In queste settimane siamo stati coinvolti in eventi ecclesiali fortemente significativi. Papa Benedetto, ha rinunziato all’esercizio del Primato Petrino e Papa Francesco appena eletto, con il nome e i gesti, ha avviato il ministero in semplicità: i suoi gesti sono stati un segno provvidenziale: l’attenzione ritrovata dalle folle per il nuovo Vescovo di Roma, ne è prova eloquente. Tra i titoli della tradizione, Papa Francesco ha voluto usare quello di vescovo e si è rivolto innanzitutto alla Chiesa Romana, ricordando che attraverso la comunione con
In spirito di semplicità il Pontefice ha confermato il calendario della visita ad Limina Apostolorum, che il suo Predecessore aveva fissato: l’8 aprile prossimo sono invitato ad andare da Papa Francesco per raccontargli che la nostra Chiesa è bella come un albero che cresce. Cosa devo dire al Papa? Nel periodico incontro tra le Chiese nel mondo e
2.Una Chiesa incarnata nel presente, intenta a costruire il futuro
Quando il Papa è venuto ad Arezzo e Sansepolcro, c’è stato un lavoro a monte, prezioso; lo sviluppo di quelle fatiche, che è
In preparazione alla visita del Papa si è fatto tutto il possibile perché “Pietro venendo a visitare Donato” lo trovasse e lo riconoscesse. Due frutti mi pare che siano costitutivi di questa bella pagina della nostra storia. In ogni parrocchia si è avviato un processo virtuoso che ha coinvolto tutti nell’attesa del Santo Padre: preghiere, dibattiti, catechesi, un fortissimo impegno di carità. Si è messa insieme la più cospicua raccolta per i nostri poveri che si ricordasse in diocesi. Tutti hanno fatto la loro parte, anche i fedeli delle parrocchie più piccole.
Il frutto spirituale più vistoso che si è tratto dalla visita papale è stata una forte aggregazione all’interno della nostra Chiesa. Ho percepito che voi sacerdoti vi siete stretti intorno a me, collaborando perché ogni fedele potesse essere aiutato e coinvolto. Le comunità si sono unite e responsabilizzate in modo mirabile.
Il primo a farci guardare al futuro, durante
A Sansepolcro ha detto ai nostri ragazzi “ora è tempo di osare”, chiamando a raccolta le forze giovani del nostro popolo, perché si riformi la società: per rimettere al centro la persona, capolavoro di Dio Creatore, valorizzando l’impegno umano, nella concordia e nella pace. Se proveremo a dare una risposta interiore a queste domande, la speranza tornerà a distinguere gli amici di Gesù, per aiutare questo nostro mondo aretino, cortonese e biturgense a essere più umano e benedetto dal Signore.
La nostra identità è, dunque, che siamo in movimento, in forte trasformazione. Mi rendo conto che questo processo inevitabile, e praticato da tutta
In concreto, è stato relativamente facile definire le Aree Pastorali, come pure enunciare una pastorale collegiale nel nostro presbiterio. So bene, tuttavia, che altro è definire un progetto, altro è realizzarlo. Soprattutto se si vuole servire il popolo di Dio senza mancare in nessun modo alla carità, senza deludere gli uni, senza irritare gli altri. Affermare, in sintonia con il magistero pontificio, che vogliamo una Chiesa tutta ministeriale è affascinante, realizzare questo progetto richiede
È verità cattolica che lo Spirito Santo è partecipato a tutti i fedeli di Cristo: ai laici, chiamati ad animare il mondo con il Vangelo, a quanti sono chiamati alla vita di speciale consacrazione, come pure nel ministero ordinato. Non si può fare a meno del contributo di tutti, per armonizzare le differenze che esistono in questo vastissimo territorio, con la necessaria sintonia che è valore irrinunciabile della identità comune. Sappiamo bene che il popolo di Dio è il corpus Christi mysticum: nella Chiesa ogni persona ha la sua funzione; vi è concordia se ciascuno fa la propria parte.
È anche vero che veniamo da tradizioni in cui molto, se non quasi tutto, per lungo tempo è stato affidato o delegato al clero. Il principio di sussidiarietà è facile ad essere dichiarato, ma non sarà praticato, se non con una paziente opera di coinvolgimento, sia del laicato che del ministero ordinato, ciascuno secondo le proprie prerogative, nel rispetto dei carismi che arricchiscono la nostra Chiesa con l’insostituibile funzione della vita consacrata, sia maschile che femminile.
Già San Gregorio Magno nella Regula Pastoralis insegna che l’aiuto vicendevole è essenziale perché
3.La dimensione che appartiene all’Ordine Sacro
Secondo il mandato di Lc 4,18, a tutta
Altra cosa, tuttavia, è aver parte nella missione della Chiesa, altro è essere costituiti nel sacerdozio ministeriale.
Non è questione nell’ordine del fare, ma dell’essere. Presbiteri si diventa con una vita di “sequela”, “imitatio”, “conformatio” al Cristo, come insegna Bonaventura, che proprio a
Vi sono al mondo alcuni che ritengono che il sacerdozio sia una principalmente una funzione, un fare una parte da gestire: avere un ruolo nella Chiesa e nella società. Ma non è solo questo; anzi fare il prete presuppone, oggi specialmente, curare la nostra continua trasformazione interiore sul modello di Gesù.
Mentre ci avviamo a rinnovare le promesse sacerdotali, giova riflettere sull’insegnamento dei Padri. Già nel Medioevo, grande era la disputa se bastasse la scelta di una vita per essere gli amici di Gesù. Francesco d’Assisi, in un lungo e delicato percorso interiore, si prefisse di assomigliare a Gesù e la sua scelta per i poveri, la sua umiltà, il recupero della fraternità fanno certamente parte di quei preziosi frutti, per cui anche il solo suo nome evoca ancor oggi meraviglie e Vangelo, come da ultimo ha potuto sperimentare anche il nostro nuovo Papa.
A
Bonaventura insegna che la contemplazione del Crocifisso ci fa passare il Mare Rosso delle nostre indecisioni e infedeltà.
La frequentazione assidua e ordinata della Parola di Dio e la preghiera virile e sostanziosa sono gli elementi che fanno procedere nel cammino sacerdotale. Uomini dell’Eucaristia quali ci definiamo, essere di fronte al Signore della gloria, contemplato nel silenzio e nella semplicità, fuori da pompe esteriori è un cammino interiore che ci dà identità: sono i gradini che portano in alto ed esprimono il munus sanctificandi.
La direzione spirituale è uno strumento impareggiabile per il progresso spirituale nostro e dei fedeli. Abbiamo tutti bisogno di oggettivare le nostre scelte nel confronto positivo con chi è più maturo e saggio.
Le difficoltà della vita presbiterale sono la croce che ci è chiesto di portare in unione con il Signore Gesù. Abbiamo scelto giovanissimi di essere gli amici di Gesù, partecipi del suo stesso ministero sacerdotale, che è d’essere ad un tempo sacerdos et hostia. Abbiamo ricevuto il dono dell’ordinazione, le grazie e le consolazioni dello Spirito, dobbiamo al popolo cristiano il buon esempio di una vita che non disprezza il sacrificio e le difficoltà: anche questo è parte del munus docendi: “Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere”[1]. Molti nel popolo che ci è affidato hanno carichi pesantissimi: le nostre fatiche apostoliche sono il primo dialogo con loro, nella serena condivisione che in Cielo si va solo facendo del bene sulla terra. Negli inevitabili momenti di prova, giova ricordare il Salmo 15 “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice”.
Siamo gli amici del Crocifisso: non è da lamentarci se ci tocca qualche volta di fare la parte del Cireneo, o quella di Giuseppe d’Arimatea, perché i tanti Nicodemo del nostro tempo sappiano, dall’esempio che daremo, riconoscerci apostoli.
Una vita alternativa è la via per quella santità che predichiamo, perché solo praticandola aiuteremo il nostro popolo. Così Dio ci aiuti con la sua Grazia e, in questo giorno santo, con la fraternità ecclesiale, che è già anticipo del Paradiso.