Tre segni ci da il libro dell’Esodo nella liturgia di oggi: innanzi tutto il cammino nel deserto, che è un cammino faticoso. È il cammino del popolo di Dio all’uscita dall’Egitto, ma è anche il cammino della Chiesa, non già verso la terra della promessa, ma verso la santa Città di Dio. È un cammino questo, dove il deserto si manifesta con tutta la sua complessità. Noi ci fidiamo di Dio e camminiamo lungo la strada della vita con la voglia di incontrarLo. Tuttavia, nel cammino della vita, così come in quello del popolo di Dio, è facile perdere la strada.
Il vitello d’oro, del 32esimo capitolo dell’Esodo prende tutti i nomi dei miti del nostro tempo: il successo, il potere, la soddisfazione dei sensi, la condiscendenza degli altri, l’applauso, tutto quello che si pone come diverso dall’unico, sacrosanto, vero Dio. In questo rapporto in cui ci si chiede quale senso abbia la fede,
Stasera siamo qui pieni di gioia e soddisfazione:
Siamo molto bravi a costruirci immagini e statue di “metallo fuso”, a scambiare la gloria di Dio con le soddisfazioni vane e con il piacere falso delle cose del mondo. Mi piace ricordare sant’Agostino che al decimo delle Confessioni dice: tardi ti ho amato, ho confuso la bellezza delle tue creature, con te creatore, mi sono sbagliato, bisogna ritrovare la giusta via[1].
Questa giusta via si mostra ai nostri fratelli con un atto di vera carità, soprattutto attraverso segni credibili. Ma qual è il segno che ha questa caratteristica? Come deve essere la testimonianza? La testimonianza deve essere data come quella di Giovanni il Battista che del testimone evangelico è una sorta di prototipo, un’immagine esemplare, nelle stesse parole di Gesù. È come un lume che arde e si consuma. Gesù chiede testimonianza di vita ad ognuno di noi nel proprio ruolo, purché ci lasciamo consumare dal tempo e dalla fatica.
Stasera, con questa celebrazione rispondiamo a Papa Francesco che ci ha chiesto di pregare per lui. Sappiamo però che ciascuno di noi può dare testimonianza agli altri solo se ci mette del suo, se si consuma, se accetta la logica del giocarsi per Dio e per i fratelli. C’è bisogno di tanta carità. Il mondo in questo momento è pieno di sofferenze. Mancano le cose necessarie, manca la sicurezza del futuro; manca anche la fede in molte persone, perché non gliel’abbiamo annunziata. Allora riprendiamo coraggio, attorno a Papa Francesco:
Questa è la prima Messa che celebro per esprimere la piena comunione della Chiesa aretina-cortonese-biturgense con
[1] “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace”.