Dal Casentino alla Birmania il diario di padre Galastri

padre_Pietro_Galastri

“Benedici, o Vergine i nostri propositi. Benedici il nostro distacco. Benedici tutti coloro che lasciano, coloro presso cui andiamo… la nostra futura opera e fa che mai ci pentiamo del passo che abbiamo fatto. Fa che mai rimpiangiamo questo giorno”. È padre Pietro Galastri che scrive una delle prime pagine del suo diario di viaggio. Una preghiera che rappresenta il manifesto di un’intera vita. “Dalle foreste camaldolesi alla giungla birmana” è il diario conservato presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e recentemente esposto nell’ambito della mostra “I diari dei toscani in viaggio”. Una testimonianza straordinaria quella di padre Galastri, prete missionario aretino che ha dedicato la propria vita agli altri nel totale abbandono alla Fede. Nato il 18 aprile 1918, trova la sua vocazione a soli 13 anni. Così, da Partina, piccolo villaggio arroccato sui monti di Camaldoli, Pietro Galastri va ad Agazzi, paesino a pochi chilometri da Arezzo, lasciando i suoi genitori e i suoi otto fratelli, per diventare prete.

Questa separazione, però non diminuisce l’affetto per i suoi familiari, tanto che, appena possono, i fratelli lo vanno a trovare. Neppure l’entusiasmo per la scelta fatta diminuisce, anzi si rafforza e si arricchisce. Così il fratello Luigi parla del loro incontro di ritorno dalla guerra in Africa Orientale: “Mi volle trattenere più del solito – scrive il fratello – per farmi domande sulla vita degli ‘indigeni’.

Sognava di essere presto a contatto con quelle creature diverse da noi, che io brutalmente avevo combattuto. Egli desiderava abbracciarle e portarle al Signore”.

Ha trent’anni e finalmente, missionario da cinque, dopo una forzata attesa, padre barba – così chiamato per il pizzo nero e la faccia lunga e austera – può partire verso quel futuro da tempo sospirato. Il diario comincia dal marzo del 1948.

Il sacerdote aretino parte in nave con il Vescovo e altri missionari, per raggiungere la Birmania, sconvolta da lotte interne contro i cinesi comunisti. Dopo un lungo viaggio, arrivano a Calcutta, poi in aereo a Toungoo: per raggiungere la sua destinazione deve attraversare la giungla, adattandosi a vivere in capanne di bambù e a cibarsi con quello che capita.

Intanto il Vescovo nota in p. Galastri un lavoratore ingegnoso e infaticabile: può essere prezioso nel distretto di p. Vergara a Prèthole, dove tutto è ancora da fare. Gli viene dunque assegnato il posto più difficile e lontano.

“Un colpo di gioia inondò il mio volto. Si parte per la destinazione!”, Intanto le condizioni di anarchia e di disordine nelle quali si trova la Birmania vanno peggiorando. Dalla Cina penetrano i guerriglieri comunisti: assaltano villaggi, incendiano paesi, rubano, distruggono, uccidono. A questi si aggiungono i protestanti battisti, che odiano e combattono i cattolici. I pochi soldati governativi sembrano impotenti. Anche il lavoro missionario diventa impossibile: linee ferroviarie fatte saltare, servizio di camion interrotto dai guerriglieri nascosti. Ed è in questa situazione, a Taruddà, un villaggio cattolico sperduto nella foresta, tra “baracche sgangherate”, che padre Pietro svolge le sue attività: “Roba da matti! – commenta nel suo diario -. Ma ormai ci sono e devo ballare! E… balliamo, a gloria di Dio!”. Nei due anni di vita in Birmania, svolge un lavoro enorme: costruisce edifici in legno e muratura, attrezza locali per la catechesi e altre attività pastorali, senza trascurare l’apostolato, il catechismo, la predicazione.

Con p. Mario cura l’istruzione dei ragazzi, provvede il cibo per gli orfani, e, costruita una piccola chiesa in legno a Taruddà, si trasferisce con il confratello a Shadow: ci sono da costruire e curare la residenza, la scuola, la chiesa, l’orfanotrofio e il dispensario.

In una lettera ai suoi confratelli scrive: “La vita è difficile ma in nome di Dio si tira avanti! (…) Oh, miei cari, in mezzo ai dolori, alle tribolazioni e privazioni di ogni genere, ci si sente sempre contenti, gioiosi. Se c’è un momento di oppressione, subito con uno sguardo in alto, ci sentiamo forti e decisi a tutto!”. Con il passare del tempo la guerriglia si intensifica. Un giorno una banda armata fa irruzione nella capanna di padre Galastri, mentre sta pregando.

Lo prelevano e lo costringono a camminare verso la foresta con le mani sulla nuca minacciando di giustiziarlo. È solo un avvertimento di quello che sarebbe poi accaduto il 25 maggio 1950.

Egli stesso dà notizie di queste cose, scrivendo che “Dio ha così disposto per il bene della missione”.

Elena Girolimoni

L’articolo è tratto dall’ultimo unmero del settimanale diocesano La Voce di Arezzo-Cortona-Sansepolcro – Toscana Oggi