Oggi alle 18, vigilia di Ognissanti, festa del popolo di Dio, il vescovo Riccardo ha ordinato presbitero don Alexander Calderon, che – nato e cresciuto in Ecuador – venuto in Italia per studiare, ha qui scoperto, coltivato e fatto crescere la sua vocazione sacerdotale.
Durante l’omelia, il vescovo Riccardo ha ricordato al nuovo presbitero e a tutti noi che “dalla scelta di don Alexander, per opera dello Spirito Santo, siamo tutti chiamati alla carità, a condividere ciò che abbiamo ricevuto, ma anche impegnarci a che nessuno si tiri indietro dal fare la propria parte”.
Omelia presieduta dall’Arcivescovo Riccardo Fontana – Cattedrale, 31 ottobre 2017
Quasi a continuare il Vangelo delle Beatitudini che abbiamo appena ascoltato, vi è la gioia di questa Chiesa aretina, che stasera è piena di gratitudine verso il Signore, perché ci sta dando un nuovo presbitero per il servizio del popolo di Dio.
Caro don Alexander, presso l’urna di San Donato, il santo che di sé fece dono ed è icona della nostra comunità, sei arrivato dall’Equador lontano, sei giunto a noi come un dono inaspettato e imprevedibile, gradito e benedetto.
Tutta la nostra Chiesa si è messa in preghiera, assieme ai presbiteri di ogni comunità, convenuti nella Chiesa madre, per invocare per te dal Signore, la grazia del ministero. Sappiamo che tutta la tua vita è stata segnata dalla presenza operosa di Gesù. Un giorno per me indimenticabile, mi hai raccontato come il seme della tua fede ti è stato posto nel cuore dal tuo babbo e dalla tua mamma, che oggi, traversato l’oceano, sono con noi per ringraziare Dio, e per invocare su di te la grazia di una vita ricca di Spirito Santo e feconda di bene.
1. La Chiesa è una bellissima esperienza
La tua ordinazione apre la liturgia di Ognissanti. L’Apocalisse, libro della speranza cristiana, ci fa contemplare “i 144mila segnati”, il nuovo Israele, che avanza verso l’Agnello, nel candore del senso della vita ritrovato, e con le Palme delle vittorie conseguite nella virtù e nella santità della vita. Tocca a noi, sacerdoti carichi d’anni, in mezzo al popolo santo, benedire la Chiesa che avanza nel ministero che ora ti affidiamo.
Chiesa è bello, è davvero una bellissima esperienza. Quello che inizi questa sera ha una duplice dimensione. Nella tua storia personale ti impegni, davanti a Dio e al suo popolo, a conformare la tua vita all’unico modello di tutti noi, Gesù, nella sua dimensione di servo di Jaweh. Allo stesso tempo, “Sacerdos et Hostia”, offerta a Dio Padre, per riconciliare tutti gli uomini e le donne della terra, sei fatto partecipe della identità dell’unico sacerdote, il Cristo. Anche te, sfraghizomenos, segnato come quelli dell’Apocalisse, sarai tra poco trasformato dal carattere sacerdotale. È lui che “ha infranto il velo del tempio”, e ci ha reso possibile avvicinarci a Dio. Alla Chiesa, ma anche a tutti coloro che d’ora in avanti incontrerai uscendo da questa cattedrale nel cammino verso la Gerusalemme del Cielo, ti è chiesto di offrire il tuo servizio: essere per gli altri, per amore di Dio, con la parresia degli apostoli e la forza dello Spirito Santo, che renderà efficaci le tue azioni, strumento di liberazione e di pace. Come insegnò il Doctor Seraphicus, dal nostro sacro monte di La Verna, la Croce di Cristo è il legno che offre, anche a questa generazione, l’opportunità per traversare il Mare Rosso delle nostre indecisioni e del peccato del mondo, per arrivare al porto della Salvezza.
Nell’aula dove hai discusso la tua tesi, campeggiava la scritta “virtus ex alto”: la forza viene da Dio, come ci insegna il Salmo 17. Tu sei già avvezzo a pregare, ma non dimenticare mai, che sarai in grado di fare cose anche straordinarie, se le sosterrai con la preghiera quotidiana, continua, di confidenza con Gesù e di intercessione per gli altri. Il tuo riposo, il tuo segreto di vita stanno in questa scelta radicale. Un prete che non sa sostare di fronte all’eucaristia ogni giorno è una scatola vuota, dove gli altri non riescono a trovare ciò che cercano. I poveri, nel corpo e nello spirito, siano il tuo continuo riferimento. Come ministro della Parola cerca di far “giungere il Vangelo a ogni creatura”. Spezza la Parola perché tutti capiscano, adegua il linguaggio a chi incontri.
Sarai ministro della riconciliazione, se, prima con l’esempio, poi con la Parola e, infine, con il gesto liturgico, accompagnerai gli altri alla contrizione del cuore, aiutando ciascuno a farsi responsabile delle proprie azioni, e rimediando il male fatto.
Da questa sera sei parte del presbiterio, insieme col Vescovo e i tuoi nuovi fratelli preti: dovrai imparare a collaborare con loro. Presiederai l’Eucaristia, divenendo segno di unità e strumento della pace di Cristo. Facendoti parte di quella compagnia degli apostoli, riuniti per l’ultima cena nel cenacolo di Gerusalemme, secondo il comando del Signore, ripeterai con autorevolezza le sue parole e i suoi gesti, capaci di trasformare il pane e il vino, nel corpo e nel sangue di Cristo, ma anche contribuirai a trasformare, progressivamente, le persone che se ne ciberanno in quel corpo di Cristo, che è la Chiesa. Con la Parola e il Sacramento ti è chiesto di edificare il sacramento.
L’esercizio del secondo grado del sacramento dell’ordine ti fa ministro di consolazione verso gli afflitti, i bisognosi, i malati, i poveri, i giovani e gli anziani, i responsabili della terra e chi rischia perfino di non essere rispettato come persona umana, nelle infinite sciagure del tempo, che stiamo vivendo.
2. Predica la Parola di Dio, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna.
Con l’efficacia straordinaria della Parola, la Prima di Giovanni, dopo averci ricordato la nostra condizione di figli di Dio, pone il fondamento della vera pietà verso il Signore e verso noi poveri peccatori, nella continua antinomia che vi è tra il conoscere e non conoscere: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
Con la predicazione della Chiesa, tocca ricordare a tutti che Dio è padre buono e misericordioso, che ci aspetta tutti perché ritorniamo alla casa del Padre. Figlio, non dimenticare mai che d’ora in poi sarai ministro della misericordia, non ti stancare mai di parlare agli altri di Dio, non pensare a te stesso e ai tuoi interessi, ma abbi la gioia di donarti a tutti per amore di Gesù, casto, povero e obbediente al Padre. Il grande sant’Antonio predicava: “Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere”. Non cercare privilegi, non ti nascondere nel ruolo che, di volta in volta, ti verrà attribuito. Fai che chi ti incontra riesca a intravedere Gesù.
Il tema del “conoscere”, che affascinò la Chiesa della prima generazione, si ripropone con grande significanza anche al tempo presenti. Illuminare le coscienze è il cuore del nostro ministero. Conoscere per far conoscere è la radice della vera pietà cristiana. Non ti confondere con i gesti esteriori e con la banalità, che dilaga nell’Occidente del nostro tempo. Porta con te il fascino semplice della tua Terra di Origine, di antichissima cultura incaica, e l’orgoglio per quei valori, che ti hanno condotto a rispettare Dio e il prossimo. Per far conoscere Dio, non cessare mai di scrutare la Scrittura, alla quale ci hai raccontato di voler dedicare il tuo studio e la tua ricerca. Non essere avaro nella predicazione. Valorizza le tante doti naturali, che il Signore ti ha dato, e richiamaci tutti alla dimensione soprannaturale, che è la via della libertà e la forza della pace. Il tuo ministero sarà efficace se facendoti capire, comunicherai il Vangelo; non ti svendere alle mode del tempo e agli strumenti della logica mondana.
3. Chiesa è carità.
Cara Chiesa aretina, la liturgia d’Ognissanti è la festa del popolo di Dio in cammino. La nostra forza è la progressione personale, nella qualità e nella virtù. La via della santità è quella che conduce alla Gerusalemme del Cielo, che è la nostra meta. I modi con cui si realizza la storia sono tanti e differenti tra di loro. Dio fa di tutti noi altrettanti capolavori, non è abituato a far copie. L’originalità ci appartiene. La realizzazione di noi stessi è ad un tempo la santità e la risposta alla vocazione personale, cioè al progetto che Dio ci propone. La Chiesa è come un campo fiorito, insegna Sant’Agostino: “Quel giardino del Signore possiede non solo le rose dei martiri, ma pure i gigli delle vergini e le edere dei coniugi e le viole delle vedove. In una parola, dilettissimi, in nessuno stato di vita gli uomini dubitino della propria chiamata”.
Questa sera avviamo la liturgia della festa con l’evangelo delle Beatitudini. Riusciremo noi a far capire alla gente che incontreremo, che la scelta dell’amicizia per Gesù è un cammino di fatica sì, ma di gioia così intensa? Incanta e compromette da 20 secoli il popolo, che vuole rinnovare l’Esodo antico, nell’impegno ad essere alternativi e, con Dio, creativi.
Alla sequela del Signore sono dedicate le nove beatitudini: uno stile di vita che scioglie i lacci del male e ci rende beati nella libertà. Di quale beatitudine ci ha parlato il Vangelo stasera? Questo giovane figlio, che nella chiesa di Donato sceglie di donarsi, è ad un tempo una provocazione e una benedizione. Invita i figli della sua generazione a vivere una vita gustata fino alla feccia, non sprecata, ma donata. È una scelta religiosa sì, ma soprattutto intensamente umana. È difficile far capire che siamo tutti chiamati a essere realizzati e felici. Questo è il cuore del ministero cristiano. Ognuno faccia il suo.
La Chiesa, caro Alessandro, ti si è stretta intorno in questo primo vespro d’Ognissanti, ciascuno portando nel proprio paniere le migliori intenzioni, i più prelibati frutti di altrettante storie d’amore, perché questa eucaristia nella Chiesa madre sia davvero una gran festa della famiglia di Dio. Dalla tua scelta, per opera dello Spirito Santo, siamo tutti chiamati alla carità, a condividere ciò che abbiamo ricevuto, ma anche impegnarci a che nessuno si tiri indietro dal fare la propria parte. Rinvigoriti dal Corpo e Sangue di Cristo e rafforzati dal tuo ministero fresco e gioioso, ci rimettiamo in cammino per costruire il Regno, insieme diretti alla Gerusalemme del Cielo, il paradiso benedetto, dove gioiremo in compagnia di tutti i santi.
Javier Alexander Calderon Manzanillas è nato a Celica, Ecuador, il 4 Agosto 1987.
Primo di sei fratelli, ha compiuto gli studi superiori presso la Santa Teresita School nella sua città di origine. Dopo aver iniziato gli studi universitari presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador PUCE, si è trasferito in Italia, a Pisa, per continuare e concludere gli studi.
A Firenze, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, ha intrapreso gli studi teologici ottenendo il Baccalaureato in Sacra Teologia.
A seguito di un percorso di discernimento ha scelto la vita sacerdotale ed è stato accolto nel Seminario di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, dove ha continuato la sua formazione.
È stato istituito lettore il 27 dicembre del 2015 nella Chiesa Concattedrale di Sansepolcro e accolito il 26 maggio del 2016 nella Chiesa Cattedrale dei Santi Pietro e Donato in Arezzo.
Ha ricevuto l’ordinazione Diaconale l’8 dicembre del 2016 nella Chiesa Cattedrale dei Santi Pietro e Donato in Arezzo. Il 25 ottobre del 2017 ha concluso i suoi studi di Licenza in Teologia Biblica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale.