1. “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Il Vangelo di Natale inizia con una puntuale collocazione nella storia degli eventi di Betlemme: “un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra…quando Quirinio era governatore della Siria”. Quella fu la prima venuta di Cristo in mezzo a noi:
a. Dio si è fatto vicino anche a te, da quando la Vergine Maria lo partorì nella grotta di Betlemme.
b. La sua venuta è un dono gratuito, un segno della misericordia: Dio, che è Padre, vedendo che l’umanità si era confusa, creando sofferenze e divisioni, ingiustizie e lotte, divisioni tra fratelli, odio e guerre, ha mandato il suo figlio, a ricreare il mondo.
c. Ricordando quella prima venuta in questa notte santa, ci è doveroso chiederci quale rapporto quei fatti antichi abbiano con noi. San Bernardo di Chiaravalle ci insegna che prima del suo ritorno alla fine del tempo, vi è un’altra venuta del Signore che si ripete idealmente anche questa sera. A Betlemme venne in mezzo a noi “nella debolezza della carne”; quando questo tempo di prova e di deserto avrà fine il Signore tornerà “nella maestà della gloria”. Ma ora viene “nella potenza dello Spirito”, incontro a ciascuno di noi, proponendoci, nella fede in lui, d’essere alternativi alla logica del mondo.
a. All’inizio del nono capitolo il Profeta Isaia anticipa la nostra vicenda:”Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1). In questo anno in cui la Chiesa intera si interroga sulla fede, anche ad Arezzo vogliamo ripeterci che la ricerca di Dio si sposa con la ricerca di senso, facendoci interrogare sul perché della corsa sfrenata di ogni giorno, sullo smarrimento che si percepisce in molti di fronte alle difficoltà del presente e alla congerie di sovvertimenti che stanno segnando questo avvio del terzo millennio. Da una parte è inevitabile porci la questione semantica delle “tenebre” menzionata dal profeta antico: chiediti stanotte in cosa consistano le tenebre entro le quali ci è dato di camminare. Dall’altra interroghiamoci sulla fede e se quella che professiamo sia esattamente quella che Dio si aspetta da noi. Quasi quaranta anni fa Papa Ratzinger, allora professore d’Università in Germania, scriveva che per un non credente la fede è una “tentazione” forte. Se nel nostro ambiente, tra i tuoi familiari, nel giro degli amici che frequenti, dove lavori la tua fede “tenta” assai poco, sarà necessario in questa notte santa rivedere le ragioni della nostra poco credibile risposta di fronte a Dio che si dona agli uomini e alle donne della terra: il Signore ci viene incontro per recuperare ciascuno di noi, per salvarci dal disordine interiore e dalla confusione nel mondo, che genera povertà e disuguaglianze.
b. E’ questa la ragione del fermarci ancora quest’anno di fronte alla Grazia del Natale, il motivo del tuo venire in Chiesa stanotte, incamminato verso la grotta di Betlemme come i pastori antichi, in cerca di “letizia”.
i. Abbiamo una grande voglia di tornare ad essere capaci di ascoltare la voce degli angeli.
ii. Siamo venuti ad accendere ancora la nostra piccola luce alla luce dei nostri amici aretini che stanno al nostro fianco, forse senza conoscerne neppure il nome, oppure amici e congiunti, con i quali fuori dalla liturgia ci riesce difficile parlare di Dio e ragionare della fede che ci anima.
2. Anche a Betlemme i grandi della terra non riuscirono a percepire la voce degli angeli, i poveri pastori che vegliavano nella notte riuscirono a mettersi ancora in cammino, non fermati dalla stanchezza del quotidiano, né dal rischio che ogni scelta di fede comporta, come ogni atto d’amore.
a. Questa, se vuoi, può essere la notte della seconda venuta di Cristo nella tua coscienza, se riuscirai a far tua l’identità cristiana attingendo alla lezione del presepio:
i. L’umiltà di Dio che si fa vicino a noi, pur rifiutato e non compreso, pur di salvarci;
ii. La povertà con cui il Signore ha scelto di venire al mondo, senza una casa, senza alro aiuto che la solidarietà dei più miseri, senza alcuna certezza, se non l’amore;
iii. Il dialogo, infine con l’uomo confuso e stordito dalle cose: la Parola si è fatta non parlante, infante, pur di ritrovare il dialogo con me, nel silenzio della coscienza, nella ricchezza della contemplazione (Sant’Agostino, Sermone 188)
3. Secondo l’insegnamento mirabile di Frate Francesco, la nostra identità cristiana nasce dall’esperienza di quel dialogo con i personaggi del presepio.
a. La fede con cui mi affido a Gesù, che mi ha mostrato la misura del suo amore. Forse anche oggi, nella mia cittadella interiore “non c’è posto per loro“, per Maria, la Tuttasanta, per Giuseppe, uomo giusto, per Gesù consustanziale al Padre nella divinità e alla madre nella umanità pari alla nostra.
b. La speranza è il cammino verso il Cristo glorioso e nasce dalla capacità di rimettermi in cammino, dopo la ideale sosta davanti al mistero di Betlemme.
c. La questione umana, la nostra dignità di persone, si assicura a tutti solo attraverso una rinnovata solidarietà: la carità con cui i cristiani del Mondo non si dimenticheranno della Terra Santa, ma neppure di tutti gli uomini che sono nella sofferenza in mezzo a noi e nella nostra Città: bambini, adolescenti, malati gravi, coppie in crisi, ecc… Tra la cultura dello spreco, che abbiamo praticato per anni e l’austerità feroce, che penalizza i più deboli, tocca a noi trovare “il giusto mezzo”. Si tratta di riaffermare, anche a livello collettivo quelle scelte irrinunciabili, per cui siamo amici di Dio.
4. Ascoltando l’Apostolo in questa notte di luce, ci rendiamo conto che, con tutta la sufficienza della nostra generazione, siamo tremendamente poveri:
a. non abbiamo gli unici doni che si possono riportarci a dare senso alla nostra storia: ”rinnegare l’empietà e i desideri mondani e vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza”, della terza venuta del Salvatore, quando tutti potranno vedere con i loro occhi “il Signore della gloria”.
b. Imitando quanti furono cristiani prima di noi in questa terra benedetta di Arezzo, ci è chiesto di tornare a contemplare, perché, riformando i nostri costumi alla luce di Betlemme, diventiamo ancora credibili per la generazione futura, che ci guarda attenta ed esigente e ci chiede il segno della fede.