Omelia dell’Arcivescovo nella Concattedrale di Sansepolcro +++19.IV.20

Domenica II di Pasqua o della Divina Misericordia 2020

19-04-2020

Fratelli e sorelle nel Signore,

quanti siamo raccolti nella concattedrale di San Giovanni al Borgo

e i tantissimi che attraverso i media sono con noi in preghiera:

la pace di Cristo sia con tutti voi!

  1. Adesso Nella Fede, Poi Nella Visione

Insegnano i Santi Padri che questo giorno, ottavo di Pasqua, ci è dato per contemplare la felicità eterna. “La vita simboleggiata dal giorno di oggi non è una vita destinata a scomparire, come invece scomparirà il giorno presente… Il giorno di oggi ci richiama un grande mistero: quello della felicità eterna[1]. Ci rivolgiamo a Gesù, che ci ha liberato dei peccati, mostrandoci la misura della Divina Misericordia. Ha voluto che il suo sangue fosse il prezzo del nostro riscatto, e di noi, che non eravamo degni di essere chiamati suoi servi, s’è degnato di fare dei fratelli. Siamo cristiani. Ogni volta che lo diciamo a noi stessi o agli altri usiamo il nome del Cristo, come nome di famiglia. Non lasciamoci turbare dalle cose della terra. Il nostro spirito sia rivolto a quella vita che avremo in comune con gli angeli, che già ora, nel tempo presente nessuno, nessuno può conoscerla se non chi la vive, e nessuno può viverla all’infuori dei credenti.

Avete ascoltato le parole del Vangelo di Giovanni: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno![2]. Voi vorreste vedere, e anch’io lo vorrei. Crediamo insieme e insieme vedremo, fidandoci della parola di Dio. Non possiamo aspettarci che il Cristo scenda di nuovo dal Cielo per mostrarci le sue cicatrici. Le mostrò a Tommaso e lo fece per aiutare i dubbiosi e illuminare quanti avrebbero avuto fede in lui.

Non era mai capitato a questa generazione di doversi fermare, di attendere la fine del male che ci insidia, di trascorrere la Pasqua, fatti prigionieri nelle nostre case da una insopportabile pandemia, che semina male e morte attorno a noi. Recuperiamo questo tempo per pensare e riflettere, per cercare la verità di noi stessi e decidere ancora quale sia il nostro progetto di vita.

Questo giorno ottavo di Pasqua rappresenta la vita nuova che si avrà alla fine del mondo “Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio”[3]. A quel momento non ci saranno più operatori di iniquità, poiché saranno stati separati, ma ci sarà solo la moltitudine dei santi, che si presenterà come un mucchio di buon grano, vagliato in quella specie di aia che è il giudizio finale, prima di essere riposto nel granaio celeste dell’immortalità.

In questo tempo che trascorriamo nell’affanno dell’attesa, siamo nella notte perché non ci è dato vedere le cose che speriamo, e siamo come dei viandanti nel deserto, protesi verso la Gerusalemme celeste. Nel frattempo, per quanto non cessino le prove della vita, facciamo del bene. Abbiamo continuamente a portata di mano la medicina con cui curare le nostre ferite quotidiane. “La medicina si trova nelle opere di misericordia[4]. Vuoi ottenere misericordia da Dio, cerca d’essere tu stesso misericordioso.

2.      Dominica in albis habitis depositis

Dominica in Albis”: è il nome usato per secoli a designare  questa Domenica nel calendario romano, giacché in antico, dopo il Vespro di ieri i catecumeni, che avevano ricevuto il Battesimo durante la Veglia Pasquale, deponevano in Roma la veste che avevano ricevuto: bianca, perché lavata nel sangue dell’Agnello, simbolo del loro rinnovamento interiore. Essi avevano continuato ad indossare questo simbolo di purità per gli otto giorni, che sono la prosecuzione ininterrotta della Festa di Pasqua.

Nella tradizione romana deposta le veste bianca, ai nuovi cristiani da quel momento la pratica della misericordia era il segno di riconoscimento loro raccomandato. Dalle opere si riconoscano gli amici di Gesù, membra del suo corpo mistico. “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?[5]La carità verso i poveri, i malati e i sofferenti è il segno efficace che ci fa riconoscere popolo di Dio. È la manifestazione che abbiamo ricevuto misericordia da Dio e con la stessa misura ci rapportiamo con il prossimo: “con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”[6]

La deposizione della veste bianca segno tangibile della gioia pasquale non deve però farci smettere di celebrare gioiosamente la Risurrezione del Signore. I cristiani festeggiano ogni domenica come Pasqua della settimana, per non farci abbandonare quella purezza che abbiamo ricevuta nel Battesimo e rinnovata nelle celebrazioni pasquali. La domenica non è un giorno della memoria, che ricorda nostalgicamente un evento passato. Essa è piuttosto la celebrazione attuale della presenza viva di Cristo morto e risorto nella Chiesa, presente in mezzo al suo popolo.

La Chiesa richiama con forza l’irrinunciabile valore della  domenica; insegna che, ad immagine della prima comunità dei discepoli delineata negli Atti degli Apostoli, di domenica «i fedeli devono riunirsi insieme per ascoltare la Parola di Dio e partecipare all’Eucaristia, e così fare memoria della Passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li ha rigenerati per una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti»[7].

La celebrazione della Pasqua settimanale rappresenta il pilastro fondamentale di tutta la vita della Chiesa[8] perché in essa si attua la santificazione del popolo di Dio, fino alla domenica senza tramonto, alla Pasqua eterna e definitiva di Dio con le sue creature.  Il popolo di Dio non può rinunziare a partecipare alla santa assemblea ogni domenica, non per televisione o streaming, ma personalmente, Il segno tangibile del prendere parte al Corpo e Sangue di Gesù Cristo, come gli Apostoli all’Ultima Cena, come da allora tutti i cristiani che ripetono i gesti del Signore, dopo aver ascoltato la Parola di Dio e pregato sotto la guida del Ministro Ordinato. Questa partecipazione fisica alla Messa è irrinunziabile per i cristiani, è per noi il cibo dell’anima. Solo la motivazione della carità di non mettere in pericolo gli altri, come nelle pesti del passato, ci ha fatto astenere, solo temporaneamente dalla celebrazione dell’Eucaristia.

L’antica medievale antifona d’ingresso alla Messa di oggi “Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja,“[9] . ha dato il nome a questa domenica, Tanto grande è il senso dell’Eucaristia, cibo essenziale per l’anima, fonte della misericordia da condividere con tutti, che anche i Luterani hanno conservato dalla liturgia romana questo nome, come irrinunziabile invito ai battezzati a gustare le gioie spirituali dei primordi della vita cristiana. La celebrazione del vescovo e del parroco senza popolo è un rimedio temporaneo nell’emergenza, concesso dal Papa, chiedendo comunque ad ogni sacro ministro di celebrare per il popolo: la Chiesa è popolo di Dio e

“sacerdos propter populum”.  Dall’inizio della terribile epidemia i canonici della Cattedrale, mi hanno affiancato, uno al giorno, per invocare da Dio di risparmiare la nostra gente e per chiedere aiuto alla Madonna. Sono già venuto in questa Concattedrale di fronte al Volto Santo a pregare e allo Schianteschi a Benedire gli anziani che sono là accolti. Oggi, domenica della misericordia, ho raccolto l’invito dei Parroci del Borgo e sono ancora qui a pregare per questa amata città e per tutta la diocesi.

  1. La Domenica di San Tommaso

La Santa Ortodossia ama chiamare quanto stiamo celebrando “Domenica di San Tommaso”. La Parola di Dio, quest’oggi, accanto a Tommaso, il gemello tra gli Apostoli che vuole vedere e toccare per credere, ci presenta la mirabile icona della prima comunità cristiana, radunata attorno a Pietro, piena di zelo santo e di virtù.    L’esempio dei cristiani di Gerusalemme fu la testimonianza che rese credibile la Parola del Vangelo e ne fece cogliere ai contemporanei la dimensione soprannaturale. L’argomento che Luca ricorda quest’oggi è il rapporto con il denaro. Il distacco usato come grimaldello per entrare nel cuore della gente e rendere credibile la Scrittura: “avevano ogni cosa in comune, vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”[10].

Quando la Chiesa non si cura dei soldi e mette in comune i beni con i poveri balza agli occhi di tutti il Vangelo. Quel che conta è spendere sé stessi, non accumulare soldi e potere. “Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria[11].

La Chiesa per essere sé stessa non ha bisogno di palazzi, ha bisogno di fede, della nostra fede. Non credere che la generosità di dare un po’ del tuo denaro basti: c’è bisogno che dai tutto te stesso, la tua vita. Ecco il risvolto concreto delle vocazioni. Vorrei ricordare a tutti la vocazione cristiana, come vocazione alla carità. Tocca a tutti noi farci volontari, non delegare a nessuno l’esercizio della carità. Se vuoi essere cristiano devi farti carico personalmente della carità.

La mediazione della Comunità rende credibile il Vangelo e lo incarna nella storia, assicurando in ogni generazione la testimonianza, come avvio, come preliminare alla fede. Non chiedere al prossimo se crede in Dio, mostragli la tua carità perché possa amare il Dio in cui tu credi.

Di questo ruolo di testimoni nella concretezza del quotidiano è il Signore stesso che ci ha investito, colmando la nostra inadeguatezza, il nostro peccato, con la sua grazia. È necessario confermare, con la santità della vita, la fede professata con le labbra.

In questa domenica “della fede e dei segni” mi piace infine riproporre, fratelli e sorelle carissimi, che riproponete la bontà come un valore da preservare e proclamare, una lettura particolare dell’amore cristiano: partiremo da questa basilica, rinnovando il nostro impegno a servire  il corpo crocifisso di Cristo: I poveri, i malati, le povertà e i malesseri nuovi e antichi della società sono il luogo dove si svela la lotta quotidiana tra il bene e il male, dove a tutti noi, che ci fregiano del nome di discepoli del Signore, è chiesto di esprimere la fede cristiana che professiamo.

La contemplazione del Cristo crocefisso e risorto ci muova a rimediare le durezze del nostro cuore, a ritrovare le vie dell’amore.

 

[1] Sant’Agostino, Discorso 259,1

[2] Gv 20,29

[3] I Cor 4,5

[4] Sant’Agostino, Discorso 259,3

[5] Gc 3,14

[6] Lc 6,38

[7] Catechismo della Chiesa Cattollica, 1166

[8] Cfr. Ibidem 2177

[9] I Pt 2,2

[10] Atti 2,44ss

[11] Col 3,5