Sorelle e fratelli nel Signore,
figli di questa Valle benedetta del Casentino:
il Signore ci dia Pace!
1. Santi per grazia, cristiani per scelta
Dalle varie comunità del Casentino meridionale siamo arrivati qua, per ascoltare la Parola di Dio. Dal terzo libro delle Sacre Scritture, dal Levitico, il Signore ci viene incontro dicendo: “Siate santi perché io sono santo”.
C’è una santità oggettiva che deriva da Dio stesso, che ci ha scelti e chiamati a formare la sua Chiesa. Siamo il popolo di Dio, dove quel “di Dio” è un genitivo soggettivo: siamo il popolo che appartiene a Dio. San Paolo insegna che Gesù ci ha riscattati dal verdetto di condanna per il peccato commesso in Adamo e da noi stessi.
Ci è consentito di sentirci considerati e prescelti dal Figlio di Dio. Siamo chiamati ad esser parte di quel corpo di cui Egli è il capo: siamo, per Grazia, il Corpo Mistico di Cristo. Non cesseremo mai di ringraziare il Signore per questo dono che porta salvezza; lo Spirito che ha effuso su di noi, ci fa tempio vivo di Dio, “figli nel Figlio”.
Certamente, alla Grazia si aggiunge anche la nostra personale adesione. È una storia articolata e complessa, nel tempo e nel percorso spirituale che ciascuno di noi intende fare. È un cammino che ci ha portato dalle tenebre alla luce, dalla dispersione alla fede, dalla confusione alla responsabilità d’essere concittadini dei santi.
Siamo consapevoli che l’iniziativa è di Dio, del suo amore misericordioso. È lui che ci ha scelti e amati. Ci ha sostenuto nel cammino fin qui fatto, non già nel deserto, come l’antico Israele, ma nel difficile esodo che ci conduce dalla schiavitù del peccato alla libertà della Grazia.
Da trentasei comunità diverse ci siamo riuniti in questa Propositura di San Martino, al termine della Visita Pastorale, per contemplare la santa Chiesa che, pur essendo una, è fatta di tante diversità che costituiscono la nostra identità.
Siamo pronti a riprendere il cammino dopo la forte esperienza di comunione del mese che abbiamo trascorso insieme; ringraziamo Dio che ci ha sostenuto nel tempo, ci ha aiutato a superare le prove della vita, ci ha beneficato con tanta generosità. Siamo a chiedere a una voce la Benedizione, perché soprattutto i più giovani, percepiscano la bellezza dell’avventura cristiana e vi corrispondano con gioia.
All’inizio della Liturgia, nominando ogni comunità, mi sembrava di recitare la Litania dei Santi, ed era proprio vero, chiamati ad essere i Santi del Terzo millennio per lo Spirito di Dio che ci è partecipato, per la divina misericordia che ci aduna, per la volontà che abbiamo di rispondere al Signore Gesù e la scelta di attuare in mezzo a noi il Regno. Tutti i nostri patroni dicono identità piccole e grandi. Tuttavia la vera identità non sta nei campanili, ma nell’appartenenza all’unica Chiesa che è di Dio, pellegrina in Arezzo, Cortona e Sansepolcro.
La Scrittura ci dice di far corrispondere a questo dono – la Chiesa è un dono – una vita consona, degna dell’opera di Dio. È la nostra risposta, la santità soggettiva, personale, di cui ciascuno di noi deve rendere conto. L’incontro con il Vescovo è stato il momento opportuno perché ciascuno si chieda: “A che punto sei nel tuo percorso?”. È una domanda che sorge dal cuore e che non è possibile eludere, né a ogni persona responsabile, né alle nostre comunità.
Come ogni nave nell’oceano ha bisogno, di tempo in tempo, di verificare con le stelle la propri collocazione, pur nella fluidità delle acque e nella grande dispersione delle onde, così è per la Chiesa particolare. La Visita Pastorale mette in grado popolo e pastori di verificare il cammino fatto e progettare il futuro. Siamo un popolo di pellegrini dal fonte battesimale alla Gerusalemme del Cielo: in questo mese, in cui con voi, miei fratelli e sorelle, ho condiviso il pondus diei et aestus ho avuto modo di vedere e ascoltare, pensare e pregare, perché il Signore, vera stella del mattino – come insegna il preconio pasquale – ci mostri la strada da percorrere sia come Area Pastorale che va da San Martino Sopr’Arno al Corsalone, che nelle varie Unità Pastorali, che sta a noi suscitare e far vivere, in vera comunione ecclesiale..
In tutte le comunità durante questo mese trascorso insieme, più di una volta ci è successo di far vedere ai bambini il popolo di Dio in cammino. Ricordo con commozione la grande preghiera fatta insieme nella notte, da Salutio al santuario della Madonna del Bagno, chiedendo alla Madre di Dio di ottenerci il dono prezioso delle vocazioni all’Ordine Sacro. Da Faltona, su arrampicati sotto la pioggia fitta fino a Castelnuovo, dove la tradizione antica voleva che la via crucis arrivasse, per chiedere al Signore la grazia che le religiose passioniste non lascino il nostro popolo, già così provato dalla carenza di presbiteri e seguitino a fare da vere missionarie, come nei decenni passati: la vita consacrata è un dono di cui la Chiesa ha sempre bisogno, ma soprattutto quando è in condizione di missione.
2. Un popolo in cammino
Siamo tutti in cammino: non già per le strade: sarebbe quasi banale. Il percorso che mi interessa richiamare alla memoria comune è quello interiore. Una Chiesa che non sa verificarsi sulla sua dimensione soprannaturale, rischia di diventare un contenitore privo di interesse per l’uomo contemporaneo, ma soprattutto del tesoro che è la vicinanza con Gesù, fonte della nostra pace.
Alla Messa, al momento della pace, cerchiamo di non stringerci la mano se non c’è la volontà di costruire la pace fuori dalla chiesa. Se non c’è l’impegno ad abbattere quello che divide la gente dentro i paesi. Santo vuol dire alternativo. La vera differenza tra il modo di ragionare del mondo e quello della Bibbia è la civiltà dell’amore fondata sul Vangelo, che è perdono delle offese, ricerca del bene comune, impegno per la giustizia e la pace. Tu sei santo, siate santi, perché Dio è santo, cioè alternativo alla miseria quotidiana del compromesso e del peccato, al materialismo che mette alla prova anche i migliori. Dio è Dio e noi ci misuriamo con Lui.
Proprio in questo Casentino benedetto, presso il Sasso Spicco de La Verna, san Bonaventura scrisse “Itinerarium mentis in Deum”. Dalla sequela di Cristo, per cui ti dici cristiano a imitazione di Lui, per cui sei di giorno in giorno più simile al tuo Signore, vi è un percorso personale e comunitario, che dobbiamo avere il coraggio di riproporre alla gente del nostro tempo. A una vita sempre più perfetta, cioè realizzata, si arriva nell’esercizio delle virtù, nella ricerca assidua del volto di Gesù, per conformare a Lui la nostra vita. Molti prima di noi in questa valle hanno saputo incamminarsi per questa strada, fino a raggiungere livelli alti di testimonianza cristiana.
Dobbiamo uscire dalla logica del primato del fare, che appartiene alle filosofie che da tre secoli segnano il nostro continente, per recuperare la ricerca dell’essere. La proposta del Vangelo è di seguire Gesù “optimus medicus”, per tornare a migliorare la nostra qualità umana, sul modello dello “homo novus”, il Signore della gloria, il Risorto.
L’amore per la Chiesa è trovare nuove forme di servizio, più rispondenti alle necessità dell’uomo contemporaneo. La nostra generazione trova difficoltà a compromettersi per il Vangelo. Se ne apprezza magari la qualità; si loda la logica alternativa della Scrittura, ma di fronte alla scelta dell’offerta di sé ci si ferma, nel matrimonio, come nella vita consacrata, nella sequela di Cristo nel sacerdozio, come nella carità.
Siamo chiamati a trovare nuovi modi per esprimere nel quotidiano la nostra scelta cristiana. Siamo tentati di seguire la tradizione nelle minuzie delle forme, ma abbiamo paura a rinnovarci alla luce del Vangelo e sulla misura dei santi. A parole siamo disposti a correggere quanto è ingiusto e inadeguato, ma abbiamo timore di rivedere le forme della presenza della Chiesa sul territorio, sacrificando la sostanza per le forme consuete. So bene che è difficile organizzarci diversamente nel momento associativo. Eppure pare che il Signore, che sempre guida la storia e ci parla attraverso gli eventi, ci chiede di seguirlo, attraverso modalità meno privilegiate e più evangeliche.
Andando in giro ho potuto constatare la fatica dei miei preti, che voglio ringraziare con tutto il cuore per il grande servizio che fanno.
Ma ho visto anche la sofferenza del popolo, che ancora si aspetta una presenza istituzionalizzata del clero sul territorio e si adagia a una continua delega delle proprie prerogative al ministro sacro, quasi ignorando che nel nostro territorio la popolazione dei paesi di montagna è più che dimezzata e il numero dei sacerdoti è divenuto esiguo al punto che abbiamo chiamato come missionari sacerdoti provenienti da Chiese sorelle, geograficamente lontane!
È tanto il campo da arare: occorre pregare il Signore della messe perché mandi un maggior numero di operai per la sua messe: non necessariamente significa solo chiamare più giovani al sacerdozio, ma certamente comporta che anche la nostra Chiesa diventi tutta ministeriale, di modo che ciascuno faccia la parte propria, assumendo tutti quelle responsabilità che gli competono.
C’è bisogno di tutti, di una Chiesa che è fatta di partecipazione: come dicevano gli antichi per comunicare occorre “habere partem”. Ci è chiesto da Dio, non da me, di essere tutti parte attiva di questa storia che è fatta di quasi ventimila persone. Tutti, fino all’ultimo bambino, da poco nato, che stamani ho incontrato su a Pontenano.
3. La missione che ci attende
C’è bisogno di recuperare relazioni con il maggior numero possibile di persone, non già in vista delle iniziative da fare, ma per favorire, in noi stessi e negli altri, la scelta di avere il cuore aperto a Dio e la necessaria attenzione verso il prossimo, perché la nostra società sia sempre più umana e cristiana. La missione di riproporre a tutti il Vangelo di Gesù richiede una vera conversione in noi stessi e in quanti incontreremo. È necessario cambiare mentalità, compromettersi gioiosamente per il Signore, con la convinzione che, a chi annunzia la Parola di Dio viene in soccorso la testimonianza interiore dello Spirito Santo, che è capace di muovere i cuori.
La comunità cristiana, prima di noi si è espressa in varie opere di carità, che ancor oggi vengono incontro agli anziani, ai più bisognosi d’aiuto, ai poveri. Ho davanti agli occhi l’incontro con gli ospiti delle case di accoglienza che mi avete accompagnato a visitare. Fu anche per me una meraviglia, vedere la fede e la pietà cristiana di tante persone della mia generazione o anche più grandi d’età. Nei centri di eccellenza, dove molti disabili che vivono nel nostro territorio trovano attenta corrispondenza alle loro necessità, vi è il frutto maturo delle radici cristiane del Casentino: alle competenze scientifiche con cui si avvicinano le varie patologie, si affianca un sentimento amicale e umano che connota esperienze evangeliche. Sono i frutti di alberi piantanti dai vostri avi. Dovunque siamo andati abbiamo fatto l’Eucaristia in suffragio dei nostri morti, ai quali si deve la riconoscenza di averci avviato alla fede. È doveroso ricordare quella parte della Gerusalemme del Cielo che è legata a noi, da vincoli di consanguineità e di amicizia. È cristiano ridirci l’un l’altro che i nostri non sono spariti nel nulla, ma accanto al Signore intercedono per noi: non ci lasciano soli.
Abbiamo ascoltato Paolo scrivere alla comunità di Corinto, nel terzo capitolo della sua Prima Lettera a quella comunità. L’Apostolo affronta un problema di grande attualità anche per noi. I cristiani avevano la tentazione di dividersi all’interno della stessa Chiesa tra i discepoli di Cefa, quelli di Apollo e quelli di Paolo. Ancora oggi, siamo tentati di dividerci in orientamenti diversi, dimenticando che la vocazione cristiana è unica: Dio ci chiama a far parte della sua Chiesa, che è unica: in croce per tutti noi c’è andato Gesù. È Lui che, con il suo sangue si è guadagnato questo popolo. È Lui, il suo nome benedetto, Gesù, al centro della storia della nostra salvezza. Il resto, le forme diverse, le aggregazioni, i metodi di esprimere la fede, le vie con cui pratichiamo la carità contano di meno. Possiamo inventarci, di tempo in tempo, formule più adatte alle mutate necessità della nostra gente, come l’aggregazione per Unità pastorali, ma la sostanza resta la stessa: Dio ci vuole bene e ci chiede di aiutarlo a raccogliere in unità tutta la sua famiglia. Cominciare a usare le risorse pastorali già sperimentate da molte altre diocesi italiane è come salire su una automobile nuova. Se non stai attento, non impari a prendere familiarità con le risorse che ti sono offerte, rischi di fare incidenti, di rovinare la macchina e, forse, di farti male. Anche le Unità Pastorali, amici miei, bisogna provarle, registrarle, aggiustarle ai nostri bisogni, imparare a usarle. Capisco che è più facile ricordare un passato che non c’è più, ma non giova, se hai una visione soprannaturale della Chiesa. Nessuno cambia la via vecchia per la nuova, se non ve n’è un vero bisogno. Partecipiamo a questo cammino che si è reso necessario: parlandone nei Consigli Pastorali, negli organi di partecipazione di ogni parrocchia. Bisogna che tutti siamo soggetti attivi, perché la Chiesa è la casa comune di tutti noi, dove abitare insieme.
Ricordo con entusiasmo quando – non ci credevo – è successo di avere insieme i nostri ventenni: siamo rimasti a parlare dalle 18 alle 23.30. Eravamo così tanti che a mala pena entravamo nella pur grandissima sala che ci accoglieva. Più di cento. Non è vero che i ragazzi non ci sono e non vogliono fare la loro parte per la Chiesa. Non è vero. Soltanto va trovato il modo di fare delle proposte operative e belle.
Ci vogliono gli oratori, non se ne può più fare a meno. Un oratorio è una rete di persone, di competenze e di luoghi adattati, dove la Comunità cristiana trasmette i propri valori alla generazione nuova. Rendiamoci conto di quanto esiste ora. Mettiamo insieme i ragazzi del catechismo per anni, per poi veder assottigliare il gruppo appena ricevuti i sacramenti? Non giova né ai giovani, né alle loro comunità: bisogna ricominciare da capo con umiltà ad aggiustare.
La Pastorale Giovanile si può fare. Vi assicuro, cari fratelli preti, che vi starò vicino, anche in mezzo alle difficoltà, alle complicazioni, alle tribolazioni che la gente non cessa mai di avere.
La nostra identità non è data dalla punta del campanile, ma dall’essere stati scelti da Gesù a fare la sua Chiesa. La mirabile pagina di Matteo 5, ci dà il segno. Se vuoi che le beatitudini recuperino il loro fascino, bisogna che si crei un clima di ascolto verso Dio e di accettazione vicendevole. La logica del perdono faccia superare le inevitabili difficoltà e copra le tensioni: una Chiesa che mette Gesù al centro troverà da Lui la forza di essere alternativa anche a se stessa.
Le forme della preghiera varieranno nel tempo e nelle circostanze, ma lo spirito di orazione deve essere tenuto vivo. È poco utile avere tante chiese, se poi non ci va nessuno a pregare. Anche nei posti più romiti un po’di rosario lo sanno dire quasi tutti.
La liturgia della Chiesa comincia al mattino con le Lodi e termina al buio col Vespro. Io credo che sia importante recuperare questo senso della preghiera che scandisce le ore del giorno. Entrare in questa logica è la via che ci porta avanti nella fede.
Insieme è l’avverbio che gli evangelisti ci danno come consegna. Il Mandato è insieme e le nostre identità particolari sono una ricchezza. La santa Chiesa stamani si presenta a Gesù in abito da sposa, una Chiesa bella. Tutte le nostre comunità sono i gioielli di cui si adorna la sposa per andare incontro a Cristo. Cerchiamo che siano sempre più splendenti, che ci sia attenzione per tutti, che nessuno sia dimenticato, dai bambini delle scuole, ai malati.
Stamattina abbiamo avuto due notizie: una del ritorno a casa di una nostra sorellina che dopo un gravissimo incidente che è stato riportato nelle cronache nazionali, è tornata a casa; l’altra notizia, è che abbiamo incontrato un bambino giovanissimo con gravi problemi di salute, ma con tenta fede e affidamento al Signore. Entrambe queste storie le mettiamo davanti alla Madonna del Conforto, che dalla chiesa Cattedrale ci sta accompagnando in questo percorso attraverso le strade della diocesi, per ridire a tutti il Vangelo di Gesù.