Oggi, miei cari, si celebrano i Magi d’Oriente, che vista la stella si misero in cammino e marciarono finché non trovarono il Signore. Anche noi vogliamo fare come loro.
1. Magi del nostro tempo
C’è anche oggi chi ha voglia di pensare, chi è alla ricerca del il senso delle cose e della vita.
Questa aspirazione profonda che umanizza e ridona dignità alla persona non appartiene solo a noi che siamo la Chiesa di Cristo, ma anche a molti altri, uomini e donne, che non si rassegnano alla banalità del tempo presente, non sono soddisfatti delle artificiose semplificazioni proposte dal sistema mediatico. Talvolta hanno visioni del mondo anche lontane dalla nostra e non si riconoscono cristiani. Eppure è doveroso ascoltare e cercare di comprendere al di là delle diversità cosa ci unisce, cosa abbiamo in comune con il resto della Famiglia Umana. Il dialogo, come insegna Papa Francesco, presuppone amore verso l’umanità. Se con un briciolo di amore ci mettiamo a ragionare con quanti sono intorno a noi, non disquisizioni astratte e teoriche, ma un saggio dialogo sulle prospettive e sulle qualità che l’uomo di fede potrebbe vivere in fedeltà al Vangelo, troveremo molti più consensi di quelli che noi osiamo sperare. Dice Gesù nel Santo Evangelo: “Chi non è contro di noi è con noi”.
Se cerchiamo di guardare con rispetto e comprensione alle sofferenze che sono al di là del nostro limitato orizzonte, non solo le sofferenze materiali, che pure sono già una parte consistente e non trascurabile delle tribolazioni del Mondo, ma soprattutto alle ragioni del disagio interiore in cui molti vivono troveremo molti disposti a ripercorrere la via dei Magi d’Oriente alla ricerca del Signore.
Anche alcuni recenti incontri nelle scuole aretine mi hanno fatto rivedere una generazione certo desiderosa di capire il mondo, dunque positiva, ma mi sono trovato di fronte giovani figli ai quali nessuno ha ancora annunziato Gesù, in modo credibile. Eppure non ho trovato barriere preconcette: ho pensato alle loro famiglie, che forse esprimono il sentire comune che ho ravvisato nei loro figli. Ho pensato che le categorie con le quali noi cristiani ci interfacciano con gli altri forse debbono essere riviste. C’è una sofferenza vera e propria che tocca l’animo della gente e ci è difficile intercettarla. Convincerci che la gente sia insensibile è un grande errore che gli amici di Gesù non vogliono fare; il cuore dell’uomo è ancora attento alle cose che contano. C’è un cammino da parte di tanta parte dell’umanità alla ricerca del vero, del bello e del giusto che la Provvidenza chiede a noi quest’oggi di intercettare. In forme a noi poco consuete da più parti ci viene chiesto come si fa a trovare il Signore. Tocca decidere quale personaggio del Vangelo dell’infanzia vogliamo imitare: se Erode che ha paura d’essere spodestato o i pastori del presepe, che si mettono anche loro in cammino, ascoltata la voce dell’Angelo. Forse il tema dei cercatori di Dio è ancora una sfida, alla quale molti si aspettano che la Chiesa provi a dare risposte.
A livello personale ciascuno di noi riceve la proposta di fare un percorso, per trovare il Signore. I modi cambiano a seconda del carattere, delle circostanze della vita, delle persone che uno incontra: ma una strada è proposta a tutti. Luca scrivendo gli Atti degli Apostoli non parla mai di dottrina. Parla invece di strada: una via, la via di Cristo. Quali sono gli elementi per incontrare il Signore? I Magi ci insegnano la voglia di scrutare il cielo, di fissare lo sguardo nel buio e di cercare la luce. Bisogna uscire dal corridoio degli specchi deformanti del nostro sistema di idee, così pieno di sicumera, che somiglia più al Luna Park che alla vita reale. Ricordate un tempo quando nei Luna Park montavano quegli specchi deformanti che facevano apparire le persone completamente diverse da quello che erano, ma poi uscendo ritrovavi, con piacere il tuo volto vero. Per quante belle maschere ti metti in fronte, il tuo volto reale, quello che ha fatto Dio, è sempre più bello. Bisogna avere l’umiltà di riconoscere che abbiamo bisogno di essere guidati da Gesù Maestro. Bisogna essere disposti a dare un seguito nella nostra vita a ciò che abbiamo visto. I pii desideri, se non hanno un seguito reale, servono a poco. Credo che occorra ritrovare la grazia dell’Epifania: il Signore si fa trovare da chi lo cerca, si manifesta. È nella logica dell’incarnazione rivelarsi al mondo. Epifania, che in greco questo vuol dire, è l’occasione propizia per questo cammino interiore che conduce all’incontro con il Signore.
2. La Chiesa è se stessa se fa da stella cometa a chi cerca il Signore
Mi ha profondamente colpito che, all’omelia terza sull’Epifania, san Leone Magno che un’antica tradizione volle nato nel nostro territorio, a San Leo, dice che la Chiesa del Signore deve imparare a fare come fece la stella cometa nell’orizzonte dei Magi. Un segno nel buio della nostra notte interiore capace di passare luce, un segno che faccia distinguere nel firmamento pieno di stelle, la nostra identità
Saremo capaci di condurre i Magi al presepio, se saremo una Chiesa solidale con chi ha il desiderio di andare alla ricerca del vero, del bello, del giusto che affascina la cultura e fa superare gli steccati delle ideologie. Orgoglio e pregiudizio sono nemici del sapere; ma anche la presunzione di essere sempre nel giusto è una sorta di clericalismo deteriore che non aiuta nessuno. Se questa nostra Chiesa troverà il verso di essere ancora umile e accogliente, sarà la Cometa del presepio per molti.
Scrutare le stelle, esprime con un’immagine poetica, la preziosa offerta che è rivolta a tutte le persone della Terra che sono desiderose di cambiare il male che ci circonda. Non è questo il giorno per ripetere ancora la litania dei mali che ci stanno accanto, ma non cessano di far sentire la loro nequizia. Saremo una Chiesa simile alla Cometa dei pastori se sapremo essere pieni di misericordia. Pronti a comprendere e perdonare piuttosto che a giudicare. La bontà che ci fa amare anche i dissenzienti alla maniera del Vangelo, fa scoprire nella comunità cristiana quella scintilla di Divino che appartiene alla Chiesa di Gesù. La volontà di andare incontro a tutti, di recuperare chi si è smarrito, di portare a chi ha sbagliato il perdono di Dio sono i segni della trascendenza di questa realtà, che amiamo chiamare popolo di Dio. Occorre ridire a tutti: coraggio, si può ricominciare da capo! Una Chiesa segnata dall’amore è la Chiesa di Gesù. La nostra forza sta nel ricordare che c’è Dio in mezzo a noi. Un’antica leggende della sapienza d’Oriente racconta di un giovane uomo che avendo perso la sua amata, andò disperato a cercarla dovunque nel mondo senza riuscire a trovarla. La grande aquila, Garuda, esperta di altezze, ebbe compassione e disse al giovane innamorato: “Se tu vuoi il senso delle cose e la tua amata, hai bisogno di coraggio. Vuoi salire sopra le mie ali e volare?”. Il giovane per amore andò in alto e riuscì a ritrovare con l’amore il senso della sua vita. Anche noi se non riusciamo a contemplare, a ritrovare il senso delle altezze, di andare in alto perché c’è Dio in mezzo a noi, siamo un’aggregazione di persone che fa forse qualcosa di buono, ma non siamo capaci di mostrare la strada agli altri.
3. Il senso della Visita Pastorale che ha l’Epifania come icona
La nostra missione, quella del tempo che inauguriamo, è di accorgerci della stella cometa e di imitarla. I segni ci sono dati a condizione che noi li sappiamo capire. Servono alcuni ingredienti imprescindibili. Occorre, miei fratelli, e così avviamo la Visita Pastorale insieme, uscire dai recinti consueti, sempre più deserti, per andare alla grotta di Betlemme a trovare il Dio uomo, aiutando la gente del nostro tempo a procurarsi i doni dei Magi. Se seguitiamo a fare le stesse cose, quelle che abbiamo sempre fatto, se tutto il nostro essere cattolici significa mettere insieme alcune devozioni, quando ti senti in difficoltà; se essere cristiani vuol dire ripetere i medesimi gesti, le medesime cose senza impegno, saremo poco capaci di andare in missione.
In missione dove, amici? Vi siete accorti che 56 preti sono venuti dalle altre Chiese a servire questa Chiesa aretina perché non siamo più in grado di assicurare a tutti neppure l’Eucaristia domenicale. Sono missionari, venuti a rievangelizzare questo territorio scristianizzato. Che fatica riaggregare il Seminario diocesano! Eppure se non ritroveremo il modo di accogliere quei giovani che il Signore chiama al sacerdozio ministeriale non potremo venire fuori dalla difficoltà in cui siamo. Dio fa sempre la sua parte: siamo noi che non siamo stati capaci di aiutare i giovani chiamati al sacerdozio.
La missione sarà di ricominciare da capo a presentare a tutti il Vangelo. In dieci anni i matrimoni in terra d’Arezzo si sono dimezzati, sia quelli in Chiesa che quelli civili. Perché? Vogliamo chiederci dove sono le nostre famiglie cristiane? Mi fanno dolcezza quelle spose che, appena fatto il matrimonio civile – chi sa per quali ragioni? – nel palazzo comunale di fronte al Duomo, salgono su, alla Madonna del Conforto, a chiederLe una benedizione. Tanti altri segni ci vengono dalla gente, in varie occasioni: non sta a noi giudicare la fede degli altri!
C’è ancora una grande sete di Dio, ma noi ce ne accorgiamo con difficoltà. La missione a cui il Signore ci invia è qui, non altrove. Di fronte alla casa comune che brucia, chiediti se andare altrove non sia una fuga dal reale, una ricerca di soddisfazioni in cambio delle inevitabili fatiche che comporta servire la tua gente portando il Vangelo di Gesù. Sono arrivati i missionari da noi, non sono venuti a prestare un’opera, a fare un lavoro, ma a servire per amore di Dio questo popolo che vanta una storia cristiana illustre, da san Donato in poi.
Saremo capaci di portare al Signore i doni dei Magi? Il primo dono, il dono dell’oro, che è il dono dei Re. I Re e le Regine erano nell’antichità gli unici in grado di decidere: gli unici veramente liberi. Saremo la Chiesa del Signore se educheremo noi stessi e gli altri alla libertà. Se libereremo il nostro prossimo da inutili pesi e disperazione. Vi sono tante storie di sofferenza, dove la gente è oppressa. Anche nelle famiglie, se non si recupera il rispetto vicendevole che è l’anima della vita cristiana, c’è qualcuno che deve sopportare sempre e qualche altro che non se ne accorge neppure.
L’incenso del secondo Re Mago è il coraggio di adorare Dio: è la voglia della preghiera. L’incenso ha una proprietà, guardatelo, si usa nella liturgia tutte le volte che vogliamo manifestare con un segno la presenza di Dio, come la nube dell’Esodo, quando Israele fu accompagnato dall’oppressione d’Egitto alla Terra Promessa. Sono chicchi di resina, si dice in linguaggio proprio che sublimano: a contatto con il fuoco si trasformano in profumo. Se non sappiamo diventare anche noi il “sublime profumo di Cristo”, se la nostra preghiera non qualifica la vita di tutti i giorni, si va poco lontano: certamente non si è cristiani.
La mirra è la fatica. La fatica della vita, la condizione umana, che per quanto tu voglia, per quanto tu la racconti come ti fa più comodo, richiede sacrificio e rinunzie. Il sacrificio fu necessario persino a Dio per salvare l’uomo. La mirra di Cristo deposto dalla croce è il modo cristiano di affrontare le difficoltà. Vado con il pensiero stamani alla “pietra delle mirofore”, all’ingresso del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove il Papa andrà tra breve. Se noi non siamo capaci di farci carico del sacrificio degli altri, dei dolori, delle sofferenze, non siamo la Chiesa di Dio.
La Vista Pastorale che avvierò fra pochi giorni nel Casentino inferiore, per attraversare poi tutta la diocesi, vuole essere il segno della nostra Chiesa aretina che fa suoi i contenuti dell’Epifania: andare a ragionare con tutti, ad incontrare tutti, a ridire a tutti che Gesù è vivo in mezzo a noi. Non lasciatemi solo, accompagnatemi con la vostra preghiera in questo pellegrinaggio, dove non basta dire, bisogna andare. Come il poverello di Assisi quando volle fare il primo presepio non tirò fuori le statuine di soffitta, ma, non si sa bene se passò da Tor d’Andrea, da Bevagna e Montefalco, o se venne giù di qua, da Foligno, da Trevi e da Campello. Ma certamente andando a Greccio passò villaggio per villaggio e provò a dire a tutti: “Pace!”. Se mi riuscirà di fare altrettanto – ci proverò ve lo prometto – il mio faticoso andare tra la gente sarà un segno. Siate con me, ve ne prego, il riferimento concreto degli ideali dell’Epifania, di questa manifestazione di Cristo che ho voluto fosse l’icona della Sacra Visita, che come tutti i vescovi della Terra avvio in nomine Domini. Lo faccio in piena comunione con i vescovi vicini che, insieme con me, in questo giorno santissimo annunziano la Sacra Visita. Se ci muoveremo tutti insieme, provando a ridire a tutti il Vangelo di Gesù, siamo sicuri che la Divina Grazia non mancherà.