Omelia dell’Arcivescovo Riccardo Fontana per la Messa Crismale

05-04-2012

Fratelli beneamati,
che con me condividete il sacro ministero
sorelle che siete una grande risorsa per la nostra comunità ecclesiale:
il Signore ci sostenga con la sua Grazia e ci dia pace!

            Gli occhi rivolti alla Passione gloriosa e alla Resurrezione del Signore, ci siamo riuniti ancora una volta per ringraziare Iddio presente in mezzo al suo popolo, perché con altrettante vocazioni quali il Santo Spirito ha stabilito per la sua Chiesa, ci ha coinvolti nella sua scelta d’amore.

1. La Ministerialità della Chiesa

            Popolo sacerdotale, “nazione Santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di Lui”[1], siamo una parte significativa di un’utopia possibile, siamo chiamati a raccogliere la famiglia di Dio, che Egli vuole salva, perché nessuno vada perduto. Come la fede dei secoli ripresentata dai Padri del Concilio: “Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti”[2].

            Da questa assemblea riparte la missione della Chiesa  per un anno ancora, perché segnando il comune incedere nelle soglie del tempo, di Pasqua in Pasqua, arriviamo alla Pasqua eterna, passando dalla tribolazione della storia, alla Gerusalemme del Cielo, dove giustizia e pace finalmente si baceranno[3].

            Il tempo che ci è affidato quest’anno è ricco di fermenti, ma non cessa di segnarci con la sua complessità; siamo tuttavia consapevoli che non mancano i segni della benedizione e della presenza di Gesù in mezzo a noi.

            È risuonata nell’assemblea la voce di Gesù, la Parola con cui nella sinagoga di Nazareth il Servo di Jahwe avviò il ministero, coinvolgendo gli Apostoli e i Discepoli, tra i quali ci riconosciamo anche noi: “Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista”.

            In questo tempo di neonominalismo, dobbiamo innanzi tutto chiederci chi sono i poveri, i prigionieri, i ciechi, ai quali far giungere il compimento della promessa messianica. Le mere categorie sociologiche non coprono la pienezza del compito che ci è affidato, anche se hanno una forza cogente da non dimenticare mai. Ci è chiesto innanzi tutto di scrutare i segni dei tempi per raccogliere l’opportunità della missione alla quale siamo chiamati. Dio non vuole che nessuno dei suoi figli vada perduto.

            Tra le tante necessità che segnano il presente, tra le povertà maggiori che ci sfidano è la mancanza del senso delle cose, con cui gran parte della nostra gente vive la dimensione quotidiana. La presenza di Dio è velata dalle molteplici difficoltà che il nostro vivere sociale comporta. Un nuovo paganesimo insidia la cultura occidentale, vanificando molte risorse ideali e la speranza dei più piccoli. La famiglia è ostacolata da visioni perniciose di ateismo pratico, ancor prima che da posizioni ideologiche non condivisibili dai cristiani: vengono in molti a mancare i presupposti di una visione cristiana del matrimonio, che ancor prima del momento celebrativo, è la scelta di uno stile di vita e un mandato sacramentale che la Chiesa affida ai coniugi, perché siano segno e testimoni di Dio dentro la città dell’uomo. La crescente povertà di ritorno, con cui una consistente parte del nostro popolo deve misurarsi è resa ancor più amara per il contrasto tra varie forme di società del benessere brandita da modelli culturali diffusi dai media e la impossibilità a praticarli, per la carenza di lavoro, di serena promozione del futuro. La gestione della cosa pubblica in questi tempi assai tempestosi ha creato non pochi sconcerti, avviando una pericolosa altalena tra il disinteresse di molti e la delusione dei più avvertiti. I giovani, che sono il segno della benedizione con cui Dio ci assicura il futuro, sono troppe volte insicuri e titubanti sulle scelte fondamentali della vita. Si interpellano spesso per anni sulla consistenza delle relazioni da promuovere, sull’avvenire che li attende, in una società che anche in questi giorni discute profondamente di lavoro e di modi di vita possibili. I sobbalzi dell’economia globale turbano anche la quiete dei villaggi e la tradizionale convivenza delle persone, persino in questa terra toscana benedetta, che fu fertile terreno di cultura in varie stagioni della storia.

            La missione della Chiesa, confortata dalla presenza del Vivente dell’Apocalisse, che sappiamo riconoscere attraverso i segni della Liturgia in mezzo a questa santa assemblea, è riprendere il cammino, il progetto di calarsi dentro questa storia di uomini e di donne del nostro tempo per favorire la speranza e annunziare ancora a tutti il Vangelo, che ha in sé la capacità di portar fuori dalle secche della attuale fase della nostra società.

            Siamo chiamati dal Signore ad un servizio grande, miei fratelli e mie sorelle, che in questa sacra convocazione rappresentate tutte le componenti del ministero della Chiesa aretina, cortonese e biturgense.

            Il Signore ci invia in missione dentro il quotidiano, non senza fornirci gli strumenti e la forza per aiutare e sorreggere, “confortare tutti gli afflitti”[4]. Nella via dell’incarnazione, che Gesù ci ha mostrato, non possiamo tralasciare nessuno. Questa Chiesa vuole innanzi tutto rinnovare la propria disponibilità a farsi prossimo a tutti, specialmente alle persone provate dalla sofferenza e dall’incertezza del vivere. Andare incontro agli sfiduciati con dialogo e accoglienza è lo stile che Gesù ci ha insegnato. Farsi vicini ai nostri contemporanei vuol dire rivestire gli abiti del Buon Samaritano, del Padre misericordioso che accoglie il Figliol Prodigo, del Pastore che cerca la pecora smarrita, lasciando pure le altre 99 nell’ovile. La nostra missione è di portare il Signore alla gente del nostro tempo e portare i nostri interlocutori al Signore. Guai a noi se la proposta evangelica fosse solo un metodo di pur rigorosa ricerca del vero, senza un effettivo coinvolgimento della vita. Prima ancora del giudizio di Dio alla fine del tempo, dobbiamo essere attenti alla incoerenza con cui vanifichiamo gli sforzi e banalizziamo l’approccio con i nostri esigenti contemporanei.

            Talvolta sembriamo come quei navigatori di molti mari che poi non riescono a capire che il piccolo naufrago presso la propria barca non è aiutato dalla narrazione dei suoi viaggi tra gli oceani: ha intanto bisogno del modesto salvagente per stare a galla, per poi ritrovare la passione di ascoltare e di condividere il progetto che gli vogliamo proporre. La meditazione della Parola, la preghiera incessante, la carità operosa sono i mezzi di cui ci ha fornito il Divin Maestro, donandoci una fede contagiosa ed efficace, piena di fiducia e incrollabile, consapevole della verità sul mondo e sulla storia, umile e ricca della certezza che Dio non abbandona.

2. I sacri ministri partecipi del sacerdozio di Cristo

Questa opera di mediazione è parte essenziale del ministero sacerdotale cristiano. È attraverso di noi che Dio si china sulle ferite della storia per curarla e riscattarla al suo progetto di salvezza.

            Cari fratelli sacerdoti, abbiamo il privilegio di essere il sacramento di Dio perché la sua Parola arrivi a tutti e la potenza della sacra mentalità della Chiesa faccia giungere la Grazia divina in ogni risvolto della nostra azione. Per essere adeguati a questo meraviglioso compito di veri ed efficaci benefattori dell’umanità ci è domandato innanzi tutto di essere uomini innamorati di Dio, facitori di ponti tra l’umanità e il Signore, nelle forme che la tradizione veneranda ci propone e la creatività dello Spirito di suggerisce in questo tempo in continuo movimento e in profonda trasformazione.

            Saremo fedeli al mandato solo se per primi ci impegneremo al rischio della fede, fidandoci di Dio più che di noi stessi, umili e saggi, ma anche forti della Grazia e ricchi di umanità, che è il primo ponte con il quale realizzare stabili e significative relazioni con il mondo. Siamo costruttori di ponti, partecipi del sacerdozio di Cristo, vero e grande Pontifex della nuova alleanza. A lui vogliamo assomigliare, pur nella fragilità della nostra condizione umana.

            Sappiamo bene che il sacerdozio di Aronne e quello di Cristo sono intrinsecamente differenti: il nostro non è un ruolo sociale, una professione da svolgere. Il nostro non è un ruolo acquisito ma una missione continua, degli  amici del Signore, che non hanno tane come le volpi, né altro luogo dove poggiare il capo, che non il cuore di Cristo, come l’Apostolo Giovanni. Il nostro servizio è diretto a Dio, che ci chiede di esprimere la dedicazione totale a Lui, nel riferimento sapiente e continuo al popolo che egli si è scelto. Siamo tutti missionari, o non siamo gli apostoli del Signore Gesù.

            “Immolatus vicerit”: l’esempio del Vescovo Donato è parte irrinunciabile della nostra identità sacerdotale. I santi martiri, che hanno donato la vita per il Regno sono il nostro riferimento più alto, perché riesca anche a noi di svolgere con gioia il servizio che ci è chiesto. Beati noi, che siamo ogni giorno chiamati a sostare presso la Tenda dell’Alleanza, per poi riferire al popolo quanto la Divina sapienza nella meditazione e nella preghiera ci avrà mostrato: se il sacerdote pratica quotidianamente la sua avventura di discipulus Domini, saprà insegnare la via del discepolato con l’esempio ancor meglio che con le esortazioni.

            Mettere il cuore nell’azione sacra, è la via che ci assicura il giusto adempimento del nostro compito nella Chiesa: “Sacerdos proter populum”. La fatica di ogni giorno per essere fedeli, il continuo sforzo di compiere il nostro dovere in un mondo tanto cambiato e in continua trasformazione mostrano il senso che abbiamo della croce, non come fine ma come passaggio inevitabile, perché giunga a tutti la salvezza.

3. Il senso soprannaturale dei Millenari

            È l’anno del duplice Millenario di Camaldoli e di Sansepolcro, quasi ideali facce di un’unica medaglia dove l’Eremo della Trasfigurazione si combina con la memoria dei Santi Pellegrini Arcano ed Egidio, costruttori della città del’uomo, che ancora ci sfidano a cogliere il senso soprannaturale del nostro convivere, sulla nostra presenza nel mondo, che non può che essere operosa e faticosa, come la croce di Gesù. La nostra comune vocazione è unire la contemplazione che motiva interiormente e fa uomini nuovi con l’impegno a essere animati dalla carità, perché prevalga la giustizia e sia edificata una pace stabile e umanizzante. Il premio della fatica è cantato dal salmo 89, con cui abbiamo meditato la chiamata al ministero, nella sequela del Figlio di Davide e nella imitazione di Lui.

            La profezia che il mondo oggi si aspetta dalla Chiesa è sapersi fare compagna di strada come Gesù ai Discepoli idi Emmaus, con i cinque verbi che Luca conia per insegnare la pedagogia del Cristo: accompagnare, ascoltare, spiegare il senso degli eventi, rispondere alle attese e spezzare il pane della condivisione con tutti i viandanti del tempo, che ci riuscirà di intercettare, partire dai più giovani.

            Ho provato a spiegare in questa prospettiva la visita del Papa, ormai felicemente vicina. Sì, presso i resti mortali del Vescovo Santo per cui questa Chiesa diocesana è ricordata nel mondo fin dall’antichità, voglio ripetere che ci sono estranei tutti gli orpelli di pompe esteriori.

            In questo momento in cui molta parte della nostra popolazione soffre di vera povertà, e anche miseria “Pietro viene a trovare Donato”, come un “Kairòs” che ci fornisce l’opportunità di una riflessione su noi stessi, sulla nostra identità e sulla gioia di donarci al Signore nel servizio del popolo che Egli si è scelto, come porzione eletta e sacerdoti del nostro Dio.

            Ci appartiene il tema della “Giustizia e della Pace”, che con Sansepolcro portiamo nel nome stesso della nostra Chiesa. Interrogarci ancora quale impegno sappiamo mettere su questo ideale è già ora frutto del gran lavoro che stiamo compiendo.

            Iddio ci conceda in questo momento in cui ci avviamo a rinnovare le nostre promesse sacerdotali e a predisporre gli oli santi, segno privilegiato del servizio sacramentale della Chiesa.

Il Signore ci faccia rinnovare l’impegno a d essere tutti docili all’azione dello Spirito.



[1] I Pt 2,9

[2] Lumen Gentium, 3

[3] Sal 85,11

[4] Is 61,2