinnova la Chiesa
Questa millenaria città, edificata dai due Santi pellegrini Arcano ed Egidio, nella sua stessa identità, ci racconta il coraggio del nuovo. La sfida degli ideali di giustizia e di pace è ancora attualissima in questa difficile fase che sta vivendo la Nazione. 
La nostra Chiesa diocesana vuole abbeverarsi alla stessa acqua dei pellegrini antichi, i fondatori, per ritrovare il coraggio di rinnovarsi. 
Le forme della tradizione recente che abbiamo conosciuto non sono più efficaci per far incontrare il Signore alle decine di migliaia di giovani che vivono in questa vasta Diocesi. 
Figlio, dei tre seminaristi che trovai arrivando Vescovo di questa Chiesa, stasera ho la gioia di ammettere anche te all’Ordine Sacro, come già ho fatto per Aldo e Leo. Ti sono attorno i ragazzi che hanno manifestato la loro chiamata al sacerdozio e sono attualmente in Seminario. Ci sono anche – solo Dio sa chi e quanti – Egli stasera interpella sulla vocazione. È la funzione mistagogica di questa liturgia. 
Noi siamo testimoni che lo Spirito del Signore ci chiama tutti alla missione in questa terra di antica evangelizzazione, dove di recente sono arrivati oltre 50 missionari da Chiese giovani di altre nazioni e continenti. Sono venuti per aiutarci, non per sostituirci. Vorrei che la gioia che stasera provano la mamma e il babbo di don Alessandro facesse pensare molti. 

3. Il diaconato nella Liturgia 
Queste quattro vallate, questi bellissimi monti sono l’ agellum, il santo campicello del Signore, dove occorre lavorare in fraternità, senza fughe, senza andare a cercare di meglio, senza presumere di trovare il nostro comodo. Chi si isola non ha capito che Gesù stesso ne chiamò dodici, perché stessero con Lui e con ciò stesso annunziassero che il Regno di Dio è vicino e possibile8. Questo è il senso dell’obbedienza che tu, Sandro, stasera prometti al successore di san Donato, comunque egli si chiami. 
Il primo dono che tu fai, da ministro alla Chiesa che ti ha generato, è la radicalità del dono di te stesso nel celibato che, dopo lunga meditazione di anni, tu prometti a Dio davanti al Suo popolo. 
La terna di impegni che, nel dialogo con me tra breve assumerai, esprime il contenuto del ministero che ricevi. Innanzitutto la dimensione soprannaturale del dono dello Spirito Santo che ti consacra al servizio degli altri e che diventa la ragione della vita, secondo la felice espressione della liturgia carolingia sul servizio di Dio “cui servire regnare est”9. È la fonte della nostra libertà interiore e della nostra realizzazione come persone. Il binomio di umiltà e carità che appartengono a chi vuole servire la Chiesa, va praticato nelle opere, perché la dalmatica che indosserai questa sera sopra la veste bianca del tuo battesimo, sia una dimensione dell’essere, un “essere-per”, ancor prima che dell’operare. È come dire a questo popolo che ti ama, che da stasera può contare su di te. Custodire una coscienza pura, come ognuno di noi ha promesso diventando Diacono, è l’impegno al percorso interiore senza il quale non si edifica la fede, non si generano uomini nuovi, creati secondo Dio nella santità del vero.
Alessandro caro, da molti anni tu preghi con la liturgia della Chiesa, ma da stasera tu preghi per la Chiesa. Invochiamo su di te lo Spirito di orazione, che ti renderà possibile anche quello che all’occhio umano pare meno probabile, nello spirito del Magnificat, sull’esempio della Madonna che felicemente effigiata nella tua Pieve di Anghiari, seguita nei secoli a mostrare solo Gesù. Il resto è superfluo.
Gioisce davvero la Chiesa questa sera perché invocando su di te il dono dello Spirito Santo riceverà te come dono: nell’aiuto al Vescovo e al suo presbiterio, nel ministero della Parola, dell’altare e della carità. 
Sei coinvolto come ministro nella missione. Sarà tuo compito esortare e istruire nella dottrina di Cristo i più giovani e quanti sono alla ricerca della fede, presiederai l’assemblea guidando la preghiera, amministrando il Battesimo, assisterai e benedirai il matrimonio, porterei il viatico ai moribondi e accompagnerai i fedeli di Cristo all’ultima dimora celebrandone le esequie.
Durante tutti i giorni della tu vita ricordati di appartenere a quel collegio dei primi Diaconi ai quali gli Apostoli affidarono il ministero della carità della Chiesa. Figlio anche io ti affido i poveri. Sii sollecito nel ministero dell’ascolto, abbi pazienza infinita verso chi è nel bisogno, sia spirituale che materiale. Cerca di provvedere agli altri ad immagine della Divina Provvidenza che invia te in mezzo al gregge di Cristo perché a nessuno manchi il pane; perché la Chiesa sia accogliente, perché la dignità delle persone umane sia sempre custodita e recuperata. 
Un’attenzione speciale poni nell’evangelizzare la generazione nuova, ricorda che per i ragazzi da stasera non basta più che tu sia loro amico: devi essere anche ministro del Signore. Non basta adunarli, bisogna far loro incontrare Gesù e farli crescere nella Sua amicizia, più che nella tua. Non ti servire mai di loro, ma poniti a loro servizio, perché ciascuno trovi quale sia il disegno di Dio su di sé e risponda con libertà e decisione. 
I ministri del Signore sono chiamati a contrastare lo spirito del mondo e la gerarchia di valori che appartengono al paganesimo del nostro tempo. Costituito educatore nella Chiesa, occorre “educare al bivio”10, cioè a sapere scegliere, per formare uomini e donne liberi, significativi e forti. 
Fondato e radicato nella fede sii sempre irreprensibile e senza macchia davanti a Dio e agli uomini come devono essere i dispensatori dei sacri misteri per tutti i giorni della tua vita fino a quando il Signore, sollevandoti dalla fatica e dalla tribolazione nel tempo, anche a te dirà: “Vieni servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore”. 
Dio che ha iniziato in te la sua opera, la porti a compimento per la intercessione dei Santi della nostra Chiesa e la preghiera dei poveri di Jahweh che ti hanno accompagnato fino a questa soglia che è l’inizio della storia bellissima di ogni apostolo.