Impariamo dal beato Gregorio X che si mise a servizio dei poveri

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La Chiesa ricorda oggi, nel Vangelo di Luca, il Battesimo del Signore e il vescovo Riccardo ha iniziato così la sua omelia in Cattedrale, questo pomeriggio: “ Il fiume Giordano che scorre, Giovanni che battezza quanti vogliono essere diversi dalla mentalità corrente, Gesù che si mette in fila con il popolo ma è riconosciuto da Giovanni. Dio Padre che dà la testimonianza al Figlio prediletto: lo Spirito che come colomba che scende sul capo di Cristo ne suggella la missione”. 
Elementi questi del brano del Vangelo di Luca che hanno offerto a mons. Fontana lo spunto per riflettere sul rapporto tra Dio e l’uomo affermando che ‘non riescono ad essere indifferenti’ e che “il rapporto tra l’uomo e Dio è un tema che non è possibile rimuovere dall’esperienza umana”. Neppure il peccato riesce a sconvolgere il progetto di Dio. “Chi si proclama ateo rischia di cedere al mito della cultura, come l’antico Prometeo – ha sottolineato mons. Fontana – , ma per questo non cessa di essere figlio di Dio. Tantomeno la moltitudine distratta del nostro tempo, catturata dalla semplificazione informatica, ma poco pratica di interiorizzazione”.  

L’uomo ricerca la giustizia e sostiene il fascino perenne del bene: pur di fare il bene acquista fascino anche donare la vita per amore degli altri, come sa bene ogni madre che, partorendo, accetta di rischiare la propria vita per la propria creatura. Ma è un rischio che accetta volentieri, in nome della vita. 
Nella storia della Chiesa abbiamo molti esempi di cristiani che rimasero impavidi di fronte alla violenza che li privò della vita, come Lorentino e Pergentino, protomartiri della Chiesa aretina. 
E, sottolinea mons. Fontana, “il tema è di straordinaria attualità anche nel nostro tempo. Il diritto della coscienza è la forza che ha sovvertito tutte le dittature del male: il vangelo predicato agli oppressi dona la forza di resistere”.
“La meraviglia di Dio che si cura dell’uomo è la ragione più profonda dell’antropologia: ‘Che cosa è l’uomo perché te ne curi?’ .Trova la sua piena ragion d’essere con l’Emmanuele. Dio vedendo che l’uomo da solo non riusciva a venire a capo delle conseguenze del peccato ha, mandato il suo Figlio Gesù a immergersi, coinvolgersi, nella vicenda umana per riscattarla per la via dell’umiltà, della croce, della pazienza fiduciosa che Dio non abbandona. Questa è  l’esperienza del Dio con noi, l’Emanuele, con cui la Chiesa conclude quest’oggi il tempo di Natale, con il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano”.
Il cammino dell’uomo verso Dio e il cammino di Dio verso l’uomo si uniscono nella persona e nella missione di Gesù, che è rivelata nella teofania del Giordano. “Il battesimo è l’esperienza del coinvolgimento e della purificazione: la sete della giustizia fa uscire molti dal quotidiano, dalla città, e fa andare nel deserto, la introspezione, dove ciascuno scruta se stesso, si assume le proprie responsabilità e, con ciò stesso prende le distanze dal peccato, si purifica”.
Il tema della festa di oggi ha dato efficacia al desiderio umano di coscienza e di purificazione: come una autocritica diventa efficace per l’aiuto di Dio. Giovanni, il profeta, annunzia la novità dell’esperienza del Cristo, dicendo che Gesù è più forte, la forza di Dio che riesce in ciò che noi falliamo. “Battezzare, cioè immergere coinvolgere la persona con acqua è un gesto significativo del bisogno della giustizia-purificazione: un proposito, un auspicio”. “Gesù, il figlio prediletto di Dio che apre i cieli, è motivo di compiacimento per Dio. E’ la vittoria dell’uomo, di ogni uomo, con la forza di Dio. Per questo Gesù è “più forte di me”.  Di lui ci possiamo fidare perché ha accorciato la distanza tra Dio e l’uomo, ha coinvolto Dio nella storia dell’uomo. L’annunzio cristiano del “cielo che si apre” è la vera grande novità: la buona novella, la bella notizia da annunziare anche a questa generazione”.
La celebrazione di oggi ha avuto un significato speciale per la Chiesa aretina, perché oggi si ricorda la morte di Beato Gregorio X (“giorno del suo pio transito da questa città al Paradiso”), avvenuta il 10 gennaio 1276.
“Tedaldo Visconti, piacentino, ebbe la ventura di vivere in un periodo complesso e difficile, – ricorda il vescovo Riccardo -. A lui toccò, negli anni in cui resse la Chiesa romana, di portare un raggio di luce, un segno di pace, rinnovato entusiasmo per l’impegno dei cristiani nel mondo. Centottantaquattresimo Papa della Chiesa cattolica, fu eletto ben dopo 1003 giorni dalla morte del suo predecessore. I Cardinali a Viterbo non trovarono un accordo finché non elessero Tedaldo, neppure sacerdote, però noto nella Christianitas medievalis per il suo zelo, la sua probità e la santa vita messa al servizio del Vangelo. Tedaldo, aveva svolto per anni la missione di mediatore, per comporre le liti, scongiurare le guerre, difendere i più deboli, finché non toccò a lui in prima persona esporsi e operare per il bene comune. Per difendere la Chiesa aveva viaggiato per moltissimi anni. Era in Terra Santa, ideale riferimento alla santa umanità del Signore, luogo teologico del cristocentrismo medievale, quando gli arrivò la notizia che il 1 settembre del 1271 i cardinali lo avevano votato Papa. Fu sconvolto, ma per fede si lasciò coinvolgere. Corse a Gerusalemme e nella preghiera si fece carico del Sommo Pontificato, per amore di Gesù. E lo fece davvero per amore del Signore! Gerusalemme diventò il riferimento della sua storia, non per le vaghe ragioni della politica, ma per ricomporre l’unità della Chiesa, in un tempo in cui i “Principi cristiani”, ma forse cristiani non lo erano più di quanto vediamo oggi, tendevano più ad affermare i propri interessi che a improntare la società sul modello evangelico.  La santità di Gregorio X contribuì in modo significativo a ricompattare la Chiesa, a misurarsi, attraverso la terra del Signore che anche allora era sconvolta da mille sofferenze come ora, con la propria identità: attraverso la umanità del Signore, fare verità nella propria vita e nella edificazione del Regno di Dio. Fece voto. Prima di lasciare la Terra Santa si ricorda che, sui ritmi del Salmo 136 abbia giurato: “Mi si attacchi la lingua al mio palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”. Da allora, per il resto della sua vita, la terra di Gesù e ciò che essa significa – Gesù vivo, risorto, presente in mezzo a noi – divenne il riferimento immediato del suo ministero. Si impegnò con tutte le forze a ricomporre le divisioni e gli riuscì persino di rimettere insieme con noi, per qualche tempo, la Chiesa d’Oriente, divisa da Roma nelle ferite dello scisma!
Gregorio X volle i vescovi vicino alla gente e donò il necessario per costruire questa splendida cattedrale dentro le mura urbiche. Il Papa che qui attende la Resurrezione ci interpella ancora oggi sull’opera della Chiesa e l’incidenza della fede nella nostra città. Questo è il senso della celebrazione odierna”. 
Non è mancato un ricordo personale dettato dalla recente visita di Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, lo scorso 26 ottobre, allorché si fermò in preghiera di fronte alle spoglie mortali di questo grande Papa. “Mi sono profondamente commosso – ha confessato il presule – davanti a quel gesto di Bartolomeo. L’attualità del messaggio è palese. La sfida anche per questa nostra comunità aretina è esaltante e aiuta a recuperare le grandi vedute che ci porteranno fuori dalle difficoltà del presente. Gregorio X è il Papa di Marco Polo e del primo contatto la Chiesa e la Cina. Per le nostre piazza passarono queste misure e ci danno ancor oggi coraggio. Predicare il Vangelo ad ogni creatura, “purché…in ogni maniera Cristo venga annunziato” è un programma di vita che si fonda sulla certezza che i valori cristiani hanno una intrinseca capacità di risanare la città dell’uomo”.
E allora cosa possiamo noi oggi imparare dal Beato Gregorio? 
“Che le diversità sono una ricchezza; solo le divisioni sono opera del maligno – ha sottolineato con forza mons. Fontana -. Le relazioni anche con le culture più lontane sono una risorsa, l’accoglienza degli altri una via da percorrere. Il tema ha ancora una grande attualità nella nostra terra e ci induce a riflessioni che meritano di essere privilegiate, laddove si cerchi davvero il bene comune e la difesa dei più piccoli”.
 
Quanto è attuale il messaggio di Gregorio X?  “Con coraggio si mise alla difesa dei poveri. Mise la scomunica a chi avesse provato a fare l’usura, che è un male terribile, sempre in agguato. Quando l’economia si fa incurante dei bisogni dei piccoli, quando si mina la sopravvivenza dei meno abbienti e, pur di raggiungere i propri scopi, si ignora il disagio delle fasce più deboli della società non vi può essere la benedizione del Signore”.
 
“Nel secolo XIII così come oggi la sfida per i cristiani intenti al bene comune è praticare la via del Vangelo, non solo parlarne. Il Papa che veneriamo per la sua santità ci insegna il dialogo e l’apertura verso il mondo: la nostra missione è quella di evangelizzare, non di condannare. Ci insegna a non avere paura, pur di annunziare Gesù! I santi ci insegnano a svegliarci, a uscire dal sonno, ad avere il coraggio delle riforme, il coraggio del nuovo. Il resto viene con certezza, perché dietro c’è il Signore con la sua potenza. La gloria di Dio risplende davvero nei suoi Santi. Come a loro, anche a noi battezzati, cioè coinvolti con Cristo nello Spirito Santo, tocca di fare lo stesso”, ha concluso l’arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro davanti ai fedeli riuniti questo pomeriggio in Cattedrale, alle 18, alla Santa Messa in onore del co-patrono di Arezzo, Beato Gregorio X.