Omelia del Vescovo in occasione della Celebrazione Eucaristica in Cattedrale di Arezzo
29-09-2024
Domenica XXVI per annum
- Un rinnovato saluto e il grazie a tutti voi che siete presenti, catechisti, religiosi e religiosi, sacerdoti, diaconi, coloro che ci animano nella liturgia, nel canto, all’organo, nel servizio liturgico, chi ha preparato il Duomo per la celebrazione. Un particolare saluto di benvenuto agli amici dell’Associazione nazionale sordi e, con loro, anche a Silvia, a tutto l’ufficio catechistico e a suor Veronica alla quale sono davvero molto grato.
- Oggi viviamo in questa celebrazione l’occasione di ritrovarci, come Diocesi, quali catechisti; un ruolo davvero fondamentale e strategico nella vita della comunità cristiana. E lo viviamo come occasione per accogliere dalla Chiesa il mandato: per sentire che siete portatori di un messaggio, a nome di tutta la Chiesa e nel servizio alla Chiesa. La parola di Dio che abbiamo ascoltato mi pare ci indica e ci suggerisca, oggi, alcuni atteggiamenti, alcune dimensioni dell’essere catechista che sono importanti e che, forse, siamo invitati a riscoprire e, nuovamente, a scegliere nel nostro servizio.
- Il testo della prima lettura, tratto dal Libro dei Numeri riprende il racconto della grande avventura dell’Esodo, cioè della liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto verso la terra promessa, Canaan. E in questo cammino avviene che il Signore non solo a Mosè, ma anche ad altri – abbiamo ascoltato a settanta uomini anziani e, addirittura, a due che sono al di fuori del recinto, che non avrebbero dovuto, eppure anche per loro ci sarà questo dono – ebbene, il Signore dona lo Spirito, il suo Spirito; ed è Spirito di profezia, Spirito di parola. Lo Spirito della profezia non è lo Spirito della capacità di fare previsioni, di prevedere il futuro e di avere preveggenza: lo Spirito di profezia è lo Spirito che fa capaci di dire le parole di Dio, di consegnare e condividere lo sguardo di Dio. Credo che questo sia un primo invito e una prima sottolineatura per noi, per voi catechisti; abbiamo bisogno dello Spirito di profezia; abbiamo bisogno di chiedere e di invocare lo Spirito della profezia per essere catechisti. Questo vuol dire invocare, pregare, chiedere il dono di essere portatori non delle parole proprie, ma della parola che è di Dio, della parola che troviamo anzitutto nella scrittura, ma che poi è la parola che parla al cuore delle persone. Se avrete lo Spirito di profezia, come catechisti potrete parlare al cuore delle persone che vi saranno affidate, delle persone che dovrete accompagnare nella loro crescita di fede e nel loro cammino catechistico. Ecco allora il primo invito: abbiamo bisogno e chiediamo il dono dello Spirito di profezia.
- Ma per chiederlo dobbiamo attivare in noi un’autentica vita spirituale; è quella dimensione nella quale anche il catechista vive un progetto e un tempo definito per la propria preghiera, celebra i sacramenti, vive l’ascolto della parola, si mette in ascolto del Signore, vive la carità, incontra la relazione degli altri, costruisce fraternità: ecco questa è la vita spirituale. Per chiedere e per avere il dono della profezia dobbiamo far crescere la nostra vita spirituale, coltivarla, custodirla, riconoscerla come dono prezioso nella nostra vita. Questo è un primo percorso, un primo sentiero che siamo invitati a riscoprire all’inizio di quest’anno: la vita spirituale per chiedere il dono della profezia e per poter parlare al cuore delle persone che ci sono affidate con le parole di Dio.
- Ma c’è un secondo aspetto, potremmo dire un secondo sentiero, che troviamo nella lettera di Giacomo, il quale parla della ricchezza e ne parla in modo sferzante, durissimo; egli dice: “voi ricchi piangete, le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti mangiati dalle tarme, oro e argento consumati dalla ruggine, tutto si perde, non serve a nulla la ricchezza”; Giacomo, insomma, ci dice che non è certo la ricchezza il segreto della felicità, la riuscita della vita. Invece, l’atteggiamento a cui Giacomo invita è quello della condivisione, del riconoscere cioè la dignità dell’altro: soltanto riconoscendo la dignità della persona posso avere il desiderio e la forza di condividere, di dare, di offrire, di aprirmi, di accogliere, di riconoscere la vita come dono. Giacomo vuole dirci questo: non contano le ricchezze, conta la vita; allora, se conta la vita e non le ricchezze, questa è la grandezza e la dignità di ogni persona, qualunque essa sia e qualunque situazione e stato di vita incontri. L’importanza, la dignità, la ricchezza della vita: ecco, come catechisti voi avete tra le mani la vita; pensate che cosa grande! Avete tra le mani la vita di persone che crescono, vivono il loro cammino, hanno l’opportunità di conoscere Gesù; ma tramite voi incontrano la bellezza della vita. Questa è la ricchezza da curare e da custodire: la bellezza della vita; ma se è la dignità di ogni persona, allora, è una realtà, una dinamica, una dimensione inclusiva che accoglie tutti: non c’è differenza, povertà, fragilità, disabilità, che ci possa separare, perché c’è la vita ed è la vita in tutta la sua dignità. Il catechista riconosce la dignità della vita, riconosce la bellezza della vita, si preoccupa della vita. Amici, non preoccupatevi di che cosa insegnate, di che cosa si ricorderanno, delle nozioni: non sono le cose più importanti; preoccupatevi della vita, fate in modo, accompagnando i ragazzi, che abbiano vita, che abbiano felicità, che abbiano l’entusiasmo nel cuore, che scoprano i doni della loro vita, che scoprono soprattutto come la loro vita è preziosa agli occhi di Dio. Non le nozioni salveranno, ma la scoperta e l’accoglienza di come Dio ti ama. Questo voi catechisti dovete fare incontrare ai vostri ragazzi, ed è la vera ricchezza: la vita, la dignità della vita, la bellezza della vita. Alla fine del percorso di catechismo potremmo dire così: il cammino è riuscito se un giovane, un ragazzo, riesce a dire “la mia vita è bella”; questo è il risultato del catechismo. Ed è bella agli occhi di Dio, nell’amore di Dio.
- C’è un terzo sentiero che ci indica, invece, la pagina di Vangelo, nella quale troviamo una parola dura, quella che nello studio del Vangelo si chiama “iperbole”, cioè una sorta di “esagerazione”. Gesù dice: “se uno di questi piccoli viene scandalizzato da qualcuno, meglio gettarlo nel mare con un mulino; e se la tua mano ti è motivo di scandalo tagliala, se il tuo piede ti è motivo di scandalo taglialo, se il tuo occhio ti è motivo di scandalo gettalo via”. Sono parole dure, appunto esagerate: ma per dire una cosa molto importante; per dire che il Vangelo passa attraverso la coerenza della vita. Se la nostra vita è vicino al Vangelo, cerca di assomigliare a quello che il Vangelo ci chiede, allora potremmo essere davvero catechisti. Perché noi siamo catechisti non nel momento della lezione di catechismo o in quello che andiamo a dire, ma con la nostra vita; ecco perché è importante che il catechista sia con i ragazzi non solo nel momento dell’incontro di catechismo, ma anche in altre occasioni. Cioè, c’è da condividere la vita, c’è da stare con le persone, con i ragazzi; allora dobbiamo trovare le forme, magari in modo nuovo, magari meno lezioni e più tempo condiviso: ma è stando con loro e vivendo e dando la propria testimonianza di vita, il più possibile nella coerenza, che possiamo essere catechisti. Per esempio: potrete insegnare l’amore di Dio non parlando dell’amore, ma amandoli voi, volendo bene ai vostri ragazzi e ragazze; ecco la coerenza della vita: il Vangelo, in questa parola forte che chiede di lottare contro ciò che dà scandalo, di eliminarlo dalla vita, ci chiede, in realtà, la bellezza di vivere il Vangelo, la gioia di vivere il Vangelo, di testimoniarlo, di provarci. Di provarci, in particolare, anche quanto accade di vivere il peccato, e si sperimenta la grandezza della misericordia: forse, quella è la lezione più grande, l’annuncio più grande. Ecco, questo è un altro sentiero che ci viene indicato, oggi, per noi catechisti: ci è chiesta la coerenza della vita, e da questa coerenza, cioè dalla vostra vita, passa l’annuncio e l’insegnamento più bello.
Cari catechisti, a tutti voi buon anno!