Omelia dell’Arcivescovo nella II domenica di Quaresima

Fratelli e Sorelle nel Signore:
pace a voi!

 

Come Pietro Giacomo e Giovanni, gli amici di Gesù, siamo chiamati anche noi  a salire sul monte, per vedere il vero volto di Gesù e riprendere il coraggio necessario per fare i cristiani nella quotidianità della vita.
            Siamo tutti coinvolti nel pellegrinaggio stazionale, con il quale quest’oggi larga porzione del popolo di Dio di questa Chiesa particolare ha voluto esprimere la voglia di uscire dalle abitudini usurate dal tempo, per rinnovare con la contemplazione la propria fede. Anche noi siamo saliti sul Monte.
            La parola chiave per entrare nel Vangelo della trasfigurazione è appunto exodos. Per riempirci di Dio ci è chiesto a tutti di farci pellegrini: di deporre l’uomo vecchio che è in noi, di rivestirci della novità del Cristo. La nostra aspirazione grande salendo sul monte della preghiera è di “conoscere Lui, la potenza della sua resurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, divenendogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla resurrezione dei morti”[1]

 

1. Il Vangelo della Trasfigurazione è una proposta per noi
            La narrazione lucana della trasfigurazione ci insegna che, per essere chiamati a condividere la sua stessa esperienza di esodo, “thn exodon autou”[2], è necessario essere tra i suoi amici. L’evangelista intende sottolineare il valore pasquale delle vicende di Gerusalemme. La passione morte e resurrezione di Gesù sono un nuovo e definitivo “esodo”: non già dall’Egitto, ma dalla condizione di schiavitù in cui più o meno consapevolmente ci troviamo. Non ci è promessa la terra di là dal Mar Rosso, ma la città di Dio: la città della giustizia e della pace. Questa nostra vita, per gli amici di Gesù, è dunque un cammino nel deserto, come lo fu quello dell’Israele antico. Alla Pasqua si partecipa se si è amici di Gesù. Egli ha fatto il primo passo: ci ha chiamati suoi amici e per noi si è assoggettato alla passione, è morto ed è risuscitato . Tocca dunque a noi far ora la parte nostra. Al Monte di San Savino, siamo convocati per decidere nel segreto delle nostre coscienze, ma anche dando senso di verità all’assemblea che si è adunata, se vogliamo essere tra gli amici di Gesù.
            Tra le espressioni più antiche della liturgia romana il titolo più bello che si dà ai cristiani è di essere “famuli Dei”: di avere cioè familiarità con Dio.
            Impariamo dai fanciulli che cosa significhi e raddrizziamo di conseguenza la nostra vita di adulti. San Domenico Savio, il piccolo santo al seguito di Don Bosco, il segno di come il grande educatore di giovani volesse che fossero gli oratori, dette una risposta ai suoi compagni di giuoco che merita di essere ricordata stasera di fronte all’Assunta del Vasari, in questa Chiesa che parla dovunque della Città di Dio. Nel parlare dei ragazzi, chi sa perché quel pomeriggio il discorso andò sulla fine del mondo e sul giudizio di Dio. Che faresti te se sapessi che questo mondo sta per finire? Vi fu chi voleva andarsi a riconciliare; ci fu anche chi protestò la sua volontà di fare per il futuro buone azioni; un altro ancora voleva mettersi a pregare. Il santo, con semplicità diceva ai suoi compagni di giuochi che avrebbe proseguito a giocare. Di fronte al giudice romano il nostro antico martire, che convertì i Longobardi, San Savino, disse lo stesso. Ho Dio per amico, cosa mai potrà accadermi di male? Poniti anche tu la stessa domanda e vedi se puoi tranquillamente proseguire il tuo giuoco.
Papa Leone Magno insegna che ci sono tre buone ragioni per spiegare questa fortissima esperienza che Gesù propone ai suoi amici:
  1. 1.“rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce”
  2. 2.“dare un fondamento solido alla speranza della Chiesa, perché tutto il corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato oggetto”
  3. 3.“confermare gli apostoli nella fede… con la testimonianza di Mosè e di Elia”[3] perché dinanzi a tanti testimoni non dubitassero della verità del Cristo, Verbo di Dio.
            Anche a noi questa sera sono offerte le stesse prove, è proposto lo stesso progetto: andare al di là delle apparenze, trans figuram. Ci è chiesto di uscire dalla banalità, con cui si vanificano anche le esperienze più belle della vita. Siamo terribilmente piallati da una civiltà dell’apparenza che svuota i contenuti, rende tutto effimero e su tutto insinua dubbi e incertezze. La maturità della fede ti porta al recupero dell’essenzialità. In questo secondo passo della quaresima ci è chiesto di fermarci sulle cose che contano, per recuperare il nostro giudizio, la nostra libertà. Ci è chiesto di affermare e vivere i valori ai quali intendiamo improntare la nostra vita.
            Per recuperare il fascino della fede è ancora necessario salire sul monte, che è espressione biblica che indica il cammino interiore alla ricerca di Dio. La Parola ci ripropone la via della fatica e della preghiera. Ciascuno riveda il proprio progetto di vita e si impegni a favorire il gran bene che si porta dentro. Come si sale in montagna perché dalla vetta si aprono più larghi orizzonti e si respira aria più pura, così ci è chiesto di uscire dalla mediocrità e dallo sconforto per rimediare in questo tempo almeno alle più consistenti inclinazioni al male. Scegli se vuoi seguire il Signore sul monte e comportati di conseguenza. Agli adulti è chiesto di riaprire per se stessi il discorso sul metodo, perché le aspirazioni di questo giorno si traducano in realtà.
            Ci è proposta innanzi tutto la via della contemplazione. Per lasciarsi svelare il volto glorioso di Cristo dobbiamo favorire il recupero dell’ascolto della Parola di Dio. Abbiamo bisogno di superare la grossolanità interiore e di favorire la delicatezza dello spirito: che è gioia e pace; è poesia e amore; è il contenuto della promessa che il Signore ci fa, chiamandoci suoi amici. Il materialismo che ci circonda ci rende ottusi, slabbrati come un vecchio maglione.

 

2. La contemplazione nel linguaggio del Tabor “svela” il volto di Gesù

 

            Dio stesso attesta che Gesù è “il Figlio mio”[4]: noi ci fidiamo di Gesù, perché è Dio, in quell’unità di natura, che ripetiamo ogni domenica nel “credo”. Alzare gli occhi verso il crocifisso è contemplare il volto di Dio, non solamente la sua passione; è invece il segno del suo amore per noi: è il segno del limite, della misura straordinaria a cui arriva l’amore di Dio per noi. Dio è Dio: più grande di noi anche nell’amore; è il “grande nella misericordia”. Noi siamo il suo popolo. Non disperare: impara la fede dal ladrone pentito in croce.
            Nella nostra Chiesa risuonò la predicazione del “Nome di Gesù” di San Bernardino e dei frati francescani: il popolo per secoli si è chinato commosso di fronte alla bontà di Dio. Di fronte al Santo Nome. Torniamo anche noi a più miti consigli: lasciamoci toccare il cuore dall’amore di Dio per noi!
            È “l’Eletto”: Dice la voce sul Tabor, per indicare che Gesù ha una missione per noi. Cristo si cura di noi, è interessato a me. È la vicinanza di Dio verso di me.
            Gli antichi nostri fratelli del Medioevo, di fronte al male che anche allora pareva prevalere; di fronte al timore che Dio stesso si sia disgustato di noi e del nostro comportamento amavano ripetere: “Recordare Jesu pie quod sum causa tuae viae, ne me perdas illa die”[5]. La Scrittura non cessa di ricordarci che nessun cristiano può rimanere indifferente di fronte al dolore, alla morte, alla altrui sofferenza. Anche in questa settimana il suicidio di alcuni giovani figli della nostra Chiesa ci interpella, perché forse non sapemmo accorgerci delle loro fragilità, o non sapemmo dir loro con linguaggio comprensibile a questa generazione che si fidassero del Signore. Abbiamo bisogno d’incarnare la pace con la nostra fede: pace nel mondo; pace anche tra di noi, perché possiamo essere credibili annunziatori della pace di Cristo.
            “Ascoltatelo” dice infine la voce del Tabor, che vuol dire la sequela di Gesù che è chiesta a ciascuno di noi. Ascoltare vuol dire andargli dietro, al di là delle cose.
            Ripetere con l’Apostolo che “la nostra patria è nei cieli”[6] significa riordinare le nostre priorità. L’adesione al Vangelo comporta scelte concrete di vita. Ai cristiani è chiesto di distinguersi dal loro stile di vita, non già nell’ideologia.
            So bene che l’avventura cristiana è una grande fatica. La liturgia ci aiuta perché non perdiamo il coraggio: “In alto inostri cuori”… “Sono rivolti al Signore” [7]. Vuoi sapere a quale Signore? “A Dio che allieta la mia giovinezza”[8] Non importa se è faticoso: rinnovo l’impegno a seguire il Signore Gesù. Gli antichi si facevano coraggio: “Per crucem ad lucem”[9].

 

3. L‘alleanza che ti viene riproposta stasera è come quella di Abramo: avere le stelle per discendenza. Il recupero della poesia

 

            Abbiamo ripetuto col salmista: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”[10]. Sì il Signore è la mia parte d’eredità, perché io stia sicuro del futuro che mi attende; è Lui il mio calice, perché io possa fare festa.
            La fede che rinnoviamo stasera è scegliere con Abramo di essere “fecondi”, di avere un seguito, di non insterilire la proposta che ci viene dalla Parola di Dio.
            È un invito alla nostra Chiesa diocesana ad uscire dal “ghetto” e a diventare propositivi: questo è il senso della missione, questo è il più qualificativo contributo che possiamo offrire agli altri nel dialogo. Forse è l’occasione propizia per riproporre la sequela di Gesù a tutti i nostri che non sono qui: contemplare sul Tabor ci fa rendere ancora conto che vogliamo rinnovare la nostra disponibilità alla missione. Vogliamo dire al Signore che può contare anche su di noi.
            Il Santo Viaggio che ci viene proposto è molto concreto: “Nutri la nostra fede, o Signore, con la tua parola, purifica gli occhi del nostro spirito, perchè possiamo vedere”[11]. Questa è la Quaresima, questo è il tempo favorevole, perché ritorniamo al Signore e con lui ci rimettiamo in marcia verso la Gerusalemme del Cielo.

[1] Fil 3,10-11

[2] Lc 9,31

[3] S. Leone M. Discorso 51,3

[4] Lc 9, 28-36

[5] Tommaso da Celano, Sequenza Dies irae

[6] Fil 3,20

[7] Messale Romano, introduzione ai Prefazi

[8] Sal 43(42),4

[9] Sentenza medievale in Walther 21191a

[10] Sal 27 (26),1

[11] Messale Romano, Domenica II di Quaresima, orazione colletta