Omelia dell’Arcivescovo per la Messa con i convegnisti di “Elia da Cortona tra realtà e mito”

19-07-2013

Cari Frati dei Tre Ordini di San Francesco,

distinti studiosi convenuti a Cortona per fare memoria di Frate Elia:

il Signore ci dia pace!

 

Mi piace celebrare quest’oggi assieme a voi la santità che il carisma del serafico Padre Francesco ha fatto fiorire nella Chiesa attraverso i secoli. E’ antico assioma della storia della Chiesa che i Santi rivelano l’identità più vera della realtà di cui furono espressione.

 

  1. Il francescanesimo identità irrinunciabile della nostra Cheisa diocesana

Due principali motivi legano la nostra comunità ecclesiale all’esperienza del Poverello d’Assisi: la sua presenza sul territorio, dove avvennero fatti mirabili della sua vicenda personale. La Verna, Arezzo, Cortona, Montecasale e i moltissimi luoghi che serbano la memoria dei suoi passaggi in mezzo ala nostra gente sono parte di noi. L’opera di valenza soprannaturale e caritativa che i Frati, attraverso i secoli hanno svolto, formando il nostro popolo. Raccolti in preghiera nella Chiesa voluta da Frate Elia, siamo accanto all’Ospedale che Margherita da Cortona avviò, con ineffabile amore verso i poveri e i malati, ritrovata la via di Cristo, con l’aiuto dei Frati. Migliaia di pellegrini ogni anno accorrono presso il Sasso Spicco di La Verna dove “due anni prima della sua morte”1 il serafico Padre Francesco ebbe impressi nel suo corpo i segni della gloriosa passione di Cristo. Nell’Eremo presso Sansepolcro il grande Bonaventura scrisse significative parti delle sue opere. Qua a Cortona, presso le Celle, Frate Elia trascorse gli ultimi anni della sua vita operosissima.

Anche noi invochiamo dal Signore di far assomigliare, almeno un poco, la nostra esistenza a Gesù, paziente fino alla morte, Signore risorto a gloria di Dio Padre. La continua meditazione della Croce, in questi luoghi Santi, è stata invito alla santità per un novero altissimo di cristiani, che in otto secoli si sono inginocchiati nel silenzio delle foreste, nella bellezza della contemplazione, nella dolcezza dell’incontro con Gesù.

La croce gloriosa del Cristo riassume le sofferenze del mondo intero, ma è soprattutto segno tangibile dell’amore, misura della pietà di Dio per l’uomo che, al di là del peccato, mai è abbandonato dal suo Creatore. Anche noi, con il salmista, qua ci sentiamo sollevati dal peso della storia: ”perché le genti sono in tumulto/ e i popoli cospirano,invano?… Ride Colui che sta nei cieli,/il Signore si fa beffe di loro”2. Da queste pietre si innalza la scala di Giacobbe3; noi tutti siamo chiamati a recuperare la dimensione soprannaturale delle cose, a liberarci dal peso del contingente, a tornare ad affidarci completamente al Signore, con cuore libero e perfetta letizia.

Mi piace con voi raccogliere l’eco della poesia, con cui il Poverello d’Assisi riconcilia il mondo intero:” altissimu, onnipotente, Bon Signore Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et omne benedictione”4. La natura intera può essere riscattata, la bellezza può finalmente riflettere, come Luna il Sole, lo splendore del volto di Cristo. Ogni essere umano ha un destino di gloria, attraverso la penitenza, la conversione, la Croce gloriosa di Cristo, il Sangue del Crocifisso torna a vivificare le ossa inaridite dell’Adamo che è in noi, purché ciascuno recuperi il gusto e la gioia di incamminarsi verso la santità.

Varcando questi luoghi benedetti, il mio pensiero vola in alto con voi e si unisce alla preghiera di tutti i francescani e le francescane della terra: Noi ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo qui e in tutte le chiese che sono nel mondo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

 

  1. Unctis oleo laetitiae

Non ci si avvicina ai Santi francescani senza interiorizzare il ritmo dell’absorbeat , che, nella tradizione che vi appartiene, è un’imprescindibile chiave di lettura, per la quale il carisma di Frate Francesco è diventuto quell’irrinunziabile sostegno della Santa Madre Chiesa, che bene intuirono i Papi attraverso i secoli.

La contemplazione è opera della mente, ma non riesce a librarsi in alto senza il supporto dell’amore: “Rapisca, ti prego o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell’amor mio”5 .

In questo ideale pellegrinaggio che stiamo compiendo, lasciamoci guidare da Bonaventura da Bagnoregio , che con il suo Itinerarium mentis in Deum rivelandoci, seguita a mostrarci, il percorso da dettare ad ogni uomo, perché possa avviarsi per le vette dove incontrare Dio benedetto. Innanzitutto il Dottore della Chiesa ci manifesta la sua esperienza, invitandoci alla preghiera. La mente va rivolta alla Passione del Signore, perché il sacrificio della Croce cancella il nostro peccato, mancanza che può essere colmata solo dall’amore di Dio per l’uomo: “ Esorto il lettore, prima di tutto al gemito della preghiera per il Cristo crocifisso, il cui sangue deterge le nostre colpe”6. Per facilitare questo percorso di contemplazione, Frate Elia volle deporre presso questo altare la grande porzione della croce del Signore, da lui portata da Gerusalemme.

Per avere efficacia la nostra stessa orazione ha bisogno delle lacrime, del coinvolgimento interiore, di amore che risponda all’amore. E’ poi necessaria quella admiratio, che il Padre della Chiesa raccoglie dallo stesso Vangelo, quando il popolo degli umili è capace di meraviglia, di fronte all’opera salvifica del Cristo.

Nella linea del carisma di Francesco, la porta di ogni virtù è l’umiltà. Se ad essa non cede l’orgoglio intellettuale della ricerca, oggi come allora, non è possibile raggiungere Dio “e ciò perché [l’uomo]non creda che gli basti la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata7.

La contemplazione del Crocifisso -“propiziatorio sospeso in Croce”- ha una straordinaria efficacia, perché ci fa passare dall’ordine delle cose pensate, all’esperienza vissuta; dalla salvezza sperata, alla patria beata. “Colui che guarda attentamente [il Crocifisso] compie con lui la Pasqua, cioè il passaggio, affinché con la verga della croce attraversi il Mar Rosso, dall’Egitto passando al deserto, dove possa gustare la manna nascosta, e con Cristo riposi nel Sepolcro come morto alle preoccupazioni di questo mondo, sperimentando però… ciò che Cristo in croce promise al buon ladrone: oggi sarai con me in paradiso”8. Questo è il cuore dell’esperienza francescana e il centro della predicazione dei nostri Frati.

Nella nostra terra di Toscana, San Francesco intuì, nella sua stessa persona, che non ha luogo la contrapposizione tra la sequela e la imitatio Christi, nel dibattito medievale, come nei giorni che stiamo vivendo oggi. Non basta dichiararsi cristiani e neppure cercare di compiere le opere che la Scrittura ci suggerisce, nella logica dell’inno alla carità della prima lettera ai Corinzi. Occorre assomigliare a Gesù, con un lento, progressivo impegno di trasformazione del proprio essere, a immagine del Signore, perché, per divina grazia, ogni membra del corpo di Lui, che è la Chiesa, mostri quella necessaria somiglianza con il capo, che è appunto Cristo Signore. Anche in questa delicata materia che è il percorso di ogni giovane per diventare cristiano, l’avvio – come ci insegnano i maestri medievali9 sulla scorta del grande Agostino – è la conoscenza di se stesso: la conformatio

 

  1. Il servizio della vita consacrata nella Chiesa diocesana

I pellegrini che visitano i nostri luoghi francescani alla ricerca di Dio, ci dicono che questo itinerario è la vera ragione per cui la Chiesa esiste: far da ponte tra l’uomo e Dio. La vita consacrata ha lo specifico compito di testimoniare, con la parola e con l’esempio10, questa incantata storia d’amore tra Dio e il suo popolo, attraverso le generazioni e i secoli.

I Santi dell’Ordine ne manifestano in pienezza l’identità, nelle mutate circostanze del tempo e nella cultura con cui espressero il Vangelo nella storia.

Il Medioevo francescano in questa nostra chiesa aretina, cortonese e biturgense impresse un carattere indelebile alle nostre esperienze. I ripetuti passaggi del Poverello d’Assisi e il suo indugiare nel nostro territorio appartengono, come tesoro prezioso, anche a questa Chiesa diocesana.

Da questa cattedra dell’umiltà, rivolgiamo al Signore la preghiera, e ai giovani il pressante invito, perché, chi da Dio è chiamato, risponda con generosità e spenda la propria vita nella consacrazione e nel sacerdozio ministeriale. Come nell’incontro con il giovane ricco, Gesù torna a ripeterci che è l’amore che fa diventare pastori, anche se seguire il Signore costa impegno e fatica. Solo i mercenari si di­sinteressano del gregge. Se vorremo essere veri sacer­doti di Cristo, ci attendono “fatiche, veglie e digiuni, con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità”11: questo è il ministero degli Apostoli e il suo fascino. Questa è la tradizione del ministero nella nostra Chiesa. La Pietà sacerdotale dei secoli ci inse­gna a non salire l’altare invano; a non ripetere solo con le labbra “questo è il mio corpo”. Temiamo d’essere infedeli al mandato ricevuto, se almeno un po’ del no­stro sangue non è stato sparso per le moltitudini: nelle fatiche, nella condivisione del dolore, nel coinvolgi­mento personale con i problemi della gente che ci è affidata. Questa è la doverosa meditazione presso la Santa Croce di Cristo.

Il Signore fecondi con la Sua Grazia il nostro impegno, ci faccia perseverare nell’imitazione di Cristo secondo la tradizione della quale siamo figli e figlie, e ci ottenga che il popolo, incontrandoci, possa percepire ancora l’esperienza incantata di trovare Francesco.

 


 

1 Celano, Vita Prima, III, 94

2 Sal 2, 1.4

3 Cfr. Gen 28, 10-22

4 Scritti di San Francesco, Cantico di Frate Sole, 1; in FF[263]

5 Scritti di San Francesco, preghiera”absorbeat”, 1;in FF[277]

6 San Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum, Prol. 4

7 Idem Ibidem

8 Idem, Itinerarium mentis in Deum, Cap VII, 2

9 Cfr Meister Eckhart, sermone haec est vita aeterna, «Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso.»

10 Sant’Antonio di Padova, Sermoni, I,226:”Cessent, obsecro, verba, loquantur opera”

11 II Cor 6, 5-6