Trasfigurazione del Signore – Omelia dell’Arcivescovo all’Eremo di Camaldoli

Figli e figlie della Chiesa,

benedite con me il Signore

in questo giorno santo!

 

         Sulle orme dei figli di San Romualdo, anche noi quest’oggi siamo tornati a salire sul santo monte con l’intento di contemplare il Santo Salvatore. Vogliamo essere rinfrancati dalla vicinanza di Gesù nelle tribolazioni della vita, nelle incertezze, nella fragilità, quando ci sentiamo soli di fronte al mysterium iniquitatis.

         Nella santa liturgia vogliamo tornare a vedere lui al di là delle apparenze di una chiesa che talvolta non riesce a fidarsi del Risorto e scandalizza molti con le sue incoerenze, il peccato, il continuo contrasto tra profezia e istituzione. La riforma della chiesa può avvenire solo ad opera della divina Grazia, di cui noi stamani vogliamo tornare ad essere, gli uni per gli altri, strumenti e ministri.

 

  1. 1.Uscire, ovvero il dinamismo della vita cristiana

         In questo luogo di antica meditazione e di santità praticata, ogni credente è chiamato a fidarsi della Parola di Dio e ad affrontare senza paura le prove della vita. Siamo incamminati verso la Città dei Santi dove anche noi vedremo il Signore faccia a faccia, panim. Intanto proviamo a salire la Scala di Giacobbe.

         La Parola rivoluziona la nostra esistenza, a condizione che ci dedichiamo non al ritualismo dei gesti ma allo shema. Raccontiamoci l’un l’altro l’esperienza del fascino di Dio che parla con me e si rivela, avviando una storia d’amore. Ci è chiesto di recuperare la dimensione dell’ascolto reciproco con Dio e con i fratelli, come insegna il santo padre Benedetto.

         La Scrittura stessa motiva l’avventura: del credente: “ruggisce il leone, chi non temerà? Il Signore Dio ha parlato, chi non profeterà?” Il rapporto tra fede e incredulità è come un’avventura verso l’ignoto dell’uomo, ma il noto di Dio. Siamo, cari fratelli, a raccogliere il dono di Gesù, non già per lenire lo scandalo della croce, ma per recuperare fiducia nel confronto tra la Chiesa e il mondo.

         All’esperienza dell’incontro quotidiano con Dio, occorre affiancare la pratica dell’ascetica, per superare il costo del distacco dalla logica del mondo, che è ben ripagato se l’incontro con Dio è sostanziale.

         A chi non fa paura il rischio dell’incognito? La scalata del santo monte è un’avventura inedita perché espressione della unicità di ogni persona. Esistono indicazioni per il cammino, ma solo l’obbedienza della fede fa accettare il rapporto con Dio, come luogo dove Egli indica la strada da percorrere. Sant’Agostino insegna che lo Spirito d’amore, lo Spirito Santo, è il luogo dove si rivela il progetto di Dio.

         I frutti dell’amicizia con Dio sono molto concreti, come la benedizione fatta al padre Abramo. Dio si mostra onnipotente nella capacità di valorizzare ciascuno di noi al meglio. Dio è capace di portare a compimento ciò che ha iniziato in noi, non abbandona i suoi amici.

 

  1. 2.La fatica della fede, uscita che salva

         San Paolo descrive il cammino della fede come una grande fatica, una lotta. Il dolore non è necessariamente causato dal confronto con elementi esterni. La lotta è anzitutto all’interno di noi stessi: “soffri anche tu per il Vangelo, aiutato dalla forza di Dio”. Siamo chiamati a camminare controcorrente, entrando nella logica di Dio. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia”.

         Anche noi quest’oggi ci confrontiamo con l’esperienza della comunità post pasquale. La trasfigurazione è l’uscita della prima comunità verso il monte “Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare”. I Padri hanno interpretato questo logion come il ruolo dell’ascetica e della preghiera: la fatica del cammino cristiano controcorrente e l’aiuto che viene dall’Alto.

         Il frutto di quella singolarissima esperienza fu di far contemplare loro l’alternativa possibile: Gesù fu trasfigurato davanti a loro. È il ruolo della contemplazione, vedere oltre le apparenze. Luca racconta il dialogo tra Gesù, Elia e Mosè, dicendo che sunelaloun, conversavano, imperfetto continuativo, che richiama per contrapposizione il conversare tra Dio e i progenitori in Genesi 3.

         Mosè ed Elia nel racconto della trasfigurazione esprimono la convergenza tra la sapienza della legge e il coraggio della profezia. Il terzo personaggio di questa singolarissima esperienza mistica, matrice di ogni successiva esercizio di contemplazione, è Dio che attesta “questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. Il Padre accredita il Verbo e chiede di ascoltarlo.

         In questa stessa pericope Luca, unico dei sinottici, circondando l’esperienza sul monte con la nube e la meraviglia, annunzia il nuovo exodon. Fare esperienza di Gesù risorto significa uscire dalla religione del fare e avviarsi su quella dell’essere.

         Pietro al risveglio dal sonno – Luca dice che non sapeva quello che diceva – vuole costruire tre tende, secondo il rito memoriale dell’esodo dall’Egitto. L’allusione alla Festa delle Capanne è possibile, come pure il fatto che il nuovo Esodo, cioè il cammino verso la Gerusalemme del Cielo, si fonda sulla Resurrezione: “non parlatene a nessuno finché il Figlio dell’Uomo non sia risorto dai morti”. È la complessità che coinvolge anche noi, la fatica di collocarci tra il già e il non ancora, lasciando il ritualismo devozionale per far posto alla Parola di Dio.

 

  1. 3.La nostra uscita

         La via della Passione, cioè farsi carico della realtà, affrontare la lotta, è l’unica strada per il nuovo Esodo. La Chiesa del nostro tempo deve ritrovare il coraggio di farsi carico delle sofferenze del mondo, come ha insegnato Gesù sul santo monte a Pietro, Giacomo e Giovanni.

         Non dobbiamo perderci di coraggio se la durezza dell’avventura ci farà sperimentare il dolore di Cristo che resta solo nel Getsemani. Dobbiamo trovare il coraggio di prendere atto che la christianitas è finita e, forse, anche di gioire perché si torna in missione. Tante volte nella storia della Chiesa è avvenuto questo processo. La politica è per sua natura inaffidabile, come quando l’imperatrice Teodora provò a vendere agli Ariani la Chiesa fedele a Roma. come quando l’abbraccio dei Franchi fece rinascere la tentazione di servirsi della Chiesa per consolidare l’impero.

         Romualdo salì su questo monte quando i vescovi si combattevano in armi tra loro e mostrò con la sua profezia la sequela Christi. La forza di quella profezia fu la testimonianza, che credo sia parte del carisma.

         Il forte legame che vi è tra Camaldoli e Giovanni Battista Montini deve farci tener vivo il bisogno di uscire dall’asfissiante abbraccio dei contendenti che ostentano gli antichi i segni della fede, ma vogliono solo servirsi di noi per perseguire i loro scopi. Camaldoli è un’alternativa cristiana, per chi cerca il vero e il giusto, nel silenzio interiore delle coscienze. Non fate mancare anche a questa generazione la vostra sapienza illuminata dalla contemplazione!

         L’Eremo è il luogo dove si riesce a vedere i “libri aperti” di Daniele 7 e dove è possibile scorgere tra le nubi del cielo “uno simile ad un figlio d’uomo… e il suo regno che non sarà mai distrutto”.

         San Pietro ci invita oggi a non “andar dietro a favole artificiosamente inventate”. Siamo venuti a chiedere alla comunità di Camaldoli di tener vivo il carisma del discernimento e di aiutare il cammino della Chiesa italiana a fissare lo sguardo su Cristo “uomo nuovo”, principe della pace, in questo tratto di strada che va ancora una volta dalla Risurrezione di Cristo al suo glorioso ritorno.