Convengo diocesano

Intervento conclusivo nella Basilica di San Domenico
06-10-2023
  1. Introduzione

Un primo momento del nostro raccoglierci: ci mettiamo in ascolto dei gruppi, dei laboratori che hanno lavorato, non con il riassunto di quello che è stato detto, che verrà consegnata a me, perché la possa leggere e diventare occasione di ascolto per me, di ascolto rinnovato. Abbiamo chiesto a ciascun gruppo di dire una parola, ed è la parola che riassume il lavoro del gruppo e vuole essere consegnata a tutti come augurio alla nostra Chiesa e al cammino di quest’anno. Allora ascoltiamo prima queste parole, noi le ascolteremo, sono proprio solo delle parole, ma immaginate che siano l’eco del volto della Chiesa che vorremmo, o del volto della Chiesa, che lo Spirito del quale ci siamo messi in ascolto ci sta suggerendo. Parla lo Spirito e parla alla nostra Chiesa, ascoltiamo queste parole e poi io condividerò un po’ di pensieri e di orizzonti. Così dai gruppi: incontro, condivisione,

coerenza; accoglienza e condivisione; famiglia; avanti in continuità; accogliente; accoglienti, aperti e coraggiosi; credente in Cristo, un imprevisto attraente; comunione, entusiasmo e apertura; convivialità e accoglienza; primavera; cammino di condivisione; condivisione; credibilità; bellezza; relazioni; accoglienza; superamento delle barriere; accoglienza; farsi prossimi; un cuore solo, un’anima sola; condivisione con gioia; gioia della condivisione; testimoniare la comunione; ascolto del prossimo e unità; gioia nella fede.

Le varie parole ci suggeriscono attenzioni, attese condivise. Le riascolteremo per cogliere la voce dello Spirito. Ora condivido alcuni pensieri. Alcuni orizzonti che ho pensato di offrire all’inizio di questo cammino pastorale.

  1. La nostra cornice.

Prima di tutto, la cornice. In quale cornice ci collochiamo? Un primo tratto di questa cornice riguarda me. Il più nuovo qui sono io. Arrivato non da molto tempo. Sono dieci mesi che sono arrivato nella Diocesi. Per singolare coincidenza, proprio un anno fa, il 6 ottobre, facevo con alcuni amici una prima visita informale alla Diocesi. E ricordo che ero stato in modo particolare a Camaldoli. Ma la mia presenza in Diocesi è il cammino di questi 10 mesi. Sono stati mesi molto intensi. Ho vissuto cose belle. Ho vissuto incontri, dialoghi, riflessioni, approfondimenti, momenti belli di partecipazione. Tra i tanti momenti di partecipazione, penso per esempio le Cresime fatte nelle vostre parrocchie. Penso alle tante belle occasioni estive, nelle quali ho visitato campi scuola delle parrocchie, l’incontro dei giovani a Rondine, l’Azione Cattolica ai campi a Gello, 360 giovani a Lisbona, davvero esperienze bellissime di partecipazione. E quindi questi 10 mesi sono ricchi di volti, di incontri, di presenze e li porto nel cuore come ricchezza, ma anche come i primi passi per diventare con voi “di famiglia”. E a questo riguardo, l’ho detto anche in altre occasioni, un grande grazie a tutti voi, preti, religiosi, religiose, diaconi permanenti, giovani, anziani, famiglie, davvero un grande grazie a tutti voi perché, ma lo dico sinceramente, mi avete regalato accoglienza. E l’ho sentita. E quindi davvero grazie e questo è un primo tratto della cornice.

In secondo luogo, arriviamo a stasera dopo un’esperienza per me di ascolto, di consultazione. Se ricordate, a inizio luglio ho mandato una lettera ai preti, poi anche a tanti altri religiosi, religiose, diaconi, laici. Eravamo nel mese di luglio e chiedevo un po’ di osservazioni. Al di là dei numeri, per quello che riguarda i contenuti, le idee, i pensieri, è arrivata una ricchezza di materiale. Ho letto tutto, ma alla fine mi son detto, adesso devo rileggerlo per fissarmi le cose belle che mi sono state dette, gli stimoli, i sogni. I numeri: hanno risposto una trentina di laici, religiosi, diaconi e all’incirca 45 preti.

Un terzo elemento di questa cornice: visitando la Diocesi, ho trovato davvero una ricchezza di diversità. Le diverse valli hanno storie diverse, hanno tradizioni anche diverse, ma la diversità è bella, è una ricchezza. E c’è una diversità dell’unica Diocesi e io credo nella necessità di rispettare e valorizzare ogni storia, ogni specificità. L’amico Matteo in Cattedrale prima ci parlava di originalità. C’è una originalità delle zone, delle storie, delle vostre comunità, che va riconosciuta e accolta come dono, valorizzata, integrata in un cammino comune, perché ciò che ci unisce è che nella nostra originalità siamo l’unico popolo di Dio in cammino. E siamo l’unico popolo di Dio in cammino amato dal Signore, con le nostre originalità. Così come siamo, amati dal Signore. Allora è proprio il senso di questa serata: il ritrovarci insieme, vivere questo convegno vuole esprimere il mettersi in cammino insieme, come abbiamo detto già, in ascolto dello Spirito, perché per camminare insieme ci vuole lo Spirito. Solo lo Spirito di Dio è capace di farci uno, di farci unità e di farci camminare insieme. Allora ecco perché questo tema generale della serata, ma vorrei che fosse il tema dell’anno, “ripartire insieme in ascolto dello Spirito”. Questo è il punto di partenza. E per me, siamo nella cornice, questo dice una priorità. Tante altre cose potremo fare, ma lo stile di fondo, l’atteggiamento da far maturare nelle comunità, l’orizzonte da avere è “in ascolto dello Spirito”. Vorrà dire: la preghiera, l’ascolto della parola di Dio, la condivisione. Altro elemento della cornice: la storia della Chiesa di Arezzo, Cortona e Sansepolcro non parte stasera. C’è un cammino che ci appartiene e che ci precede. Guardare alla nostra storia, alla storia della nostra Chiesa, della nostra Diocesi, guardare alla storia che ci ha portato fin qui, ci chiede di avere uno sguardo benedicente. Noi dobbiamo benedire la storia che ci accompagna fin qui, perché è lo sguardo di Dio, è lo sguardo verso noi, popolo amato dal Signore. Allora ci possono essere limiti, fatiche, resistenze, ma su tutto c’è la benedizione di Dio. E noi siamo chiamati a accogliere la nostra storia, quella che ci precede, e benedirla, benedire la storia della nostra diocesi, ma anche la vostra personale. Amici, guardate alla vostra vita e dite una parola di benedizione per voi, di bene per voi, per la vostra vita. E in questo cammino che ci appartiene, tanti percorsi stanno già partendo, con le varie responsabilità che vanno avanti e che questa sera riconosciamo e incoraggiamo.

Per esempio: domenica ci sarà il convegno per i catechisti, cammino che parte; partirà il cammino per i diaconi permanenti; già si sono ritrovati gli insegnanti di religione; tante cose che partono, così come nelle vostre parrocchie. Nelle parrocchie tante dinamiche di vita pastorale sono partite e questo continua, fa parte della nostra storia e fa parte della cornice.

Queste conclusioni, questi pensieri che sto ora offrendo a voi, prescindono dal confronto di questa sera, perché capite bene, non sarei serio se vi dicessi che vi parlo tenendo conto delle cose che sono uscite questa sera. Devo ascoltarle prima, quindi mi verranno consegnate e saranno per me un nuovo ascolto. Condivido allora pensieri che sono maturati nel tempo e da quell’ascolto che ho soprattutto vissuto nei mesi estivi. E quindi quello che vi dico questa sera è un insieme di pensieri che entra in un orizzonte di ulteriore e futuro discernimento, di cammino che andrà avanti anche nel capire i passi da fare. Ultimo elemento di cornice, allargando il nostro sguardo: vi invito a guardare a Roma, e a Roma c’è il Sinodo Generale della Chiesa Cattolica. Noi questa sera abbiamo vissuto, in piccolo, una dinamica sinodale, e allora ecco, mi sembra bello scoprire, sentire che in questa dinamica noi stasera ci mettiamo in comunione con il Sinodo di tutta la Chiesa e anche preghiamo per il Sinodo di tutta la Chiesa.

  1. Un’icona biblica.

Se questa è la cornice, nella cornice di solito si mette un quadro! Lo prendiamo da Matteo 22, 1-14.

In quel tempo Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse «Il Regno dei Cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi

presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nunziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

3.1. L’invito

Vorrei cogliere qualche sollecitazione, qualche sguardo per noi.

Immaginate la cornice, c’è il quadro, lo stiamo guardando, e io vi indico alcune cose del quadro. La prima cosa, c’è un invito, una chiamata alla festa di nozze e il Vangelo mette bene in luce che non ci dobbiamo lasciar sfuggire l’invito. La violenza di questo brano, delle truppe che escono, che addirittura uccidono gli invitati che non hanno accolto l’invito, non indica certo una volontà di punizione, ma è un modo del Vangelo per dire come è decisivo per la vita questo incontro, questo invito. O meglio, il Vangelo vuol dirci, questo invito ti fa vivere, ti regala la vita. Allora è un invito decisivo, è l’invito a mettersi in ascolto, a vivere una relazione. Lo dico così, è l’invito a vivere quella dimensione della vita spirituale che ci è stata richiamata questa sera, e che anche suor Barbara ci ha spiegato, la vita spirituale. Questo è l’invito, l’invito ad accogliere e lasciare lavorare in noi e nella nostra Chiesa lo Spirito di Dio. Ma ripeto, la forza del Vangelo, anche la violenza di questa pagina di Vangelo ti dice che accogliere questo invito è vitale, fa vivere, ti regala la vita. Allora ripartirei da qui, riattiviamo i cammini di vita spirituale, soprattutto a livello comunitario. Una delle primissime lettere pastorali del cardinale Martini a Milano fu “In principio la Parola”. Dunque si tratta di mettersi in ascolto della Parola anzitutto. In questa linea propongo un percorso di ascolto, oltre alle tante proposte che già si vivono nella Diocesi perché molti sono i luoghi ricchi di spiritualità della nostra Diocesi. Non ne cito nessuno per non rischiare di dimenticare, ma quante proposte di ascolto della Parola noi abbiamo in Diocesi! È una ricchezza già in atto, è una ricchezza da riconoscere e da condividere perché è offerta a noi. In questa ricchezza che c’è già vorrei proporre anch’io un percorso di lectio, di ascolto della Parola, che come l’anno scorso sarà trasmesso anche in diretta televisiva da TeleSanDomenico e sui social, ma che quest’anno vorrei fare anche in presenza, in luoghi diversi della Diocesi. È un percorso di ascolto della Parola di Dio perché, facendo questo, voglio dire che il primo che si deve mettere in ascolto della Parola con il popolo di Dio è il Vescovo. E vorrei scegliere alcuni luoghi anche di fragilità dove vivere questo ascolto, per esempio il carcere, l’ospedale, la mensa della Caritas. E poi, sempre in questo orizzonte, riprendere dalla vita spirituale vuol dire riprendere dalla preghiera, da una preghiera comunitaria che nelle parrocchie si può organizzare, promuovere, far crescere, e la preghiera personale. Lasciatemi dire una cosa d’altri tempi: la bella pratica della visita al Santissimo Sacramento, ed è una piccola perla di preghiera che potremmo mettere nella nostra giornata. Bastano pochi minuti, dove in chiesa mi metto davanti al Signore, incontro Lui. E questo tema della preghiera riguarda tutti, laici, religiosi, preti. In questo si colloca anche l’attenzione alla liturgia, probabilmente con qualche responsabilità nuova anche a livello diocesano, ma la cura della liturgia come pastorale e la cura della liturgia nelle nostre parrocchie, in particolare l’Eucaristia, appartiene a questo ritrovare la bellezza della vita spirituale. E ancora in questo orizzonte della vita spirituale c’è anche tutto il cammino di formazione, cioè crescere, non tanto nella conoscenza intellettuale, ma nel sentire del cuore. Le proposte che faranno a livello formativo possono far camminare. Pure riguardo alle proposte a livello formativo nella Diocesi, già ne abbiamo di varia natura e di vario genere. Allora credo che non sia da appesantire la proposta, ma da ripensare. Pensiamo a un cammino proposto dallo studio teologico, qualche segno di cammino formativo per tutti lo possiamo condividere. Allora quest’anno vi proporrò, come comunità diocesana, due momenti su due tematiche formative. La prima sulla nuova esortazione apostolica del Papa che segue la Laudato Si’. Un secondo incontro vorrei dedicarlo alla pastorale dei ragazzi. Due temi per vivere due momenti condivisi, insieme a tante proposte formative diocesane. Allora concludendo questo primo sguardo al quadro, credo che ci sia una domanda per ciascuno di noi, che vorrei dire a voce alta, ed è una domanda personale. Partendo da me, Vescovo Andrea, me lo chiedo, e poi potrei dire i preti, i religiosi, i religiosi, i diaconi, i laici, i giovani, i ragazzi, e chiedo: ma la tua vita spirituale c’è? La riconosci? E come si esprime, come la vivi, la tua vita spirituale? E ancora, di cosa ha bisogno per essere viva la tua vita spirituale? Ecco, questo è il primo punto: mi piacerebbe quest’anno aiutarci tutti a vivere questo, perché, come diceva il Vangelo, si tratta di accogliere una chiamata, un invito decisivo, vitale.

 

3.2 Lo stile: la sinodalità.

Secondo tratto del quadro evangelico: quelli che entrano, quelli che entrano alla festa, sia quelli che non sono entrati erano chiamati a stare a tavola, ma quelli che entrano andranno alla tavola delle nozze. C’è uno stare a tavola, e in questo stare a tavola per chi accetta l’invito, mi sembra di vedere l’esperienza di quella che nella Chiesa oggi chiamiamo sinodalità. Già vi ho richiamato il Sinodo Generale che si sta celebrando a Roma, ma anche a livello diocesano delle Chiese in Italia, quest’anno siamo chiamati a vivere il terzo anno del cammino sinodale, che è chiamato anno sapienziale, anno del discernimento. Abbiamo vissuto due anni in cui abbiamo fatto emergere le idee, ora sui temi proposti bisogna andare a fondo, bisogna approfondirli, capirli, per arrivare a fare delle scelte. Quindi l’anno del discernimento. La nostra équipe del cammino sinodale a breve comunicherà delle indicazioni concrete per avviare questo terzo anno, che è l’anno del discernimento. Ma al di là delle cose da fare, sappiamo la sinodalità più che un fare è uno stile, cioè è un modo di essere Chiesa, è un modo di vivere la Chiesa in una condivisione e in una partecipazione di tutti. Allora saremo chiamati a proseguire sulle tappe del cammino sinodale, ma insieme a crescere nello stile della sinodalità, del camminare insieme, dell’ascolto reciproco.

Ed è un altro elemento del cammino pastorale di quest’anno. Penso che non si tratta di fare anzitutto eventi e momenti, ma di assumere e imparare un modo, uno stile di essere Chiesa, da sperimentare, come abbiamo fatto questa sera. E anche in una parrocchia si può fare. Pensate il consiglio pastorale: potrebbe essere non l’organismo che conferma le scelte fatte, ma

l’organismo a cui sono affidati dei temi e si cammina, ci si confronta per arrivare a fare insieme delle scelte. È da sperimentare, magari non si riesce subito, ma proviamoci, va bene anche sbagliare, perché provandoci si può sbagliare, ma si impara. Allora a questo riguardo – lo stile della sinodalità – vi chiedo che ogni realtà parrocchiale, che sia parrocchia o unità pastorale, dipende dove c’è la vitalità, abbia il proprio consiglio pastorale e il proprio consiglio affari economici, distinto dal consiglio pastorale. Questi sono organismi indispensabili. Ogni realtà che vive come parrocchia deve avere il proprio consiglio pastorale e il proprio consiglio affari economici. E poi molto di più, perché nella parrocchia può nascere il gruppo catechisti, il gruppo dei lettori, degli accoliti, il gruppo dei giovani, dei cantori. Con la fantasia potete mettere in piedi cose bellissime che favoriscono il camminare insieme.

 

3.3. Una Chiesa di ampi orizzonti.

Un altro tratto del quadro: colpisce chi non entra alle nozze, chi rifiuta l’invito, chi volutamente dice non ci vado; ma ancor di più significa che tutti sono chiamati a entrare. Il Vangelo dice: “Usciti per le strade quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, li invitarono a entrare alle nozze” (cfr. Mt 22,10). Ecco l’altro punto che vorrei augurare alla nostra Chiesa: comunità vive, perché dove c’è una festa di nozze si è vivi, e poi se corre del buon vino si è vivi ancora di più. Quindi comunità vive e inclusive. Si potrebbe dire comunità generative. A volte, le preoccupazioni dei confini delle parrocchie, tra ciò che compete a me rispetto a te, rischiano di frenare la bellezza di accogliere. Dobbiamo prendere atto che, nella nostra società, c’è una fluidità della vita, rispetto alla quale l’appartenenza a una comunità varia: non è detto che dove uno abita sia il luogo di vera appartenenza. C’è una varietà di vita oggi, soprattutto nelle città, che richiede una flessibilità, uno sguardo “leggero” sulla vita della gente che dobbiamo assumere per essere capaci di accogliere, per rispettare i cammini delle persone e non ridurli ai nostri schemi. Dunque prendere atto di una fluidità, di appartenenza alle comunità oggi e lo stimolo che ci dà questa pagina di Vangelo è accogliere tutti. Papa Francesco a Lisbona nell’incontro con i giovani, nella celebrazione di accoglienza, quindi nelle prime parole che ha detto ai giovani, ha insistito proprio con questo ritornello. Nella Chiesa c’è posto per tutti e l’ha fatto ripetere ai giovani, per tutti, c’è posto per tutti. Il Papa ha semplicemente ridetto il Vangelo: vengono chiamati tutti, cattivi e buoni, alla festa di nozze. Allora anche questo è uno stimolo per noi, perché siamo invitati a riflettere sullo stile, sulle condizioni di accoglienza delle nostre comunità, delle nostre parrocchie e della Diocesi. Un esempio: pensate all’importanza degli ambienti; per i giovani, l’ambiente dove accogliere è importante e, se l’ambiente non c’è, l’ambiente dove accogliere è la piazza, è la strada, è stare lì dove stanno i giovani. Cioè accogliere non vuol dire solo lasciare entrare, ma stare lì dove sono, stare con loro. Dunque in parrocchia, ci dice questo Vangelo, alla festa di nozze, ci stanno tutti, giusti e peccatori, direi credenti e lontani, ricchi e poveri, giovani e anziani, tutti. Allora abbiamo bisogno di comunità aperte, accoglienti, che fanno sentire a chi c’è che è bello che ci sia e che curiamo la loro presenza. Una Chiesa davvero dalle porte aperte, anche logisticamente. La gente come fa ad andare in Chiesa? E non aperta a orario, ma la chiesa aperta, dove la gente possa entrare, possa andare anche nel paese, che è un segno di una comunità aperta, accogliente. Allora ci possiamo chiedere, ci dovremo chiedere quest’anno cosa ci occorre per avere comunità, le nostre, davvero accoglienti e capaci di dare la gioia dell’accoglienza; la gioia del condividere lì dove la gente vive. Pensate la forza e l’attualità che ha la visita e la benedizione alle famiglie, che è l’andare nelle case della gente, incontrare la gente a casa; è bellissimo ed è estremamente pastorale, è accogliente. C’è anche il grande tema dell’accoglienza dei migranti, che deve essere dignitoso, che deve esprimere disponibilità. C’è il tema del costruire incontri che ci regalino esperienze di pace. Allora occorre camminare per crescere come comunità in cui ognuno ci può stare come è e ognuno può portare il proprio contributo, la propria idea e in questo si diventa comunità generative, cioè che vivono e fanno vivere, capaci di far respirare la vita, la bellezza, l’apertura, un respiro grande, grande. Sarebbe bello che quest’anno ogni comunità provasse a trovare un segno, un incontro, un momento, una preghiera che dica questa accoglienza, questa apertura, con la quale avviciniamo tutti: puoi sederti a tavola, alla mia tavola, puoi stare alla mia tavola. Certo, ricorda il Vangelo che ci vuole l’abito nuovo. Ma forse l’abito nuovo non è l’abito da comprare prima per andare alla festa di nozze, ma è l’abito che ti viene regalato alla festa di nozze. Cioè se accogli questo invito, dice il Vangelo, ti cambia la vita, è l’abito nuovo. E se non ti accorgi che la tua vita è cambiata, è resa bella da questo invito, non è il tuo posto. Ecco, l’invito accolto ti regala l’abito nuovo. Ed è il vero cambiamento, è il lasciarsi amare. L’accoglienza vuol dire lasciarsi amare. E se ti accorgi che sei amato, amata, hai l’abito nuovo, ed è l’amore di Dio. A questa tavola credo che qualcuno non deve mancare tra gli inviti. Cioè: ci vuole un po’ più di forza, come questi servi che escono e alzano la voce, perché non manchino i giovani, non possono mancare alla nostra tavola, e perché non manchino le famiglie. Attenzione, non le famiglie ideali e perfette, ma le famiglie così come sono. Non manchino alla tavola della nostra Chiesa. In questo orizzonte, per i giovani l’idea è di dar vita, nelle prossime settimane, a un organismo chiamato Consiglio Pastorale Giovani, che raccolga una rappresentanza dei giovani della diocesi e possa essere per me occasione anzitutto di ascolto, di ascoltare i giovani e averli alla tavola. Per averli alla tavola li inviterò a mangiare anche la pizza, magari. Ecco, riguardo agli inviti, all’uscita vi verrà dato questo libretto che è un primo inizio di calendario diocesano quest’anno. È un calendario che vuole aiutare ad avere una traccia di incontri diocesani comuni, ci sono gli eventi che interessano tutti o alcune realtà della nostra Chiesa, per cui, per esempio, una prima parte riguarda soprattutto il cammino dei presbiteri e dei diaconi. A questi propongo quest’anno quattro ritiri spirituali unitari qui ad Arezzo, le date ci sono, e verrà il vescovo Roberto Filippini, il Vescovo di Pescia, ad accompagnarci in questi ritiri. Ma poi vedrete ci sono altri incontri, gli incontri formativi, gli incontri con i preti giovani e poi anche quegli incontri formativi per tutti di cui vi ho detto prima. Poi ci sono le date della lectio divina, che cercherò di proporre, più altre tre più specifiche con i giovani. Le date dei vari consigli, presbiterale, pastorale, eccetera. E infine vi segnalo le stazioni quaresimali che quest’anno vorrei realizzare come è stato l’anno scorso nelle zone, il venerdì sera, con un primo spazio di tempo per le confessioni e poi la Messa, nei luoghi che ci diranno, ma le zone qua sono già indicate. messo anche sul sito della Diocesi. Però speriamo che basti.

 

3.4. Una Chiesa per l’annuncio.

Un altro tratto di questo quadro: il posto per ciascuno. Quando c’è una festa di nozze, per il pranzo ci sono i posti, c’è il tabellone, ci sono scritti i posti. Questo pensare ai posti dove ci mettiamo a

tavola mi ha fatto pensare ai posti che la Chiesa ha nel nostro territorio. Dei posti sono le parrocchie, dei posti sono le associazioni, dei posti sono i luoghi di spiritualità, dei posti sono dove ci sono i religiosi e le religiose, cioè dei posti dove collocarsi. È uno stimolo, credo, a riflettere sulla presenza di Chiesa nei vari posti della Diocesi, nel territorio. Ed è una questione da approfondire, da ripensare. Cioè dovremmo chiederci, a cosa serve la comunità? A cosa serve la parrocchia, per esempio? Io credo che sia per l’annuncio del Regno. Allora la domanda per capire dove sono i posti è che cosa ci occorre per l’annuncio del Regno. Perché se non abbiamo gli strumenti e gli spazi, le occasioni per annunciare il regno non c’è un posto. Una comunità, una parrocchia può esserci dove è possibile annunciare il Regno. La parrocchia serve per questo, non serve per auto esistere, ma per l’annuncio. Allora ecco il ripensamento della Chiesa nel territorio. Già ho chiesto che in ogni zona pastorale si costituisse un gruppo di persone, preti, laici, religiosi e religiose, diaconi, che avviassero un ripensare la Chiesa nel territorio, per offrire le proprie osservazioni, da riportare al consiglio presbiterale e pastorale e arrivare a fare delle scelte. Ed è un percorso sinodale. Non si tratta di fare solo i conti con il clero, quanti preti abbiamo, di quanti abbiamo bisogno, e vedere dove mettere i preti. Questo sarebbe uno sguardo povero, ma occorre far maturare Chiese capaci di annuncio e che promuovono le varie forze e presenze per l’annuncio, che è la partecipazione di tutti per annunciare il Vangelo. Questo è un altro tratto, un altro sguardo e cammino che dobbiamo iniziare quest’anno, cercare di compiere, per arrivare a fare qualche scelta, per rendere la nostra Chiesa viva e lì dove abbiamo i posti si possa annunciare il Vangelo, annunciare il Regno e vivere la bellezza della Chiesa.

 

3.5. Un servire per tutti e di alcuni.

Questo aspetto credo che lo possiamo arricchire e approfondire con altri passi evangelici sul tema della tavola, che semplicemente vi richiamo. Per esempio, il Vangelo di Giovanni 13, 1-14, è la lavanda dei piedi. E leggo solo qualche versetto. “Il Signore e il Maestro hanno lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri”. Oppure Apocalisse 3, 20-21. “Alla Chiesa di Laodicea. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Vangelo di Luca 12, 35-47. È il padrone che deve tornare a casa e dice “beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli. In verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. E infine, Vangelo di Marco 9, 33-37. Notate che appena prima, Gesù per la seconda volta ha annunciato la sua passione e morte. Gesù dice che morirà, donerà la vita per gli altri. “Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa chiese loro, di che cosa stavate discutendo per la strada? Ed essi tacevano. Per la strada, infatti, avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i dodici e disse loro, se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Allora: lo stile della tavola a cui siamo invitati è il servizio, è servire. Anzitutto perché a quella tavola chi ci serve è Gesù. È lui che passa, dice il Vangelo, a servire e poi dice, come ho fatto io, fate anche voi. Cioè lo stile dello stare nella Chiesa è servire. Lo stile del donarsi, dell’avere dei compiti è servire. Lo stile dell’assumere degli impegni nella vita della chiesa è per servire, per donarsi. Ogni autorità, ogni ruolo nella Chiesa a partire dal Vescovo è per lavare i piedi, per servire. Notate anche del Papa si dice Servus Servorum Dei, “il servo dei servi di Dio”. Allora titoli, vesti lussuose, onori e quant’altro, allontanano dal Vangelo, non sono il Vangelo. È molto più semplice il Vangelo. Parla di fratelli, non usa tanti titoli. Parla di fratelli. Il titolo più bello è quello che dà il Signore e che ci chiama “Amici”. Pensate, chiama “Amico” addirittura Giuda. E il criterio è quello del servizio.

Ecco allora alcune scelte per la vita della Diocesi che vorrei dire e condividere. Se il criterio fosse quello dell’accontentare aspirazioni personali o attese della comunità, siamo certi di deludere. Se la questione è rispondere a delle attese, si deluderà. Se il criterio invece è quello del servire, del donarsi, allora questa è la missione che viene scelta, che viene offerta per chi è scelto per un servizio. Per chi deve vivere un servizio, ovunque sia. Anche quello di essere madre e padre a casa propria. Che cosa c’è di più bello di essere babbo e mamma? E come è bello viverlo nel servizio. Se il criterio è quello del servire, del donarsi, se l’orizzonte è il servire, allora questo va oltre le particolarità, va oltre i limiti e le povertà di ciascuno e di chi magari viene scelto. Perché si cercherà di servire. E poi non individualismi o personalismi, ma un gioco di squadra, di équipe, perché è una sinodalità. Cioè, non c’è uno che comanda alla tavola del Signore. L’unico maestro è lui. Non c’è uno più importante degli altri. Tantomeno il Vescovo. Egli non è più importante degli altri; è con gli altri. E poi è una tavola dove fare spazio a tutti. Le scelte, gli incarichi non sono per occupare posti, ma perché tutti si possano sedere. Tutti ci possano stare. Un rischio potrebbe essere quello di giudicare, di etichettare le persone, magari per il loro passato, per la storia, anche per la concretezza di avvenimenti. E invece ci è chiesto uno sguardo nuovo. Quello non di chi vede l’errore, ma lo sguardo di chi ama e di chi vede il fratello. Allora in questa luce del servire vorrei condividere alcune scelte. È un cammino che parte con alcune scelte e andando avanti se ne faranno altre, si arricchirà, si cammina. Però leggo le scelte che è possibile condividere stasera riguardo non a posti da occupare, ma a servizi da condividere. Ripeto che la logica che ho cercato di utilizzare non è quella di sostituire le persone nei posti, ma di creare una comunità di cammino, un gruppo di persone. Ho pensato ad alcune figure diverse di settori della vita della Chiesa che devono giocare in squadra con il Vescovo. Ciascuno con la propria responsabilità e servizio, ma giocando in squadra, in una condivisione da far crescere, da costruire. Con un orizzonte temporale che dirò tra poco. In questa luce ho pensato alla necessità di “delegati vescovili” che si assumeranno il compito di responsabilità nella vita della Chiesa per alcuni cammini. Premetto, io ringrazio queste persone per la loro disponibilità, in alcuni casi è una responsabilità nuova, in altri c’è una successione. E dunque un delegato vescovile per i cammini formativi, cioè per pensare insieme nel cammino della Diocesi ciò che ci serve per quella vita spirituale, per crescere nell’ascolto, per approfondire alcune tematiche. Cammini formativi di tutti, preti, religiosi, laici. Ho chiesto a don Enrico Gilardoni di essere il delegato vescovile per questi cammini formativi. Un delegato vescovile per la pastorale, che vuol dire un progetto per l’anno a livello di percorsi di pastorale, di accoglienza delle iniziative e delle associazioni, alcune tappe da vivere come Diocesi. E dunque delegato vescovile per la pastorale don Adalberto Tarasiuk. C’è un settore importante per ogni famiglia, l’economia, l’amministrazione e ci sono ruoli diversi nella vita della Diocesi, che offre anche il diritto. Per esempio c’è, e lo conosciamo, il ruolo dell’economo, che ha un ruolo importante come gestire il rapporto con le banche, l’amministrazione della Diocesi, i bilanci. E c’è uno sguardo di cornice ampio dell’amministrazione e

dell’economia che mette in campo l’attenzione pastorale, che è dialogo con i sacerdoti, con la vita delle comunità, accogliere le problematiche e, d’intesa con tutta la realtà dell’ambito amministrativo e economico e con l’economo valuta, orienta il cammino in questo campo. Dunque ho chiesto di essere delegato vescovile per l’economia e l’amministrazione, quindi con questo orizzonte ampio, a monsignor Vittorio Gepponi. Poi c’è il tema del territorio che vi ho detto, del ripensare le zone pastorali, le parrocchie, il territorio. Siccome sono sette zone, ci vuole qualcuno che abbia la regia della questione per portare avanti il percorso, un incaricato che accompagni questo lavoro di approfondimento e ripensamento della vita pastorale nelle zone pastorali, che ho chiamato delegato vescovile per la Chiesa nel territorio e ho chiesto a don Aimè Alimagnidokpo. La vita della Chiesa è la partecipazione di tutti, e tutti partecipano per il fatto di essere battezzati, è il titolo più importante che abbiamo nella Chiesa, e ciascuno porta il proprio essere membro della Chiesa nel laicato, nella vita consacrata, nella vita presbiterale. I laici che devono partecipare, in particolare anche attraverso dei ministeri, ministri straordinari della comunione, accoliti, lettori. Ho pensato a una persona che accompagni questi cammini, che promuova questi percorsi del laicato e dei ministeri, e allora ho chiesto come delegato vescovile per i ministeri e il laicato a don Stefano Scarpelli. Tra parentesi, osservo che queste persone dovranno essere arricchite anche attraverso collaboratori che devono portare dentro anche i laici in queste dimensioni. La partecipazione dei laici, che ci sarà anche in altri futuri incarichi, dovrà arricchire questi ambiti di lavoro. Poi ci sono ambiti dove serve il genio femminile. Il genio femminile, che abbiamo pensato serve alla Curia, alla vita della Curia, con quella figura che il diritto canonico chiama “moderator curiae”, una persona che deve gestire l’organizzazione, l’armonia della Curia e anche forse un ripensamento, una semplificazione delle strutture, anche qui con un’equipe di collaboratori. E ho chiesto di essere “moderator curiae” a suor Annalisa Bini. Un altro settore importante della vita della Chiesa è la carità. Eminente nel far vivere la carità nella vita della Diocesi è la Caritas. La Caritas che è stata accompagnata, e ringrazio, in questi anni, da don Giuliano Francioli, don Alessandro Nelli e da tanti altri giovani, persone responsabili, e che voglio ringraziare. Anche per questo settore si è sentita l’esigenza di un passo di novità, di cammino, di rinnovamento. E quindi nel grazie grande a chi lascia e con un cambiamento che partirà con l’Avvento di questo anno, ho chiesto di essere direttore della Caritas a monsignor Fabrizio Vantini. E infine, l’ultima persona che ho pensato all’interno di un gruppo di cammino, ci tengo a sottolineare questo essere squadra e camminare insieme in una sinodalità, è il compito del Vicario Generale, che è un compito che ha una sua totalità, con particolare attenzione al clero, condividendo le responsabilità precedenti che ho detto e che di fatto seguiranno settori di responsabilità nella vita della Chiesa. Ho chiesto di essere Vicario Generale a Don Alessandro Conti.

Due piccole precisazioni, da quando partono questi incarichi? La data dalla quale queste nuove nomine entreranno in funzione è il prossimo 6 novembre 2023. Fino ad allora le responsabilità sono quelle attuali, il nostro Vicario Generale Don Fabrizio, il quale con me porterà avanti anche gli impegni importanti che avremo ancora anche in questo mese e quindi anche nel relazionarsi con voi. A questo riguardo io voglio ringraziare Don Fabrizio. Ha vissuto con me un servizio generoso, schietto, fedele, disponibile e di amicizia e quindi da parte mia c’è sincera gratitudine che voglio dirgli e piena fiducia. Con l’augurio anche per la nuova responsabilità che potrà portare avanti. Altra nota caratteristica, proprio perché è un gioco di squadra, proprio perché è un servizio, proprio perché in un gioco di squadra i compiti sono condivisi, tutte queste persone, compreso il Vicario Generale, mantengono il loro impegno pastorale attuale, per esempio l’essere parroco. Quindi portano avanti il loro impegno pastorale e assumono questo servizio a livello diocesano.

Quali passi ci attendono ora? A livello di cammino di rinnovamento che va avanti ci serviranno ancora alcuni delegati, per esempio il delegato per la vita consacrata, perché il nostro delegato è diventato vescovo in Sardegna e anche altri ulteriori avvicendamenti. Certamente si avvierà il rinnovamento del consiglio presbiterale, del consiglio pastorale, del consiglio per gli affari economici diocesano e quindi poi del consiglio pastorale dei giovani che dovrebbe costituirsi. Nel frattempo, in questo quadro di ripensamento, saranno riviste le figure nelle zone pastorali, vicari foranei: è un campo di lavoro e di rinnovamento. Con le commissioni di queste zone pastorali proprio il 10 ottobre avrò un incontro in cui dare alcuni indirizzi di lavoro perché parta questo lavoro di revisione. E poi in questo mese si dovranno portare avanti ulteriormente alcune collocazioni di nuovi parroci nelle parrocchie. Nelle settimane che verranno si dovrà completare questo primo sguardo alla vita delle parrocchie e alle responsabilità dei parroci nelle parrocchie.

 

  1. Per concludere: si mangia.

Manca una cosa. Invitati a tavola, ci stiamo tutti, si condivide, si serve, manca il cibo. Ci vuole il cibo. E allora mi piace pensare che il cibo di questa tavola di nozze a cui siamo invitati è l’Eucaristia. Siamo chiamati, ed è il vertice, a incontrare il Signore che si dona. Si dona nell’amore, si dona in quel pane e vino consacrati che sono la sua presenza, si dona come vita spezzata e ci dice che cosa è la vita e che cosa è la comunità. È dono, è comunione, è vita spezzata, è Eucaristia celebrata e vissuta nella vita. Allora, alla luce di questa Eucaristia che tra l’altro è l’elemento che rende la nostra comunità, la Diocesi, una, è nella comunione, nell’Eucaristia che ci riconosciamo comunità che cammina insieme. Vi assicuro, è un buon cibo, fa vivere e soprattutto regala l’amore. Allora, buona festa di nozze a tutti e grazie per questa serata.