Una folla. Davvero un gran numero di personaggi nel Vangelo di oggi, animati e non. I tre Re magi, i re buoni; Erode il re cattivo. Il popolo di Gerusalemme, i dotti e gli ignoranti, gli Angeli e i pastori, Giuseppe e Maria e il piccolo Gesù. Tutti cercano qualcosa. Un vangelo di salvezza e di dolore. Su tutto prevale però la presenza di Gesù, che accoglie tutti, è venuto per salvare tutti e fin dai suoi primi giorni a Betlemme è segno di contraddizione, occasione per ciascuno di decidere della sua sorte: una sorta di giudizio universale anticipato, dove anche allora ciascuno scelse come volle e ne trasse le conseguenze per la propria sorte.
1. L’umile ricerca del volto del Signore
I Magi d’Oriente, vista la stella, si misero in cammino e marciarono finché trovarono il Signore: “Dov’è Colui che è nato, il Re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Cercare il volto del Signore è tra le esperienze che fanno bella la condizione umana. Significa individuare le ragioni profonde del vivere e qualificare il tempo che ci è dato, valorizzando i talenti del Vangelo. A ciascuno di noi è data l’occasione di fare un percorso per trovare il Signore. I modi cambiano a seconda del nostro carattere, delle circostanze della nostra vita, delle persone che incontriamo. Ma la proposta di uscire dal nostro piccolo mondo alla ricerca di Dio è la strada offerta a tutti.
Il Vangelo dell’Epifania intesse i dati di una vicenda antica con i simboli da essa evocati, come la celebrazione di oggi che manifesta nel nostro Luca Vannini la volontà di questa Chiesa diocesana di mettersi ancora al servizio della gente del nostro tempo, con coraggio.
Scrutare il cielo appartiene all’esperienza di tutti. Ha anche un forte significato simbolico. La stella è un segno nel buio della nostra notte interiore. Fu la cometa per i Magi antichi d’Oriente. Chiediti chi fa per te la funzione di quella stella. E’ anche il segno che dà a te che mi ascolti il senso della fede, che non è uno statico aderire a verità che trascendono la persona, ma avviare un cammino di paziente ricerca del vero, del giusto e del bello, che soli saziano il cuore dell’uomo.
Questa grande preghiera collettiva è anche un’opportunità data a ciascuno di noi per interiorizzare le vicende della nostra vita fino a questo giorno e per capire quale verso ciascuno di noi voglia dare alla propria esistenza. E’ il gusto di non accontentarsi dei luoghi comuni, di recuperare il piacere di pensare, di cogliere il fascino della cultura per superare gli steccati delle ideologie. Orgoglio e pregiudizio sono nemici del sapere. Ma anche pregare senza mettersi in discussione è un modo pagano di agire.
Scrutare le stelle esprime, con un’immagine poetica, la preziosa offerta che è rivolta a tutte le persone della terra, che sono desiderose di cambiare il male che li affligge. Mostra anche la strada per mettere in pratica gli ideali, scegliendo di entrare nel mondo con animo di servire e l’umiltà di collaborare con gli altri. E’ l’amore che dà la ragione di vivere a tutte le persone che hanno il coraggio di uscire dalla gabbia del proprio egoismo e di salire sulla montagna dalle sette balze, che rappresenta i limiti di ciascuno. La scelta per il servizio, che è il diaconato che oggi aggrega Luca a noi servi del Signore, esprime la ragione per cui Gesù si è fatto uomo nella povertà di Betlemme, nella lavanda dei piedi del giovedì santo, nella pazienza che Dio ha verso di noi, perché nessuno si perda.
2. Mettersi in cammino
I segni dal cielo ci sono dati. Sta a noi scoprire, quanto spazio siamo disposti a dare ad essi nel nostro quotidiano. Il dono che ci è riservato nel giorno dell’Epifania è la possibilità, la Grazia, di uscire dal banale, per tornare a sortire di chiesa, rafforzati nello nostre decisioni.
Luca quest’oggi tu manifesti con una scelta irrevocabile il tuo progetto di vita. Scegli davanti a Dio, ma anche di fronte alla tua comunità, alla gente che ti conosce dall’infanzia, alla famiglia che ti ha generato, alla Chiesa che ti ha fatto crescere, di fare dono della tua vita, nel servizio e nell’accoglienza di tutti, a partire dagli ultimi, dai più poveri, da quanti hanno bisogno di trovare Dio.
L’Epifania è la prima pasqua dell’anno, perché manifesta la volontà di passare dal disimpegno al servizio, ciascuno secondo la propria vocazione. Tu fai una scelta d’amore, dalla quale dipendono il celibato che prometti, la predicazione del Vangelo che assicuri di portare a tutti, la testimonianza di una vita ispirata alla Parola di Dio, mettendo in pratica ciò che annunzi: “Credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”. Hai incontrato il Signore e sei venuto nella chiesa madre, la chiesa cattedrale, per dirci cosa vuoi veramente, qual è la ragione della gioia che manifesti persino nel volto.
Un progetto bello che è condiviso. Viene dalla comunità degli Apostoli. Oggi tu riproponi a ciascuno di noi ordinati al servizio degli altri la somma degli ideali più alti. Lascia che ti comunichi un’esperienza antica: per riuscire in questo bellissimo e arduo progetto di vita bisogna avere l’umiltà di riconoscere che abbiamo bisogno di essere guidati, abbiamo bisogno del Maestro interiore. Il segreto per riuscire è la continua confidenza con Gesù, ogni giorno ascoltato nella meditazione della Parola di Dio, adorato con semplicità nei sacramenti, accudito e riconosciuto in quanti -piccoli e grandi- incontrerai, divenendo ministro di Dio.
Ogni diacono a cominciare da me che ti parlo, così tutti i sacri ministri presenti, siamo ordinati alla collaborazione con Dio, che si esercita attraverso la vicendevole collaborazione tra di noi, che ci qualifica come ministri della Chiesa. Da stasera non avrai più ragione di dubitare della tua vocazione: in nome di Dio questo popolo ti chiama al servizio, ti sceglie per la missione.
3. Andare alla grotta di Betlemme, come i Re Magi, per portare doni
L’oro dei Re. Si arriva al Signore solo con la libertà, che è il dominio di sé: essere Re, significa essere interiormente liberi. Si riesce a conseguire questo alto ideale solo attraverso l’esercizio dell’ascetica cristiana. Ciascuno di noi è come quel Figliol Prodigo a cui il Padre che lo attende dona l’anello al dito degli uomini liberi, la veste bella della dignità personale, i calzari per riprendere il cammino. C’è tanto da fare per aiutare il Signore Gesù. Egli ci chiede innanzitutto di essere uomini veri, capaci di futuro, pronti a collaborare.
L’incenso, è il coraggio di misurarsi con la dimensione soprannaturale offerta ad ogni persona. L’incenso è il segno della preghiera. Sale in alto, sublima. Figlio carissimo, tu oggi condividi con noi l’impegno a pregare per il popolo di Dio: “Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie”. La liturgia delle ore che ti è affidata è un atto di amore e di giustizia, che prometti di compiere con fedeltà ogni giorno. Occorre imparare a sublimare le difficoltà, per riconoscere Iddio Benedetto e affidarci a Lui, chinarci a lui soltanto. Chi non crede nella Provvidenza è ateo. Ogni volta che infonderai l’incenso nel turibolo di chissà quale delle nostre chiese, ricordati dei nostri martiri Lorentino, Pergentino e Donato, che dettero la vita pur di non bruciare incenso di fronte alle mode del loro tempo, alle suggestioni più basse, al soddisfacimento dei sensi. La preghiera ci fa onnipotenti per grazia. Ti è chiesto oggi di professare questa verità e di continuare a predicarla finché un filo di voce si alzerà dal tuo cuore.
La mirra dei Re Magi esprime la nostra fatica di uomini che, gli occhi fissi alla Gerusalemme del Cielo, non ricusano di farsi carico delle necessità degli altri: “non recuso laborem” secondo l’espressione attribuita a San Martino di Tours, luminoso esempio per ogni Pastore. Tu stasera porti alla grotta di Betlemme ideale, che sta nel cuore di questa Chiesa, la tua vita intera offerta per il Regno del Signore. “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”. Preghiamo dunque il Padrone della messe che mandi nuovi seminaristi in questo santo campicello che è la Chiesa aretina, cortonese e biturgense.
4. Il fascino del servizio
Venti anni fa San Giovanni Paolo II nella Basilica vaticana mi ordinava vescovo proprio quest’oggi. Il mio sentimento più forte in questo momento in cui esercito il ministero episcopale, ordinando un figlio di questa Chiesa che amo, è di ringraziamento al Signore, che mai mi ha abbandonato, nella festa e nelle tribolazioni che sono la condizione normale della vita di ogni successore degli Apostoli. Come loro voglio essere amico di Gesù, non sempre mi è stato facile essergli fedele. Di fronte al popolo di Dio mi viene dal cuore di chiedere perdono per tutte le volte che non sono riuscito a offrire un’immagine più nitida del Signore Gesù di cui sono vicario in questa Chiesa. Sono consapevole di non esserne degno ma so bene di essere sorretto dalla forza dello Spirito Santo che mi fa rialzare da ogni caduta e mi dà una rinnovata passione di servirlo ancora in mezzo a voi. O meglio di servire ancora Lui, servendo voi. Giorno per giorno ho imparato che non c’è modo migliore per fare il ministro di Dio che comportarsi come un innamorato verso la sua sposa. Qualche volta ci può essere diversità di vedute e talvolta anche confronto, ma su tutto prevale l’amore. Porto nel cuore un sogno: che questa Chiesa da molti conosciuta per quanto è vasta, torni ad essere, come in epoche passate, grande per la santità. Non un sogno di grandezza umana, ma soprannaturale. Come quella mattina di venti anni fa, prostrato davanti alla tomba di Pietro, ora, presso l’Arca di San Donato voglio promettere a Dio e a voi di mettere tutto il mio impegno perché dai fatti anche di me si possa dire: “Pertransit bene faciendo”.