Omelia dell’Arcivescovo nella Messa di Mezzanotte

25-12-2013
Fratelli e Sorelle: 
il  Signore ci dia pace nella notte santa!

1. Vedere la Grazia di Dio che opera nella storia dell’uomo
Questa Notte di nebbia, e di pioggia uggiosa, non ci ha impedito di salire sul colle di San Donato per la Messa di Mezzanotte, che da secoli si dice per Natale. Mi pare un piccolo segno da cogliere con positività. La tradizione di questa uscita notturna è ricca di significato: lasciare la propria casa, anche con un certo scomodo, per andare nella Chiesa madre, la chiesa di tutti gli aretini, è come dire con un gesto, ognuno a suo modo, la volontà di accogliere il dono di Dio: il regalo che Dio ci fa per Natale.
Da secoli san Paolo ripete, almeno a chi vuole intendere, che “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà.”1 Una bontà che salva; una grazia che insegna a ciascuno di noi a fare come Dio: proviamo anche noi ad aiutare chi è nel bisogno, qualunque sia la necessità della persona che ti è accanto: una  vicenda interiore, un bisogno materiale, una storia che comunque è umana.

Arezzo cristiana è tempo di svegliarci e uscire dalle nostre nicchie, anche se i tempi sono difficili, scoraggianti, rischiosi. Cari cristiani vogliamo tornare a fare la nostra parte nella città dell’uomo. Come San Pietro allo storpio2, come Papa Francesco ai giovani in Assisi anche noi vogliamo dire: “Non ho né oro né argento da darvi, ma qualcosa di molto più prezioso, il Vangelo di Gesù”.3 Ci è caro ridire a tutti in questa notte santa che la crisi non ha fatto venire meno la misericordia di Dio, che è invece disponibile verso tutti. Ci è chiesto di riappropriarci della nostra identità, di rinnegare la visione pagana del mondo, che in questi anni ci è stata presentata come l’unica realtà su cui ragionare; ci è offerto di recuperare, con la fede, la determinazione per rimettere noi stessi, le nostre risorse intellettuali, e, per chi ne ha, anche quelle materiali, a servizio del bene comune.
Ognuno faccia il suo e, insieme, si esce fuori dalla nebbia fitta, più fitta di quella di stanotte: la crisi è soprattutto spirituale, valoriale, umana. Tocca a noi tornare a insegnare ai più giovani a guardar lontano. Saremo credibili solo se ci riuscirà di non fare compromessi col male e cedimenti sui principi, se non ci piegheremo alla logica di chi, da lontano, vuole metterci in ginocchio, di chi non ha fatto i conti con la nostra capacità di rimettere insieme la nostra gente. Noi non siamo oggetto da mercato, rassegnati ad essere comprati da poteri forti che tirano i fili di una storia che affoga i piccoli: “Arezzo sveglia, è arrivata l’ora di ricreare nuovo lavoro”. Questo è il momento giusto per tornare a rischiare: è il tempo giusto per “rinnegare l’empietà”4, che è l’egoismo assurto per molti a principio di vita, quando si ripete, gli uni agli altri: “ pensa a te, non ti curare degli altri”. 

2. La famiglia icona del presepe 
Il dono di questa notte santa è farci misurare con Gesù, che si compromette con noi; si fa vicino a ciascuno, portandoci in dono la voglia di rimetterci in marcia su percorsi nuovi, dove la giustizia è resa possibile a chi mette Dio al primo posto. La virtù della pietas cristiana rammentata nella Lettera a Tito, significa, in concreto, ripartiamo dalla famiglia.
Misurandoci con il presepe abitato dalla Sacra Famiglia di Nazareth ci viene voglia di riaffermare il primato dell’amore: l’amore di Dio che si fa piccolo per non farci sgomentare; l’amore di Giuseppe, che accetta il piano di Dio e si fa custode delle meraviglie; l’amore disincantato di Maria, che rischia la vita, per dare la vita al mondo, ma anche a me e a te che stasera siamo qui a contemplare il mistero. 
La nostra visione del mondo parte dall’esperienza della famiglia umana; la stessa Chiesa è famiglia di famiglie: in questa notte della verità vogliamo dire la nostra vicinanza ai giovani che si avviano al matrimonio, ma anche a chi, per mille diversi motivi, porta con sè il dolore di una storia strappata, di una famiglia, che non cessa di avere la poesia di Dio anche se  è incappata in errori e  contraddizioni: noi non vogliamo  giudicare nessuno; vogliamo accogliere tutti, aiutare tutte le persone di buona volontà a ritrovare il percorso giusto, che rende santa la vita e felice ogni storia. La tradizione cristiana ci insegna che la maggiore prova della Sacra Famiglia di Nazareth, arrivando a Betlemme, fu di non essere accolta “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”5. 
Con Maria e Giuseppe, in quei giorni messi in moto dal censimento di Cesare Augusto, anche noi vogliamo riprendere il cammino verso la città ideale che abbiamo sognato nei nostri anni giovanili, come identità a cui non siamo disposti a rinunziare. Betlemme “città del pane” è un riferimento forte, non già quale sfondo di presepi di cartone nelle nostre case, ma di quel luogo della coscienza a cui ci ha richiamato in questi giorni Papa Francesco chiedendo a tutti, che ci sia pane per tutti. Siamo chiamati a farci carico degli altri, per esempio di quei mille ragazzi aretini che ogni mese si iscrivono nelle liste di collocamento. Ma anche dei cinquantenni che hanno perso il lavoro e sono amareggiati e forse disperati. Occorrerà che, chi sa e può, aiuti ad uscire dalla notte in cui ci si sperde, per tornare alla cultura del lavoro, dell’impegno, delle virtù. Natale è ridirci, in questa nostra città bellissima, che vogliamo tornare ad accoglierci vicendevolmente, accettandoci come siamo, per diventare come vorremmo essere, proponendoci l’un l’altro ideali alti che valorizzino le differenze e favoriscano sinergie nuove. 
C’è bisogno di “parole che fanno ardere i cuori. Un dialogo è molto di più che una comunicazione di una verità”6. Ma come spiega il Papa, anche per dialogare occorre volersi bene. Come dono, vogliamo portare al presepio la nostra voglia di recupero e l’impegno a donarci vicendevolmente, a ricominciare da parole che non fraintendano e non dividano. 
Giova che nel saccapane dei propositi mettiamo la forte espressione d’Isaia Profeta che ci invita a riconoscere che “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”7. Tocca a noi decidere se vogliamo davvero tornare ad ascoltare Dio che, pur di dialogare con noi, ha scelto la via dell’umiltà, si è fatto bambino infante – non capace di parlare – perché i vagiti del presepio facciano breccia nei nostri cuori induriti. 
La via di uscita che il Signore ci propone ancora è di caricarci sulle spalle il peso della storia: tornare cioè all’etica della responsabilità, liberandoci dal facile moralismo del nostro tempo. La lezione che vogliamo raccogliere dalla grotta di Betlemme è che Dio ha un progetto per noi, una via che non teme la nebbia. Il Bambino di Betlemme chiede la nostra collaborazione, il nostro impegno, perché diritto e giustizia tornino a brillare sulle torri di questa città “di ferro e di pietra”, come la cantavano, nei loro racconti, i viaggiatori del secolo XIX.

3. Mandati a portare il lieto annunzio 
L’Evangelo di Luca annota tre annunciazioni angeliche: l’Angelo Gabriele fu mandato da Zaccaria a portargli, come dono di Dio, la promessa che avrebbe finalmente avuto quel figlio sospirato per una vita intera; ma il sacerdote Zaccaria, religioso al punto di adempiere ogni precetto della legge, preferì la logica umana e non credette all’Angelo e diventò muto: cioè non ebbe niente più da dire, come quando la Chiesa si dedica solo a fare cerimonie ed esteriorità. 
I poveri Pastori di Beit Sahour, intenti a vegliare nella notte di Natale, come ci dice il Vangelo appena ascoltato, non brillarono di particolare motivazione religiosa, poveri e ignoranti, custodi di greggi, riuscirono però a credere agli Angeli e, messisi subito in marcia,  trovarono Gesù senza scandalizzarsi che Dio fosse deposto in una mangiatoia, povero perfino di fasce, scaldato soltanto dal bue e dall’asinello. 
Santa Maria Annunziata, in terra di Toscana, come anche la dipinge Spinello Aretino, ha sempre in mano la Bibbia. All’arrivo dell’Angelo risponde con la fede dei padri, dicendo che nulla è impossibile a Dio. Il Suo amore verginale di donna piena di Grazia è il modello che vogliamo far nostro, icona e progetto di questa Chiesa che vuole tornare alle occupazioni quotidiane rigenerata dall’esperienza di fede del Natale.
Coraggio aretini, nulla è impossibile a Dio, se torneremo a mettere con fede le nostre mani all’opera, se ci riuscirà di fare digiuno di chiacchiere inutili, se fuggiremo la mormorazione che ci divide, avremo trovato la via del presepe. Non già un tracciato di farina sprecata su muschio di plastica, ma il percorso dell’anima. Non paesaggi irreali e surrettizi, ma un mondo più umano, entro queste antiche mura. Il presepio nella notte è il luogo dove tornare a  costruire insieme la città dell’uomo a immagine della città di Dio.