“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” . A noi tutti insieme, Chiesa santa che è in Arezzo-Cortona-Sansepolcro è affidata la profezia. Ci è chiesto di far risuonare la parola di Dio come testimoni della speranza nel mondo. Vi è una parola che scioglie i lacci che ci opprimono i condizionamenti che limitano la nostra libertà. Questa parola è efficace, creativa, capace di risolvere; ha un nome: Gesù, il verbo fatto carne a Betlemme di Giudea, calato nel silenzio del quotidiano a Nazareth, annunziatore delle meraviglie del regno nella vita pubblica. La sua gloriosa passione, la risurrezione dai morti – è lui il vivente della Apocalisse che presiede questa liturgia – lo hanno mostrato onnipotente e Signore. E’ Lui la Parola che noi vogliamo ridire a tutti, con il coraggio degli Apostoli. Iniziando la mia missione in questa bellissima Chiesa, che è ad un tempo aretina cortonese e biturgense, credo che dobbiamo ridirci con parresia apostolica che non possiamo disinteressarci dei fratelli, come fece Caino. A noi tocca valorizzare ciascuna delle risorse che il Signore ci ha dato, non facendo tutti tutto, come se fossimo tre Chiese diocesane, ma integrandoci vicendevolmente. La nostra triplice dimensione è un dono e una ricchezza che va messa al servizio del bene comune. Tocca a noi, insieme, identificare quali particolarità di ogni tradizione locale possa essere utilmente valorizzata, nel concerto delle parti, per rendere un miglior servizio a Dio e al suo popolo.
La diaconia del dialogo e il contributo di una identità forte che ci appartiene
La Chiesa è chiamata alla diaconia del dialogo da instaurare con tutti i cercatori della verità e della pace a qualunque aggregazione appartengano, forte della sua identità. Sono queste due facce della stessa medaglia: come ci insegnarono i Padri Conciliari, non siamo i possessori della verità, ma i cercatori del Vero: “Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale” .
E’ pur vero che la Chiesa, in fedeltà al Suo Signore, non teme di misurarsi con le continue novità della storia. Siamo consapevoli che la nostra identità è ad un tempo connessa con la divinità e si esprime in una ricca ed esemplare umanità nuova, raccogliendo dal Figlio di Dio l’arra dello Spirito e dal Figlio dell’uomo il progetto di umanità liberata dal male, capace di sogni e di utopie. Con la potenza di Dio anche ciò che pare impossibile si qualifica come reale e quanto è segnato dal male e dalla corruzione si recupera dimensioni perfino insperate: “Ego nova facio omnia” .
La cultura degli antenati ha espresso in questa terra varie esperienze di civiltà che ci appartengono nella misura che siamo disposti a farci carico di quella eredità che fu la fonte della grandezza degli avi. Quale visione dell’uomo siamo in grado di proporre alla nostra generazione? Cortona etrusca, Cortona medievale, patria di Frate Elia e della grande Margherita. Cortona scrigno del rinascimento e del bello sono una proposta e un compito che ci viene assegnato dalla frequentazione sempre più numerosa di visitatori che ogni anno salgono questo colle incantato e silente per scoprire il segreto della nostra qualità. Alla Chiesa in questo contesto di ricerca del senso delle cose tocca di animare una qualificata riproposizione dell’antropologia: chi è l’uomo, dove vuole andare, con quali mezzi? Come insegnavano i nostri antichi, è ancora di stringente attualità l’esametro latino “quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando” . La Sacra Scrittura, che illumina la nostra esperienza di Chiesa a la motiva, ci fa arricchire con ulteriori motivazioni il senso della vita, il destino dell’uomo, quale felicità e dove sia la vera gioia. C’è da valorizzare di questi temi l’offerta che la Chiesa in Cortona porge ai contemporanei, che vengono a soffermarsi, incantati, sulle nostre radici.
Nella patria di Luca Signorelli, cantore del bello e incantato modellatore della luce, siamo chiamati a contemplare l’inconciliabile alterità tra il Vangelo e lo spirito del mondo: è il dono attraverso il quale Iddio ci salva. C’è un inevitabile bivio. “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi…” . Ai cercatori di felicità sappiamo proporre il bivio che esiste tra il giusto e l’empio. Non è solo un problema di morale, che per quanto importante sarebbe un dettaglio, ma principalmente si tratta di rivisitare le motivazioni che sostengono il nostro operare: sono diverse le regole che danno senso alla vita del credente da quelle che comunque esistenti determinano lo stile di vita propugnato dalla cultura dominante dell’Occidente oggi. La Parola ci interpella stasera su come vogliamo costruire il nostro sistema di ideali, o quale mondo lasciare ai figli. Siamo ben attenti a queste argomentazioni quando vertono su questioni dell’economia; proviamo a farlo anche per i valori del vivere. La Chiesa italiana si è data come grande priorità del tempo attuale la questione educativa. Occorre ritrovare la ragione per educare noi stessi e soprattutto i più giovani a ricercare l’opzione fondamentale, capace di motivare il nostro essere e l’agire comune.
Cos’è che più conta al mondo? Chi è il più grande?
Attraverso l’Evangelo di Marco, peraltro qui invocato Patrono, Gesù interroga anche noi quest’oggi . La Chiesa si è interpellata nei secoli su questa fondamentale questione. Fin da Papa Gregorio Magno, i Vescovi di Roma hanno scelto per sé, come più alto titolo, l’appellativo di “Servus servorum Dei”. Ciò che conta non è dunque un nome o un’apparenza e neppure il dominio sugli altri, ma l’utilità e la significanza che si ha in relazione agli altri. Il servizio dentro la società, in collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà è nella logica evangelica il maggior titolo di onore: quello che merita maggior rispetto. Il servizio ha in sé la categoria della testimonianza, è connesso con la martiria cristiana. Appartiene alla cultura dominante l’esaltazione dell’uomo che ha successo senza fatica. Si crede somma felicità eliminare ogni sforzo: impegno e sacrificio sono banditi dai nostri interessi. E’ invece evangelico il farsi carico degli altri, anche se costa fatica.
San Martino di Tours, prototipo del santo Pastore nel Medioevo, si presenta alla ribalta della storia con il suo “non recuso laborem”, che esprime compiutamente la fede nella vita futura e il concetto del merito che occorre acquisire per entrare nella gloria dei Santi. Nella società cristiana del tempo della Riforma il lavoro e la fatica assursero al ruolo di professione di fede. Passò nel tempo il termine “professione” ad indicare ogni opera fatta con consapevolezza e cultura per cancellare il male dal mondo e favorire il bene e il progetto di Dio. Il Santo Padre Agostino insegna che l’esperienza “del paralitico nello spirito” è diffusa come i vermi nelle mele. Sei “debole” nella misura che ti scoraggi; sei “malato” se sei corrotto dalla mentalità diffusa.
Vi è una qualche difficoltà anche per noi ad accettare che il Vangelo sia del tutto alternativo al mondo e a proporre a noi stessi e agli altri una antropologia fondata sulla Parola di Dio. Nel canestro delle mele, che sono le generazioni della terra, vi sono tre vermi – violenza, discriminazione e concupiscenza – che rendono marcio ogni frutto, se non fai qualcosa per disinnescare il loro potere di corruzione.
L’impegno a farci strumenti di comunione in mezzo alla gente
Popolo santo di Dio convenuto in questa concattedrale, siamo chiamati ad essere nel nostro territorio strumento di comunione tra le persone e le loro appartenenze. La sfida che ci viene dalla Parola quest’oggi, all’avvio del mio ministero di vescovo in mezzo a voi, è di raccogliere l’esortazione dell’Apostolo che ci mette in guardia dallo “spirito di contesa”
Già all’interno della nostra Chiesa dovremo fare molta attenzione perché non prevalgano i particolarismi e ci dividiamo, anziché unirci tra di noi, solidali nel Signore. La vocazione alla santità è l’appello di Dio ad attuare nel tempo la rivoluzione dell’amore, anzi, a costruire la civiltà dell’amore nelle quattro bellissime valli dove ci è chiesto di camminare nel tempo di questa vita terrena.
Un gran compito peraltro ci attende nel mondo contemporaneo in Italia. Pare che non si riesca più a pensare senza ricorre alla contrapposizione: chi ha opinioni diverse spesso diventa il nemico. Per queste vie muore il dialogo, ma anche la concordia all’interno della comunità civile. A noi cristiani appartiene la cultura della pace. Conciliare la verità con la carità è avventura di ogni epoca della storia, per i fedeli di Cristo. Lo è sommamente in questo tempo in cui il Papa stesso ci chiama a fare la carità nella verità. Le esasperazioni e il sensazionalismo, come diceva ieri il Presidente della CEI, “rivelano mancanza di progettualità e di etica… sbagliano quanti si sono contrapposti tra difensori dell’etica individuale e propugnatori dell’etica sociale perché in realtà le due cose stanno insieme” .
Metter mano a ricostruire l’unità della nostra gente sulle questioni essenziali è profezia che la Chiesa deve al mondo. Ci fa guardare alla questione educativa, che appartiene ai genitori innanzitutto, ma che trova ampia realizzazione nella scuola, nei nostri oratori, nelle parrocchie e in tutti quei luoghi di aggregazione, dove si vuole aiutare la generazione più giovane ad esprimere in pienezza le proprie preziose risorse, mettendole a servizio del bene comune. A quanti dedicano la vita nel servizio dell’educazione – alla scuola innanzitutto – va il nostro apprezzamento e la nostra più responsabile attenzione.
Aver sottovalutato l’impatto della famiglia sul piano sociale ed economico, riconducendola ad una questione privata, quando non addirittura ad un retaggio culturale del passato è stata una miopia di cui oggi pagano le conseguenze le generazioni più giovani, sempre meno numerose e sempre meno importanti. Lo sviluppo vero non può tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia.
Costruire la società nella giustizia e nella pace anche per noi cristiani significa esprimere piena ed efficace solidarietà al mondo del lavoro e sollecitudine concreta verso quelle famiglie che sono provate dalla crisi in atto, per aver perso il proprio posto di lavoro o perché lo vedono a forte rischio. L’incertezza che genera questo generico stato di precarietà diffusa si fa molto spesso insicurezza sociale, che è assai più pericolosa di quella connessa con l’ordine pubblico. Nessuno ha ricette precise per rimediare questi mali. Certamente giova la volontà dei cristiani di fare la propria parte nei modi e nelle forme che la dottrina sociale della Chiesa ci suggerisce, anche nei recenti interventi del Santo Padre.
Santa Maria, con il corteggio dei Santi della nostra terra, ci ottenga la grazia di essere efficaci operatori del bene comune. In questo mirabile territorio, segnato dal mirabile carisma francescano e patria di Santa Margherita, ci sia concesso di diventare noi stessi il fermento evangelico della rinascita della città dell’uomo, modellata sulla città di Dio e lo strumento della promozione del nostro popolo, sulle vie della giustizia e della pace.
Riccardo Fontana
Arcivescovo