che insieme al tuo futuro sposo sali in Duomo a venerare la Madonna del Conforto,
figlio in cerca del senso delle cose,
pronto a metterti in cammino assieme ad amici e coetanei pieni di ideali e di speranza,
Ti scrivo questa piccola lettera per dirti le aspettative che la nostra Chiesa ha in questa fase della sua lunga storia e la collaborazione che ti chiedo per aiutare la generazione nuova a conoscere Gesù e il suo Vangelo (scarica la lettera in formato pdf).
1. Maria, ricevuto l’annunzio dell’angelo, va ad aiutare Elisabetta
La Chiesa prende consapevolezza della sua identità ed esce dalle sagrestie, per andare incontro alla gente. Come Maria di Nazareth, che è il modello di molte generazioni cristiane: prima di te molti si sono affidati alla Madonna, meravigliandosi poi di ritrovarsi felici. Il pellegrinaggio aiuta a recuperare il senso delle proprie scelte e a trovare la via per vincere il tarlo che ogni uomo porta nel cuore. C’è voglia di cambiare il mondo, ma anche di cambiare se stessi, di non condannarsi a essere insicuri, ansiosi, irrequieti.
Maria si incontrò con l’angelo Gabriele, che era venuto a cercarla. Un colloquio sconcertante e bellissimo: la giovane donna di Nazareth credette a Dio e al suo angelo. La nostra tradizione cristiana rappresenta sempre l’Annunziata con la Bibbia in mano, quasi per dirci che, per capire il linguaggio di Dio, bisogna essere avvezzi alla sua Parola, come ognuno fa con le lingue altrui: se vuoi imparare a capire cosa ti viene detto, occorre con pazienza imparare ad ascoltare chi parla la propria lingua. Per questa via, poco alla volta, si diventa capaci di capire e di esprimersi.
Maria nel suo dialogo, senza irragionevoli adesioni all’ignoto, si misura con Dio e accetta la proposta di diventare la madre del Verbo: non si perdette d’animo per le difficoltà. Accettò di compromettersi per Dio. Non si fa niente di grande senza compromettersi. È da quella volta che il popolo cristiano si convinse che la Madre di Dio comprende e aiuta anche noi, figli della Chiesa che Gesù le ha affidato: capisce ed è pronta ad aiutare anche te. A Dio disse “fiat” che è come dire “sì”. Aiutò Dio con la sua decisione.
Se glielo chiedi, è disposta ad aiutare anche te ad uscire dall’egoismo di non comprometterti mai, di non prendere decisioni che coinvolgono in modo definitivo la tua vita, perdendo, con la tua indecisione e le tue paure, tempo prezioso. Come vuoi spendere la tua vita? Se pensi solo a te, non concludi nulla di veramente significativo: entra nella logica dell’amore e del dono di te e sarai realizzato e felice. Non essere come la cicala che canta d’estate e non si rende conto che, con il suo non far niente, si condanna da sola a morire di solitudine e di fame d’inverno. Ci sono anche oggi uomini cicala, tristi, anche se vogliono apparire giocosi, belli e sfaccendati.
Maria di Nazareth ascoltò, capì, reagì da Madre di Dio. Non si mise in trono, non cercò angeli che la servissero. Appena consapevole della sua storia si mise in cammino per aiutare chi era nel bisogno: Elisabetta sua cugina che, ormai provata dagli anni, era incinta, in attesa di Giovanni Battista. Non la fermarono né la fatica, né la lontananza, né le incertezze degli insicuri. Come uno scopre di aver Dio con sé, è naturale che si metta al servizio del prossimo, di chi ha bisogno. Dice il Vangelo: “va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37).
2. Buoni come un angelo: mandati a portare un lieto annunzio, come l’angelo Gabriele.
Le tre annunciazioni del Vangelo di Luca – a Zaccaria, a Santa Maria e ai pastori – sono unite da un filo d’oro, che è l’obbedienza a Dio.
Zaccaria, con tutta la sua religiosità di sacerdote dell’Antico Testamento, non accettando la logica di Dio, diventò incapace di parlare, come la Chiesa che, se volesse sentirsi paga di riti e di cerimonie, non avrebbe più nulla da dire alla gente. Maria, con il suo coraggioso consenso al progetto di Dio, diviene madre, generando per noi il Salvatore.
I pastori, all’annunzio dell’Angelo, non si lasciano fermare dalla notte e dal rischio: accorrono al presepio e trovano Dio.
Dio propone a ciascuno di noi un progetto. Se lo accetti potrai dire anche tu “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome” (Lc 1,49). Solo chi ne ha fatto esperienza può dire quanto le proposte di Dio siano davvero alternative. Solo chi si è compromesso con il Signore può raccontare la meraviglia di storie, magari dure, ma bellissime. Anche oggi capita ai ragazzi di dover scegliere se essere disponibili a Dio o cercare piuttosto se stessi.
La vera tentazione è cercar se stessi, anziché il bene comune. Il paganesimo del nostro tempo è andare in cerca del bene per sé, come Eva nel paradiso terrestre. Maria ci insegna a donarci, qualunque sia la nostra vocazione di cristiani. Saliamo da pellegrini fiduciosi alla Madonna del Conforto per imparare la logica del dono. Un antico canto medievale recita: “Quod Eva tristis abstulit, tu reddis almo germine – quanto Eva, incapace di gioire, ci tolse, tu, o Maria, ci rendi con il tuo grande Figlio”. Miei giovani amici, anche noi dobbiamo imitare la Madre di Dio. Appena si è presa coscienza d’essere amici di Gesù, è naturale farlo capire agli altri, con scelte di vita coerenti, dando spazio al servizio verso chi è in difficoltà, facendo comprendere a tutti che Dio è Padre. Questa avventura interiore di consapevolezza è un viaggio nell’anima, che fa scoprire tesori inesplorati dentro di sé. È anche un percorso che trasforma la persona, valorizzando le risorse, facendo diventare chi così fa sempre più simile al Signore. Sul sacro monte di La Verna, san Francesco ci ha fatto scoprire il fascino dell’avventura cristiana: non basta dirsi amici di Gesù; occorre poco per volta, giorno per giorno, imitarlo, fino ad assomigliargli.
Mio giovane figlio, mentre la tua vita si fa cristiana, ti accorgerai che anche il tuo cuore si trasforma: da amico di Gesù, passa a essere suo apostolo. So di gente giovane che, per questa strada, è diventata buona come un angelo.
3. Santi controcorrente: il segreto di Pier Giorgio.
Studente di ingegneria al Politecnico di Torino, poco più che ventenne, pieno di amici e di amiche, sportivo, divertente, cercato ogni giorno dagli altri, Pier Giorgio Frassati volle di più. Erano i primi anni del Novecento. Suo padre, fondatore del giornale La Stampa di Torino, era amico del re; ricco e potente, ma non interessato al Vangelo. Sua madre, pittrice svogliata e signora di molti salotti, era rintanata nel suo mondo; non aveva molta attenzione per i figli. Pier Giorgio sarebbe dovuto crescere come uno dei giovani ricchi del suo tempo, di quell’Italia in cerca di avventure politiche, dopo la terribile prova della Grande Guerra.
Invece, amabilmente ribelle, si piccava di essere libero, per nulla preoccupato di essere alternativo. Gli riusciva assai bene di combinare la passione per la montagna con le tante storie del suo universo giovanile. Morto da santo, giovanissimo, per aver contratto una terribile malattia andando a fare carità, gli riuscì di essere perfino frenato agli occhi dei censori ecclesiastici, per la passione con cui le sue coetanee parlavano di lui, palesemente affascinate dal bellissimo Pier Giorgio.
Ma Pier Giorgio aveva un suo segreto tesoro, capace di alimentare il suo modo di essere, sorgente del suo essere alternativo. Una volta suo padre si inquietò davvero: per il suo compleanno da maggiorenne, con molta arte e carineria, si era fatto regalare una macchina sportiva, lucente, costosa, elegante: di quelle, insomma, che i ragazzi ricchi anche oggi riescono a farsi comprare dai genitori, impegnati in altre cose, forse per farsi perdonare di non essere accanto ai figli e ai loro problemi. Pier Giorgio ottiene la macchina, la vende il giorno dopo, ricavandone un sacco di soldi, da spendere tutti in carità. Al suo diario confida: “Tanti soldi quanti mio padre mai mi avrebbe dato per far mangiare i poveri”.
4. Un Vangelo sgualcito, ovvero la Parola interiorizzata.
Quando ti capitasse di andare a Pollone di Biella, nella camera dove Pier Giorgio morì, tutto è ancora come lui lo lasciò quel giorno: i suoi scarponi da roccia, la piccozza, le foto dei suoi amici sparpagliate sulla scrivania. Anche sul comodino da notte, accanto al letto c’è un piccolo vangelo tanto sgualcito, che ti salta agli occhi; un vangelino da due soldi, che era diventato il tesoro del giovane: letto e meditato, pregato e contemplato nella meraviglia di una storia personale di uno studente amato dalle sue amiche, pieno di amici e di interessi, ma, nondimeno, amico di Gesù, intento ad assomigliargli.
Dal diario di Pier Giorgio si ricava un altro tassello del suo vissuto. Diventato sufficientemente grande da potersi muovere da solo a Torino, prese la consuetudine, ogni mattina, di andare a fare la comunione, prima di andare a scuola e poi all’università. Ogni giorno. La ragione del suo mettere la Messa al primo posto sta nelle sue scelte di vita: allegro, giocoso con gli amici, aveva imparato a dialogare con l’amico Figlio di Dio.
La preghiera è sempre una risposta a Dio che parla per primo, attraverso la scrittura, la sapienza della Chiesa, il pensiero dei grandi, ma anche i fatti quotidiani e le circostanze della vita. Se impari a uscire dall’egoismo, se la smetti di pensare solo a te stesso, se impari a farti cibo per chi ha fame, a donarti, allora sarai con quella compagnia degli Apostoli alla moltiplicazione dei pani, insieme con Gesù. Si tratta di una scelta di coerenza, non di abitudine.
Al magistrato romano, i santi martiri di Abitene dissero “sine dominico non possumus”, cioè senza il Sacramento del Signore, non sappiamo vivere. È una proposta anche per te, mio giovane pellegrino ai piedi della Madonna del Conforto. Qual è il dono che ti aspetti dalla Madre di Gesù, se non quello che, come a Cana di Galilea, alla festa di quel matrimonio, Maria torni a dire anche a te: “fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Gesù, il tuo amico fin dalla giovinezza, è il Signore: puoi fidarti di lui.
Per essere credibili innanzitutto di fronte a noi stessi, ma anche per meritare credibilità di fronte al prossimo, a cui vogliamo ripresentare il Vangelo di Gesù e la sua Chiesa, occorre essere concreti. La scelta di essere cristiani deve avere il sapore dei fatti compiuti. Non bastano i propositi. Occorre tradurre le buone intenzioni in gesti che abbiano il sapore del reale, i tempi delle cose già avvenute, quasi che ad ispirarci sia sempre la parabola dei talenti (Mt 25,16-30).
La carità è dono di Dio, virtù teologale, ma è anche la fattiva risposta dell’uomo di ogni tempo a Dio che ci interpella nei bisogni del prossimo. I poveri saranno sempre con noi, giacché i bisogni della persona sono molteplici, non solo materiali. Anzi, all’origine delle necessità per cui le persone si trovano nel bisogno, c’è quasi sempre una motivazione interiore. I nostri fratelli del Medioevo, preoccupati di dare una forma mnemonica e simbolica alle loro formulazioni, avevano fissato le opere di misericordia nel celebre settenario: elencando i bisogni materiali e quelli spirituali, sulla scorta della Sacra Scrittura. Insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Le opere di misericordia sono azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali. Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come pure perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame, nell’ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti. Tra queste opere, fare l’elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica 2447).
Quando Papa Giovanni Paolo II volle che si riprendesse il processo sull’eroicità delle virtù di Pier Giorgio Frassati, molte associazioni si fecero avanti, perché la sua giovane vita non gli aveva impedito di fare Azione Cattolica, d’essere membro della FUCI, della Conferenza di San Vincenzo e di altre ancora. Pier Giorgio trovava il tempo per andare a cercare i poverelli della sua Torino, gli anziani, gli handicappati e quanti avevano bisogno. Festoso, ameno con i suoi giovani amici, fedele amico di Gesù, lo servì anche nei poveri fin quando una poliomielite fulminante, forse contratta andando a trovare gli ammalati, se lo portò in Cielo, da dove vuole aiutare anche te, che mi hai letto finora e che spero tu raccolga, anche da questa mia piccola lettera, il testimone per correre bene la tua frazione nella staffetta della storia, che ora tocca a te.
5. C’è bisogno di Santi nuovi
Fin qui la sensibilità e la testimonianza comprensibile alla mia generazione di cristiani; ma mi rendo conto che voi ragazzi del Terzo Millennio avete bisogno di misurarvi con Santi in qualche modo vostri contemporanei, che sappiano esprimere la scelta cristiana nel contesto della globalizzazione, siano capaci di districarsi con i linguaggi di oggi, senza esserne facili prede. Santi così dobbiamo chiedere al Signore di donarcene, non tanto dal passato, che l’accelerazione della cultura contemporanea non ha ancora permesso che si formasse, ma dal vissuto ecclesiale: potrebbe capitare anche a qualcuno di voi di diventarci.
Mi rendo conto che molti sono affascinati dal mondo virtuale e dai social networks, ancor più che dalla conoscenza paziente e faticosa del reale. So bene che migliaia di presunti amici incantano chi soffre per il tarlo di una solitudine esistenziale, che potrebbe esser facilmente superata con la semplicità e l’umiltà di entrare in relazione con le altre persone. Non è la prima volta che il mondo delle maschere illude chi patisce l’insicurezza ed è stato cresciuto in una sorta di relativismo, che lascia poco spazio ai valori.
Eppure anche tra i pellegrini di questo Millennio conosco molti giovani amanti del Vangelo sine glossa, capaci di donare se stessi a Dio e agli altri, in semplicità e letizia: forse siete anche voi i nuovi testimoni di Cristo e, per le vostre scelte, già candidati alla santità. Questa dimensione dell’essere deve passare, cari “giovani atleti di Cristo”, attraverso le mille prove della vita, non come i personaggi della sfinge di Eschilo e di antiche mitologie, ma come ogni uomo e ogni donna timorati di Dio, che non temono di porsi di fronte alle difficoltà della vita. Se così agirete, la vostra esperienza si riempirà davvero di luce. Siete già santi per la grazia battesimale, tocca ora suffragare questa condizione, gioioso dono dello Spirito, con una vita quotidiana capace di farvi riconoscere come amici di Gesù, nelle gioie e nelle speranze di un vissuto cristiano.
La tentazione più grande del tempo che stiamo vivendo è l’individualismo. Occorre recuperare, come nelle generazioni precedenti e nei Santi della mia giovinezza, la qualità del dono e della dedicazione al Signore e al Suo popolo, spendendo la vita per amore, sul modello di Gesù.
Vorrei dire anche ai nostri ragazzi, che hanno fatto o fanno esperienze parrocchiali, di vivere questo impegno come un servizio, non come un luogo di autogratificazione: non siete apprezzabili perché avete trovato un gruppo di giovani ragazzini che vi stimano come eroi, ma perché nel silenzio e talvolta nelle difficoltà offrite la vostra capacità di animazione al gruppo che vi è affidato, senza altro cercare che la gloria di Dio.
Occorre passare dalla logica del fare a quella dell’essere. Un cristiano trova in Dio la sua pace e non nel moltiplicarsi delle occasioni frequentate. Ti qualifica come amico di Gesù la tua coscienza retta e santa, non il numero di GMG a cui hai preso parte, di ritiri organizzati, di incontri ed altro. Non confondere il dono di Dio con le possibilità di esperienze che ti sono state preparate. Se vuoi essere un testimone del Risorto, esci dalla passività, smetti di essere spettatore, pronto più a criticare, che a coinvolgerti. Fatti carico delle tue responsabilità. È necessario avere il coraggio di fidarsi di Dio, che creò il mondo con potenza, ma lo salva con pazienza. Per progredire verso la santità, serve molto saper aspettare, non bruciare le tappe di un cammino che fa diventare adulti e cristiani.
Lasciatevi interpellare dagli eventi e dalle esperienze dei vostri amici. Chiedetevi perché vostri compagni di marcia, con i quali avete condiviso “pondus diei et aextus” (Mt 20,12), un tempo decisamente impegnati come voi al servizio di Dio e della Chiesa, ad un certo momento della loro vita, correndo dietro a sogni di relazioni probabili, lasciano andare tutto il loro vissuto cristiano, perché hanno bisogno di affetto, di soddisfazione, di gratificazione. Forse avevano confuso l’oro con la paglia: la loro dimensione cristiana forse riguardava più il fare che l’essere. Anche questo è un demonio che porta via i ragazzi dal gregge di Gesù.
Puntate sulla formazione personale e sarete forti e liberi amici del Signore. Ricordate la parola della Scrittura: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”(I Cor 10,13). In umiltà, senza giudicare nessuno, ma traendo dalle vicende degli altri doverosi insegnamenti, cercate di non fuggire a voi stessi. Non confondete il virtuale con il reale, il mondo dei propositi, con l’esperienza di vita nella quale si dà testimonianza a Gesù. Non siete disposti a giocare voi stessi per il Regno di Dio se, le esperienze vissute nella Chiesa, vi lasciano tranquilli quando, a vostro comodo, fuggite dalle scelte di vita.
Dio opera anche quando sembra che non sia presente. L’apparente silenzio di Dio fa molto soffrire, perché si ignorano i suoi progetti e poco ci si fida di lui.
A questo proposito voglio raccontarvi la storia del Padre Gesuita Franciscus Van Lith, primo evangelizzatore dell’area centrale di Java. Con l’obbedienza che distingue i gesuiti, nel 1896 dall’Olanda, sua terra d’origine, fu inviato missionario nel Vicariato Apostolico di Batavia, nelle Indie Orientali Olandesi. Non esisteva ancora il Canale di Suez. Per arrivare da Rotterdam all’odierna Jakarta ci volevano mesi. Passato il Capo di Buona Speranza, sul veliero dove era imbarcato, pur pregando, il giovane religioso fu profondamente tentato dalla disperazione. Fece il voto di Giona profeta: chiese a Dio di farlo finire nel ventre di una balena, piuttosto che andare in Asia. Ma Dio non lo permise. Ebbe anni pieni di prove, la sua predicazione sembrava non avesse effetto, la sua missione pareva sterile. Non perse la fede. Ormai non più giovane, durante un furioso incendio nella foresta dove aveva la sua povera casa di legno e la piccola chiesa, tutto andò distrutto, fuorché la sua abitazione: in risposta alla preghiera del missionario, le fiamme si fermarono alla palizzata che circondava la casa dei Gesuiti, senza fare alcun danno. Parve quasi un miracolo. Poco dopo un gruppo di ragazzi chiese il Battesimo: erano i primi risultati della sua vita di missionario. Si rese conto che Dio lo aveva scelto, come Paolo, quale “strumento eletto per portare il mio nome davanti ai popoli” (Atti 9,15). Tra quei ragazzi allora battezzati dal padre Van Lith vi furono mons. Albertus Soegijapranata SJ, primo vescovo nativo in Indonesia, e J. Kasimo, leader cattolico dell’indipendenza della nazione indonesiana, fondatore del Partito cattolico e membro dell’esecutivo del primo governo libero; vi fu il fondatore del giornale cattolico di quel vasto arcipelago e il primo preside dell’Università Cattolica Atma Jaya. Dalla pazienza operosa dell’antico missionario venne la prima vera compagnia di cattolici indonesiani, capaci di sostenere la Chiesa nascente. Davvero Dio opera anche quando sembra che non ci sia: i suoi progetti sono diversi dai nostri, ma mirano sempre a un maggior bene. Coraggio, miei giovani amici, non temete: fidatevi di Dio.