Con senso di trepidazione e di speranza, come ogni vescovo che avvia il momento più significativo del proprio ministero itinerante, anch’io faccio mie le parole dell’Apostolo Paolo: “Desidero ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io”.[1]
1. In cammino insieme
Una visita pastorale: perché? Mettersi in cammino comporta misurarsi con nuove esperienze, incontrare persone con cui dialogare, condividere situazioni. Per ogni uomo adulto avviare un percorso ha anche un valore interiore: è mettersi alla ricerca del senso delle cose e avere modo di verificare un po’della propria storia con i compagni di viaggio e con quanti si troveranno lungo la via (scarica il testo della Lettera).
Per il vescovo che va a visitare le comunità cristiane e i contesti dove le proprie figlie e i propri figli vivono è come ricevere un dono. È anche un impegno a essere “pronti a rispondere a chi vi domandi ragione della speranza che è in voi”.[2] È come riprendere le consuetudini degli Apostoli che, dopo aver incontrato Gesù, spesero la vita visitando le Chiese che nascevano e crescevano ad opera della predicazione del Vangelo e della Grazia dello Spirito Santo.
È anche un modo per partecipare alla missione a cui tutti siamo chiamati, come attesta il Vangelo. In modi assai differenti dal passato, oggi accanto ai cristiani ci sono altri ancora da incontrare, per raccontare la nostra esperienza a quanti vorranno ascoltarci.
Siamo sicuri che, se avremo come compagna di viaggio l’umiltà e bandiremo ogni retorica per fare spazio alla parola di Gesù, sarà possibile accorgerci che il desiderio di incontrare Dio è più diffuso di quanto si afferma nei luoghi comuni. Chiedo a chi vuol camminare con me di aiutarmi ad ascoltare, a riconoscere e ad apprezzare ciò che il Signore opera nel cuore della gente, senza accaparrarci neppure delle consonanze ideali, che con molti troveremo, pronti ad apprezzare anche le differenze di vedute e le scelte altrui. Nella visita che tra breve comincerò, spero che mi capiti come a san Pietro nella città di Giaffa – anche lui forse era in visita pastorale – quando gli apparve una tovaglia scesa dal cielo con animali d’ogni specie, anche di quelli che agli Ebrei non era lecito mangiare. A chi al suo ritorno gli contestava di essersi intrattenuto con quanti non erano osservanti della Legge di Mosè, dice una parola che vorrei fosse lo stile del mio andare tra la gente: “Chi ero io per porre impedimento a Dio?”.[3]
2. Ridire a tutti il Vangelo
Per un atto d’amore, Dio si è fatto vicino all’uomo nella povertà di Betlemme. Si è manifestato agli angeli, ai pastori del presepe, ma anche ai santi Re Magi. L’Epifania, che scegliamo come icona di questa Visita Pastorale, ripete nel tempo la volontà di Gesù di farsi presente a tutti, vicini e lontani, donne e uomini del popolo, come ai dotti e ai grandi della Terra. La logica dell’Incarnazione manifesta l’attenzione di Dio per il genere umano ed è la missione che il Cristo ha affidato alla sua Chiesa.
A ciascuno il suo compito: nella comunità dei fedeli di Cristo nessuno può ritenersi dispensato da raccontare, con delicatezza e rispetto per gli altri, ma anche con la concretezza che ci rende credibili, l’esperienza fatta nel rapporto con Dio: è un servizio al Signore che va fatto nel proprio ambiente, come pure alle genti. È un contributo da rendere agli uomini e alle donne del nostro tempo, come chi, avendo trovato nell’esperienze cristiana la via d’uscita dal vicolo cieco in cui molti si trovano con sofferenza, volesse aiutare a trovare la strada a quanti sono interessati a cercarla. Il popolo di Dio, con responsabilità diverse tra laici e ministri ordinati, si fa carico di far giungere al più largo numero possibile di persone
In questo passaggio della nostra storia comune, dove molti sono scoraggiati, come l’Angelo del Vangelo, mi piace ripetere ad ogni persona che incontro: “Sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annunzio”.[5]
3. Vicini alla gente
Farsi vicino alla gente è il senso della Visita Pastorale. Il mio proposito è, per quanto possibile, incontrare tutti quelli che vorranno farsi raggiungere. A cominciare dai poveri e da chi ha la sofferenza nel cuore o per la salute che viene meno. Vorrei anche andare a cercare le ragazze e i ragazzi, che sono il dono di Dio e la prova che il Signore non ci abbandona: sono loro, con la vivacità che appartiene all’età più fresca, il segno della speranza. Ho molta fiducia nella nostra gente giovane. Mi piacerebbe donare ai figli un po’della mia certezza che Dio non abbandona, che anzi si fida di loro. Sì, ci è chiesto di fare spazio alla generazione nuova. In concreto, occorre aiutare i più giovani di noi a realizzarsi nella giustizia e nell’impegno, a costruire un mondo un po’più bello di quello che abbiamo saputo fare noi. I ragazzi ci fanno giungere la sfida di Dio, perché ai genitori, alla comunità cristiana, alla scuola e alla società intera non è lecito venire meno al compito di formare uomini e donne liberi, significativi e forti.
Vorrei dire a tutte le famiglie, soprattutto a quelle che si sono formate da poco, di affidarsi all’amore di Dio. A quelle che hanno problemi, di non disperare; di non allontanarsi dalla Chiesa, che vuole essere madre capace di capire, anche al di là di quello che ci si potrebbe aspettare. Gli anziani, i nonni, possono davvero far coro con me, per raccontare che, anche dalle situazioni più complesse, il Signore ci ha fatto uscire tante volte nella vita: ne siamo testimoni, avendo vissuto molti anni.
Naturalmente tra i primi obiettivi della Visita Pastorale vi è di incontrare le comunità cristiane nelle parrocchie, e nelle aggregazioni che lo Spirito ha fatto sgorgare nella nostra Chiesa diocesana. In modo particolare vado a trovare i miei fratelli preti, con molto rispetto e ammirazione per quelli che da anni servono il popolo di Dio, ma anche per quanti, da non molto nel ministero sacro, si impegnano a rispondere con forme, nuove rispetto alla tradizione locale, alle necessità dei cristiani che hanno vero bisogno del sacerdozio, per continuare ad essere il santo gregge del Signore.
Mi preparo a fare un pellegrinaggio, dove il vero santuario da visitare sono le nostre parrocchie, sicuro di incontrarvi il Signore in mezzo al suo popolo. Devo procurarmi gli attrezzi del pellegrino: la pazienza di fare un passo dopo l’altro, senza fretta e la voglia di comminare, che contrasta la tentazione di fermarsi. Occorre anche fare la parte nostra, come quel samaritano sulla via che scende da Gerusalemme a Gerico, fu capace di soccorrere la persona incappata nei briganti.[6] È bello gioire di quello che si trova, senza mai dimenticare la meta che ci aspetta. Si ha bisogno di tutti; è un dovere essere riconoscenti verso tutti.
Vado a conoscere da vicino le realtà che ho già incontrato celebrando la liturgia, per le feste e i sacramenti, soprattutto per
4. Sul modello di Frate Francesco al presepio di Greccio
Vorrei davvero che il modo di mettermi in marcia assomigliasse il più possibile a quello che tanti secoli fa, fu il primo presepio. Frate Francesco, camminando tra la gente da Assisi a Greccio, riuscì a coinvolgere molti nella sua strada, dando l’esempio: non basta predicare i principi, se si vuole avere seguito bisogna stare con la gente.[7] Senza nessuna risorsa della tecnologia, ma solo divenendo credibile nell’incontro con le persone, riuscì a far muovere una moltitudine, decisa a fare i sacrifici del percorso, pur di incontrare Gesù. Oggi molti si lasciano commuovere per esperienze di massa, ma si sgomentano quando la fede va vissuta con il sacrificio che si addice agli amici del Signore. Egli è capace di trasformare la nostra vita, se poco poco accettiamo di fare, con metodo e contenuti adatti, il percorso della fede. Senza l’ascolto della Parola di Dio e la grazia di una vita sacramentale ordinate, non si procede nel pellegrinaggio interiore che porta alla salvezza. È problema di far comprendere, con ogni amabilità, che il bello della vita cristiana è disponibile a tutti coloro che, da bravi figli della Chiesa, sanno raccogliere l’invito a mettersi in discussione, a migliorare la propria condotta, a praticare la coerenza. Vorrei riuscire a fare come Gesù con i discepoli di Emmaus, che si accostò ai viandanti, li ascoltò, mise a disposizione la propria conoscenza dialogando con loro, fino a farsi riconoscere nello spezzare il pane della carità e l’eucaristia dell’unità. Prego il Signore di trovare molti compagni di strada. La meta è Cristo, il fine dell’avventura che propongo alla Chiesa che mi è affidata è di aiutarci insieme ad incontrarlo.
Il proposito di camminare nella semplicità, come ci insegna il Papa, è già un aiuto a chi cerca il Vangelo “sine glossa”. Fa rivivere il tema del presepio, non nelle statuine del nostro immaginario infantile, ma nella volontà “di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore, la dottrina e gli esempi del nostro Signore Gesù Cristo”.[8] Nella Chiesa non basta incontrarsi. Occorre anche fare del nostro meglio, perché nella preghiera, nella direzione spirituale e nei sacramenti ciascuno progredisca e condivida con gli altri la grazia ricevuta. L’intento di questo percorso è di aiutare gli altri a incontrare il Signore. Il sogno è di uscire dal banale della nostra era, per ritrovare la bellezza di una storia collettiva.
Sono convinto che occorra contagiare dell’entusiasmo della fede i più tiepidi, ridare speranza ai più forti, esercitare cioè quel ministero pastorale che ogni parroco ha diritto di vedere condiviso dal Vescovo, nella ferialità, nelle sedi tradizionali delle aggregazioni cristiane, ma anche nelle fatiche di una missione alla quale ci stanno aiutando sacerdoti venuti a fare i missionari in mezzo a noi, provenienti da Chiese sorelle di altra cultura ed esperienza.
5. Il coraggio di fidarci ancora del Signore
Riavviare il pellegrinaggio è obiettivo delle fatiche apostoliche che vado a condividere. So per esperienza e per dottrina che non potremo costruire cristiani veri, se non riusciremo a convincere tutti a praticare la carità, che è la misura della nostra concretezza cristiana e dell’amore che portiamo a Gesù e al prossimo. Come al presepio di Greccio, anche noi vogliamo portare al bambino di Betlemme che è resuscitato nei nostri cuori pezze e calore: la via della carità, ci fa meno inadeguati.
Infine in questa Visita Pastorale vorrei esercitare il ministero del facilitatore, come gli antichi “odegoi”, le guide che a Bisanzio, nel tempio della Madre di Dio aiutavano ogni giorno i pellegrini a ritrovare il bello e ad accostarsi alla Sede della Sapienza per ritrovare, nel cuore materno di Maria, la propria vocazione.
Vorrei cioè essere di aiuto a chi vuol passare il fiume delle proprie indecisioni e del peccato, per ritrovare il senso delle cose. Invoco, come nella terra dove sono nato, Cristoforo, il Santo traghettatore, sperando di fare esperienze simili alle sue. Aiutando gli altri a passare le loro difficoltà, spero anch’io di ritrovarmi in collo il Signore risorto, premio di ogni cristiano.
