Messa Crismale: omelia dell’Arcivescovo

17-04-2014

Fratelli e sorelle amatissimi convenuti nella Chiesa Cattedrale:
in questo Giovedì Santo, attraverso la preghiera comune e piena di fede il Signore ci dia pace!

  1. Contemplare la Chiesa

            In mezzo a questa grande assemblea, mi piace scorgere Gesù, che si manifesta quest’oggi nel suo corpo, che è la Chiesa, composta di tante membra, ciascuna con la sua propria funzione, bella come una sposa che si presenta al suo sposo.
            In risposta alla Parola che abbiamo ascoltato, ciascuno di noi oggi nella Chiesa madre, appartiene tuttavia al popolo di Dio solo se rinnova la propria fede: siamo gli amici di Gesù se ci affidiamo a Lui, fidandoci di Lui, pronti a fare quello che ci chiede, attraverso le circostanze e le vicende di questa Chiesa aretina.
            Una Chiesa tutta ministeriale, non esprime solo la quantità di opere che fanno capo a questo altare, ma principalmente la nostra promessa di servire, di rinunziare alla ricerca egoistica del nostro tornaconto, per metterci nelle mani di Dio. È un problema dell’essere, ancor prima che dell’operare.
            Il popolo di Dio, in cammino verso la Città dei Santi, rinnova la propria profezia, con l’impegno a ridire il Vangelo a ogni creatura: nel servizio al mondo con la ministerialità laicale, l’impegno a costruire la città dell’uomo a immagine della città di Dio, da “cittadini degni del Vangelo”[1].
            Come gli operai del Vangelo in cerca di ingaggio[2], diciamo al padrone della messe, “eccomi Signore, dimmi come vuoi che io sia, ancor prima di cosa posso fare nella tua vigna”. Questa Chiesa rinnova oggi la sua promessa di fedeltà al Signore. Come Israele antico in Sichem, anche ciascuno di noi in cuor suo ripete la scelta d’amore della nostra giovinezza: “Noi serviremo il Signore nostro Dio e ascolteremo la sua voce”.[3]

  1. I ministri del Signore

            Al cospetto di Dio, ma anche di fronte al popolo, ciascuno in questa assemblea si rende ancora disponibile al servizio del Signore, offrendo la propria vita, sulla scorta dell’insegnamento del Salmo: “Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.[8]Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto,[9]che io faccia il tuo volere’ ”.[4]
            Qualunque sia la forma di vita a cui il Signore ci chiama, il matrimonio cristiano, la vita consacrata, l’ordine sacro, a tutti è chiesto di affidarsi al Signore e di onorare la professione di fede fatta con le labbra o con le consuetudini familiari, attraverso l’assunzione della propria responsabilità.
            Non si è amici di Gesù, oi heautou, secondo la felice espressione marciana, se non si sceglie di compromettersi per il Regno. Nel popolo di Dio non ci sono spettatori, ciascuno ha il suo ruolo, tutti siamo necessari. La Chiesa non può svolgere la sua missione senza la partecipazione di tutti i suoi membri.
            Se tutti siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità perché cristiani, questa celebrazione prevede in particolare che ogni sacerdote ripeta le promesse fatte il giorno della propria ordinazione.
            Tocca a noi, preti e vescovi, cristiani come voi e anche peccatori, tuttavia costituiti dalla Grazia di Dio pastori a vostro vantaggio, essere quella oblatio munda – sacrificio perfetto – che ripetiamo nella prece eucaristica.[5]
            I Padri ci hanno insegnato che è nostro compito essere a un tempo sacerdos et hostia. Anche al di là delle nostre disposizioni psicologiche, la nostra vita è segnata in modo indelebile dal rapporto che abbiamo con l’Eucaristia. A noi che diciamo “Questo è il mio corpo”, agendo “in persona Christi capitis”, ci è chiesto d’essere sempre più conformi a Gesù, che si è offerto per l’umanità intera. Siamo gli amici del Crocifisso, per essere, con il sacrificio di noi stessi uniti al Redentore, lo strumento di resurrezione e di vita per le moltitudini. Il carattere dell’ordine sacro ci fa, come Gesù, uomini di pace, riconciliatori, strumenti perché si ricomponga l’unità della famiglia umana disgregata dal peccato.
            Da questa missione fondante il nostro sacerdozio, dalla fatica di andare in cerca delle 99 pecore smarrite nel nostro tempo, viene la nostra stessa qualità di presiedere l’Eucaristia. Tutti ricordiamo la parola di Papa Francesco: “Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del Pastore, che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro!”.[6]
            Guai a noi se di questa straordinaria grazia ne facciamo un privilegio. Ci è chiesto di vivere in umiltà e fraternità. Il cammino spirituale che il presbiterio aretino, testimone nei secoli del dono di Grazia che Dio fece a san Francesco a La Verna, è di diventare sempre più conformi al Signore Gesù.
            Non basta averlo seguito e neppure aver provato a imitarlo: ci è chiesto di puntare alla conformatio. Essere cioè come il sangue di Cristo “sparso per le moltitudini”, che non si può più raccogliere: è donato. Cari fratelli preti, non ci apparteniamo più, siamo donati a Dio, per il popolo che ci è affidato. La croce del Signore, insegna Bonaventura, è l’unico legno che ci fa attraversare il Mare Rosso delle nostre indecisioni e delle contraddizioni del tempo. Di fronte alla sempre più forte tentazione del riflusso nel privato, della ricerca del proprio comodo, della sufficienza con cui ci pare di aver fatto anche troppo, della affermazione di noi stessi e della ricerca di essere considerati più degli altri, questo giorno santo ci fa misurare con il crocefisso nostro Signore, povero casto e obbediente al Padre.
            La preghiera che sant’Ignazio ci propone al termine di ogni Messa dice con chiarezza la nostra condizione di sacerdoti: “Prendi, o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà, tutto quello che ho e possiedo. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo ridono. Tutto è tuo: tutto disponi secondo la tua piena volontà. Dammi il tuo amore e la tua grazia, e questo solo mi basta”.[7]
            Ci è chiesto di più: una vita secondo lo Spirito, vita sacrificata per amore, sul modello di Gesù, sulle orme dei santi preti che ci furono di esempio all’età delle nostre scelte: una vita vissuta con gioia. Ci insegna il salmista: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità”.[8]
            Per ogni cristiano il modello da imitare nel professare la fede è la Madre di Dio: la Vergine di Nazareth è una icona irrinunciabile per noi sacerdoti, un modello da imitare, una buona samaritana, che ci soccorre ogni volta che siamo incappati nei briganti. Anche noi questa mattina vogliamo ripetere al Signore, con entusiasmo e fiducia: “Ecce ancilla Domini fiat mihi secundum verbum tuum”[9] e rinnovare la piena disponibilità al Signore, pronti ad offrire tutto di noi al popolo che ci è affidato, questa Chiesa di san Donato. 

  1. Povertà è la ricerca dell’essenziale

            Essere prete è molto bello. È il modo d’essere, a oltranza, utili agli altri, per tutta la vita. Questo è il senso del nostro celibato, una scelta d’amore.
            Siamo quella Compagnia degli Apostoli che il Signore ha scelto uno per uno. Dio si è fidato di noi. Saremo credibili se anche in questo tempo di trasformazioni e di qualche incertezza sapremo puntare sulla fraternità e la stima vicendevole.
            Il popolo riceve una grande testimonianza quando ci scorge a pregare insieme. La nostra parte non è fare cerimonie, ma, sia quando siamo insieme in coro, come questa mattina, sia quando siamo con il breviario in mano nelle rispettive missioni e parrocchie, non manca nella nostra vita l’opera di Dio. “Più Messa, meno Messe”, recita un antico adagio, che ci chiama alla preghiera intensa e costante. Il nostro essere sacerdoti richiede di privilegiare il culto interiore e l’impegno alla santità specifica dei ministri del Signore, che evitano la dissipazione e amano la cura della vita interiore.
            Cercare la vita semplice come ideale evangelico dà sapore soprannaturale al nostro servizio. Il Signore ci liberi dall’attaccamento al danaro e dalla ricerca di sicurezze umane. Per noi il Vangelo torna a ripetere: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”.[10]
            Il fascino di un sacerdote che vive per aiutare i poveri e soccorrere i dubbiosi, nella speranza di portare tutti al Signore torna a essere un ideale pieno di fascino. Non ci appartengono le visioni mondane di ministri del Signore che si servano della Chiesa per avere una vita comoda e un ruolo sociale di prestigio.
            La ricchezza di una vita interiore profonda, nella pratica quotidiana, ci fa ottenere un ruolo dolcissimo come quello degli Apostoli: essere capaci di evangelizzare e riconciliare, guidare e santificare un popolo intero attraverso gli anni della vita ha un valore aggiunto, perché ci rende forti nel Signore.
            La nostra Chiesa diocesana, forte della tradizione di Camaldoli, mette al primo posto del suo impegno la Parola di Dio, che dà il senso alla nostra vita. Siamo preti veri se il Vangelo, letto, meditato, pregato e contestualizzato, riesce negli anni a dare nuova forma alla nostra vita.
            Questo è il giorno nel quale il sogno degli anni giovanili può diventare ancora realtà, con la Grazia dello Spirito Santo. l’ideale degli anni del Concilio possono riproporsi alla generazione nuova, la Chiesa può tornare a pensarsi come “Una mystica persona”[11], come il sacramento dello Spirito Santo in Cristo e nei cristiani: una persona in molte persone.
            Contemplare la Chiesa nella Messa degli Olii, ci riempie di speranza, ma è anche una forte sfida verso ciascuno di noi. Preparando con la preghiera l’Olio degli infermi, diciamo di voler essere una Chiesa che si china sulle sofferenze umane, con la carità che ha ricevuto dallo Spirito.
            Nella Veglia Pasquale, dopo secoli, avremo la gioia di accogliere un consistente numero di catecumeni aretini e farli cristiani, con il Battesimo. Il fatto che molti giovani si avvicinino alla Chiesa ci dona nuovo impulso perché tutti torniamo a testimoniare il Vangelo e a farlo conoscere anche a chi ha perduto la strada.
            Il Sacro Crisma con cui, appena battezzati, saranno consacrati i tanti bambini delle nostre parrocchie, ci fa comprendere che il Signore provvede al Suo popolo attraverso i segni soprannaturali.
            Dei nostri sacerdoti c’è davvero bisogno. Nell’anno che si avvia dopo la prossima Pasqua avremo ancora abbondante il dono dell’Ordine Sacro. Da questo Sacro Crisma saranno consacrati per il servizio del popolo. Tutta la Chiesaè chiamata a sostenere con la preghiera il presbiterio. Da oggi un impegno in più: affidare al Signore i nuovi preti che arriveranno, ringraziando Dio per la sua misericordia, che davvero non ci abbandona mai.



[1] Fil 1,27

[2] Cfr. Mt 20,1 ss

[3] Gios 24,24

[4] Sal 40,7-9

[5] Prece Eucaristica III

[6] Papa Francesco, Convegno Ecclesiale di Roma, 17.VI.2013

[7] Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi, Quarta settimana

[8] Sal 16,5-6

[9] Lc 1,38

[10] Lc 9,3

[11] Cfr MÜHLEN H., Una mystica persona, Città Nuova, Roma 1968