7 agosto 2023

San Donato: Omelia in Cattedrale

Omelia del vescovo monsignor Andrea Migliavacca

Festa di san Donato, patrono della città di Arezzo e della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro

  1. Celebriamo, carissimi, con grande solennità, con gioia, con gratitudine, la festa di san Donato vescovo e martire, patrono della città di Arezzo e della diocesi di Arezzo Cortona Sansepolcro.

A tutti voi buona festa!

Buona festa di cuore all’arcivescovo Riccardo e al vescovo Franco e, con loro, a tutti i sacerdoti e i religiosi presenti: davvero l’augurio di una festa che ci porti alle sorgenti del nostro cammino di vocazione e di amore per la Chiesa.

Il saluto anche a tutti i religiosi e le religiose; in particolare, abbiamo la gioia di avere con noi una rappresentanza di fratelli della Chiesa ortodossa, varie famiglie della Chiesa ortodossa: a tutti loro, che sono ospiti a Rondine, il benvenuto con gioia nella comunione e nella fraternità che ci lega.

Un carissimo saluto a tutte le istituzioni civili e militari presenti: dalla prefettura, alla provincia, al Comune di Arezzo e agli altri comuni e a tutte le rappresentanze di carattere militare e di servizio della nostra città.

Un saluto anche ai vari ordini cavallereschi e a tutte le associazioni.

Infine, benvenuti e buona festa a tutti voi! Sapete: voi avete un compito importante, perché rappresentate tutta la diocesi e, allora, tramite voi, e con il saluto e l’augurio a tutti voi, vorrei che questo augurio di benedizione nella festa di san Donato arrivasse nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, in tutto il territorio della nostra Diocesi.

Grazie anche al coro che ci aiuta a cantare e a lodare il Signore, al servizio liturgico, alla televisione che ci consente di condividere questa celebrazione.

Per me questa è la prima occasione di celebrare la festa di san Donato ad Arezzo, dunque formulo a tutti, di cuore, il mio augurio di una bella festa, che ci dia la gioia di essere insieme, di sentirci Chiesa e di crescere come comunità.

 

  1. La parola di Dio che abbiamo ascoltato ci presenta due soggetti che ritornano nelle letture.

Il primo soggetto è il pastore.

Ne parla il profeta Ezechiele come “il pastore che deve raccogliere il gregge”; ne parla san Pietro nella seconda lettura come “il pastore che ha la responsabilità verso il gregge”; ne parla, infine, Gesù nel Vangelo, rappresentandosi e presentandosi lui come “il pastore”, il “bel pastore”.

E, certo, quando noi celebriamo la festa di un vescovo – siamo nella seconda parte del 300, un vescovo non solo che è grande annunciatore ed evangelizzatore della Toscana e della nostra terra, ma che è anche martire, cioè che dona la vita per la Chiesa, per i fratelli, per il Signore Gesù – quando noi celebriamo un vescovo come san Donato ritroviamo in lui le tracce e l’immagine del pastore.

Ma c’è un secondo soggetto nelle letture che abbiamo ascoltato ed è su questo che vorrei soffermarmi: è il gregge; appunto, ne parla Ezechiele: il pastore ha il compito di raccogliere, di custodire, di accompagnare il gregge perché arrivi a pascoli di vita, di fecondità, a sorgenti di vita. Ne parla san Pietro, dicendo che la responsabilità del pastore è quella di pascere il gregge: cioè, il pastore si deve dedicare al gregge; e ne parla bene Gesù: lui, il bel pastore, l’unico pastore la cui voce è conosciuta dal gregge perché il gregge sa di essere amato dal pastore che è Gesù.

Dunque, il gregge.

In qualche modo la parola di Dio ci dice che al pastore – e pensiamo anzitutto a san Donato nel ministero e nel martirio che ha vissuto; pensiamo a tutti i vescovi che si sono succeduti nella chiesa di Arezzo Cortona Sansepolcro; ma poi anche a tutti quelli che hanno una qualche responsabilità, fino all’essere padre e madre in una famiglia: quando c’è il compito di accompagnare altri, di essere in qualche modo pastore – dicevo, al pastore è chiesto di vedere il gregge, di accompagnare il gregge, di immergersi, vivere e stare in mezzo alla vita del gregge, cioè alla vita della comunità, della gente.

Allora, vorrei fare con voi, questa sera, una sorta di esercizio di fantasia ma illuminato dall’esperienza che mi accompagna e che ho nel cuore in questi giorni delle giornate vissute a Lisbona con i giovani per la giornata mondiale della gioventù: un milione e mezzo di giovani da tutto il mondo con il Papa, e quasi 400 dalla nostra diocesi; un clima bello di festa, di partecipazione.

Potremmo chiederci: se oggi san Donato fosse in mezzo a noi che cosa potrebbe vedere del gregge, della comunità, della gente, della realtà che noi siamo? Che cosa vede oggi san Donato, pastore, in mezzo a noi?

Vorrei lasciarmi aiutare dai giovani, quasi cogliendo nello sguardo dei giovani lo sguardo di san Donato; cogliendo nello sguardo dei giovani lo sguardo di chi ha un orizzonte più grande di noi adulti, di chi è capace di vedere più in là ed è capace di accompagnare la società civile e la Chiesa a camminare.

Lo sguardo dei giovani… credo che se oggi san Donato fosse tra noi avrebbe lo sguardo dei giovani.

Vorrei perciò provare a condividere con voi qualche tratto dello sguardo dei giovani che mi è sembrato di cogliere a Lisbona con i nostri giovani, vedendo in quello sguardo l’immagine del pastore e di san Donato in mezzo a noi.

Anzitutto, lo sguardo dei giovani è lo sguardo di chi vive la freschezza e la libertà dell’amicizia. Sono venuti i giovani dalle diverse parrocchie della diocesi, amici tra di loro, e hanno saputo, nello stare insieme di questi giorni, far crescere l’amicizia non solo all’interno delle parrocchie e delle comunità ma tra di loro con tanti altri. Un’amicizia che si allarga, che è condivisa.

Lo sguardo dei giovani è uno sguardo che sa vedere, che sa costruire, che sa diffondere l’amicizia.

Mi piace e mi sembra di poter tradurre questo primo elemento – lo sguardo dei giovani che è lo sguardo dell’amicizia – nella comunità, per noi come l’invito a camminare insieme, a crescere noi nella amicizia: tra preti, tra comunità ecclesiale e civile, tra famiglie, tra parrocchie… cioè è quella esperienza di amicizia che noi possiamo chiamare “il camminare insieme”.

Una bella esperienza che la nostra Chiesa ha vissuto nel sinodo diocesano e che ora sta vivendo in questo terzo anno che è il cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia; ma che è il cammino della Chiesa: camminare insieme vuol dire camminare da amici.

Dovremmo chiederci se siamo amici tra preti, se siamo amici tra famiglie, se siamo amici tra parrocchie vicine e lontane, se siamo amici capaci di un ascolto e di un rispetto reciproco, se siamo così amici da cercare di guardare insieme, di unire gli sguardi.

Ecco: credo che i giovani ci suggeriscano, oggi, questo primo vedere; è l’immagine dell’amicizia, del camminare insieme, del crescere nella sinodalità, del rispetto e di un’amicizia reciproca.

Se san Donato vedesse, oggi, con lo sguardo dei giovani ci esorterebbe a crescere nell’amicizia tra di noi; e l’amicizia ci regala la risorsa del riconoscersi e dell’apprezzare le doti degli altri e, quindi, del camminare insieme.

Ma c’è un secondo sguardo dei giovani che mi è sembrato di cogliere a Lisbona e che direi così: è lo sguardo di chi cerca fraternità.

Si è amici non solo nel gruppo della nostra diocesi: la giornata mondiale della gioventù regala di vivere incontri con giovani da tutto il mondo ed è davvero possibile incontrarsi. Vi potrei raccontare una cosa semplice, l’arte di scambiare i gadget, i piccoli oggetti: da una immaginetta a un braccialetto fatto dai nostri ragazzi per avere qualcosa da giovani che vengono da altri luoghi della terra, con una semplicità di chi in piccole cose scambia i propri doni e, nello scambio dei propri doni, vive la gioia di uno sguardo, di una parola, di una stretta di mano, cioè di una fraternità.

Perché la fraternità non è solo l’amicizia: la fraternità vuol dire costruire legami con chi è diverso da me, con chi viene da lontano, con chi faccio fatica a riconoscere.

I giovani sono spontanei nel costruire fraternità, e credo che san Donato, oggi, ci regalerebbe lo sguardo che invita a costruire fraternità: e la prima strada che è chiesta oggi non solo ai grandi della terra ma a partire da ciascuno di noi, la prima strada che ci è chiesta per costruire fraternità, è la strada della pace.

Abbiamo bisogno di pace, cari amici; abbiamo bisogno di pace su tutta la terra e nei tanti luoghi dove c’è la guerra, in particolare oggi nella martoriata Ucraina.

Abbiamo bisogno di pace e i giovani che si incontrano nella fraternità – lo ha detto anche il Papa – sono icona, immagine che la pace è possibile, che la possiamo costruire, la possiamo chiedere implorando di fermare le armi, chiedendo di aprire strade di dialogo, di incontro: oggi la Chiesa e la società civile tutta sono esortate a costruire la pace. E, poi, quella pace diventa a casa nostra anche rispetto, attenzione a chi è più povero, solo, l’attenzione anche a chi arriva da lontano: e sappiamo come nelle nostre terre oggi c’è una grande emergenza e richiesta alla comunità ecclesiale e ai Comuni, a tutti, di aprire l’accoglienza a chi ha bisogno e a chi arriva.

Siamo invitati noi – Chiesa, società civile – a crescere nella fraternità, e in una fraternità che, come contagio, diffonde la pace.

Una terza cosa che ho visto nei giovani è la loro sobrietà.

Sembra che i giovani vogliano tanto; certo: i giovani dovranno anche camminare e crescere, ma la giornata mondiale della gioventù che chiede di dormire per terra, di condividere i luoghi, i tempi, di accontentarsi del cibo che arriva, del sopportare il caldo o la pioggia – come quando siamo arrivati a Lourdes – richiede sobrietà, capacità di adattarsi, semplicità di vita. I giovani sono semplici, sanno stare nell’ambiente, sanno cogliere l’ambiente e lo sanno rispettare.

Allora, è un terzo sguardo che mi pare di riconoscere e di raccogliere dai giovani per noi, per la nostra Chiesa e per la nostra società: un grande invito alla sobrietà, ad andare oltre le formalità e a ritrovare la verità e l’autenticità dei rapporti.

E poi quella sobrietà è rispetto dell’ambiente, rispetto della casa comune che è la Creazione, che è l’ambiente così ferito che noi viviamo oggi. Una delle catechesi fatte ai giovani durante la settimana scorsa è stata proprio sul tema dell’ecologia integrale, della Laudato si’ di Papa Francesco, cioè della custodia, della cura dell’ambiente che è la nostra casa comune.

I giovani ci regalano uno sguardo rinnovato e che invita alla sobrietà nell’ambiente in cui viviamo, perché ce ne facciamo carico e custodia, a partire da casa nostra, con le scelte nostre di ogni giorno, fino alle scelte che chi ha la responsabilità di accompagnarci nell’amministrazione è chiamato a fare per rinnovare soluzioni di ecologia sostenibile e di economia sostenibile.

San Donato oggi, con lo sguardo dei giovani, ci inviterebbe alla sobrietà.

Infine, un ultimo tratto, un ultimo sguardo che ho colto e che abbiamo colto nei giovani sono i loro occhi; sono occhi bellissimi quelli dei giovani. Se n’è accorto perfino il Papa quando nella omelia di ieri, nel Campo di Grazia dove eravamo per la Messa conclusiva, ha detto ai giovani, a loro, al loro volto, al loro sguardo, ai loro occhi, che i giovani brillano: i giovani nel mondo brillano; e il mondo, i grandi sono chiamati a vedere nei giovani coloro che nel mondo, oggi, brillano.

Perché i giovani sono portatori di valori veri, di ricchezze, di doni, di autenticità, di sincerità; i giovani brillano perché hanno dei doni da portare alla Chiesa e alla nostra società e ci chiedono spazi per poterlo fare. Non basterà dirlo: le nostre realtà, le nostre istituzioni, i nostri ambienti devono aprire spazi perché i giovani siano protagonisti e perché vivano la loro responsabilità, perché possano sperimentare, sbagliare e rialzarsi: i giovani devono avere spazio per portare la loro ricchezza e per brillare.

Immagino che lo sguardo di san Donato, oggi, nella nostra Chiesa, ci chiederebbe di fare spazio ai giovani perché possano brillare nella nostra comunità; e vi assicuro che i quasi quattrocento giovani che torneranno da Lisbona nelle nostre comunità possono brillare tutti: e se brillano loro, non possiamo brillare anche noi? Non abbiamo ciascuno di noi un dono, nella nostra vita, da portare alla nostra Chiesa, alla nostra parrocchia, al nostro comune, alla nostra società?

Ecco: brillano i giovani e ci aiutano a brillare, ad aprire orizzonti di speranza, a non avere paura, come il Papa più volte ha richiamato loro. I giovani brillano perché sono portatori di vita, di doni e di speranza: lasciamoglielo fare e da loro impariamo a brillare.

Ci accompagni san Donato ad avere questo sguardo giovane e a rendere bella la nostra Chiesa e la nostra società.