La Madonna è il segno della Misericordia di Dio, ne è la misura. Non giudica, risponde; non condanna, aiuta; non discrimina, accoglie. È icona della maternità a cui vuole ispirarsi la Chiesa, secondo il progetto di Dio. La Festa della Madonna del Conforto è un giorno di missione. Arezzo è salita in Duomo, malgrado la neve, gli scalini sdrucciolevoli della Cattedrale, il freddo pungente; ma, ancora di più, è il luogo interiore in cui la gente riconsidera la possibilità di avvicinarsi a Dio. È un giorno di grazia. Tante persone si chiedono: “Oh se ritornassi alla fede?”. O ancora meglio, giacchè nessuno può giudicare la fede degli altri – solo Dio la vede, talvolta neanche il soggetto interessato riesce a sapere esattamente come sta nel proprio rapporto con Dio – questo giorno è come un seme lanciato. Un seme, che può perfino portare frutti di vita eterna.
Diceva quarantatré anni fa Papa Ratzinger, anzi lo scriveva in un celebre saggio parlando ai suoi studenti universitari – io stasera ho con me il Liceo Musicale della nostra città che anima nel canto la liturgia – la fede per un non credente è una tentazione più forte che, per i credenti l’incredulità: ha fascino, è un sogno. Può diventare realtà. Non è facile avventura riuscire a capire cosa passa dentro gli animi dei ragazzi e delle ragazze. Ma non fu sempre così anche per le altre generazioni, prima di questi figli che abbiamo davanti? Ogni persona vede il proprio rapporto con Dio con le categorie che ha: con la sensibilità, il carattere; ma anche con gli amici, l’abitudine all’interiorizzazione, il dialogo, la proposta soprannaturale che gli è giunta al cuore e alla mente.
Alla Chiesa aretina tocca innanzi tutto accogliere e rilanciare il Paradiso. La consapevolezza che Dio ascolta è già in sé una scintilla che illumina, una storia soprannaturale. Sapersi ascoltato in un mondo che non ti ascolta per nulla è già in sé una conquista. Ai ragazzi passano messaggi, sempre più concisi, sempre meno esaustivi, raramente in grado di far cogliere il senso della vita e delle cose. Molti parlano, ma pochi ti aiutano a capire, ti danno una comunicazione circoscritta, che non basta accogliere gli universali. Spesso questo genere di comunicazioni arrivano come meteore addosso ai nostri ragazzi: comunicano l’assurdo, il rovescio di ciò che giova al bene comune. Ti dicono: “Pensa a te stesso”, che è esattamente il contrario della nostra civiltà, comunque impregnata di Vangelo.
Pensa alle antiche sette vie che portavano a piazza Grande, icona della città oltre ad esserne il centro ideale: sette è un numero simbolico, dice la moltiplicazione dei luoghi possibili. Non importa da dove vieni, basta arrivare insieme all’unità. Insieme è bello: questa è la cultura aretina e toscana. Il contrario di quel “Pensa a te stesso”, che proviene da altrove, non ci appartiene, in qualche modo ci sfigura, come una maschera.
Sulla Pieve di Barga, nella Chiesa in cui sono nato, un antico lapicida medievale ha scritto “piccolo il mio, grande il nostro!”. Tu la vuoi grande Arezzo, o no? Il nostro ci appartiene. Tu non sei un avanzo d’anagrafe, confinato nel silenzio e nell’isolamento: un numero, un ectoplasma senza consistenza. Sei una persona. Anche dentro di te c’è la possibilità di tradurre il sogno in realtà: tocca a te, forse anche stasera, scegliere e costruire la tua identità. Anche questo fa parte della Festa.
Dio aiuta con una concretezza che mette in discussione le nostre parole. La vicenda di via Vecchia, della “Taverna Oscura”, come la si chiama in città, la vicenda della Madonna del Conforto, è, per la cultura di questo popolo, una sorta di Mar Rosso da passare, un’esperienza quasi pasquale. Dio ti chiede: “Ti fidi di me?”. E dopo di che diventi un popolo che cammina, un’identità che scopre come la liberazione dal male, dal peccato, dall’ingiustizia, dalla tristezza, dal vuoto esistenziale, è possibile e reale. Un po’di gente si rivolse alla Madonna – chi lo sa se c’erano anche i tuoi avi – e la Madre di Dio dal Cielo ha ascoltato. La terra cessò di tremare. Mi viene in mente il Salmo 76 “terra tremuit et quievit”: prima la terra tremò, ma poi si fermò. Fa parte della nostra storia vedere nella concretezza che piace tanto alla gente toscana, come l’esperienza di Dio è innanzi tutto concreta. Alla proposta dell’Altissimo, risponde la fede fiduciale degli aretini. Strusciando le scarpe sul pavimento della Cattedrale, da stamattina all’alba quando il primo dei canonici ha avviato la liturgia, fino a notte fonda, c’è in Duomo un popolo che pensa, che vuole credere, che è venuto in cerca di un briciolo di speranza. Che c’è dentro la testa della gente mentre sfila davanti a quell’immagine prodigiosa? C’è un popolo che si muove, non solo nei passi, rivisita l’identità profonda della città.
La risposta non è tristemente individuale, come in molti degli altri giorni dell’anno. È una risposta di popolo, è piazza, ecco perché ci appartiene. È anche per altro verso, una fede ricca e articolata perché è parte della memoria di ognuna delle famiglie aretine. Ciascuno ci può aggiungere qualcosa. Tua madre, che ti ha insegnato l’abc della vita ti ha parlato anche della Madonna del Conforto. La sua corona del Rosario, recitata fino al culmine dei suoi giorni, non te la dimentichi: non la puoi dimenticare perchè è reale, è parte della storia della famiglia, non solo della città. È così che non può diventare retorica, perché appartiene alla concretezza di ogni casa, ancor prima che essere parte dell’identità collettiva.
La Madonna del Conforto è una sommatoria di tanti elementi relativi alla fede: è un progetto praticabile, se lo rivolgi al futuro. Abbiamo ascoltato la singolare pagina del terzo capitolo del Vangelo di Marco, dove al termine della “grande disputa”, dicono a Gesù: “Ecco tua madre”. Il contesto ci affascina. Ci sono i potenti che cercano di dire: “Non credere a quel Gesù lì”, persona, presente, soggetto credibile di questa Chiesa che lo venera risorto e vivo. I potenti dicono, con un linguaggio sacrale, che Gesù viene da Belzebul. Provano a confondere nella testa della gente Dio e il diavolo, che è come dire che tu perdi tempo con la fede. Ma andare dietro al Vangelo è una perdita di tempo, o no? Rispondi a te stesso! Certo, i potenti signori dei media dicono spesso questo, quando ti raccontano un mondo virtuale fatto tutto di gente giovane, bellina, ricca, sana, danzante, pronta a perdere tempo dalla mattina alla sera. Che ideale è quello che così viene proposto? Esiste? Poi, quando con la ragazza del tuo amore arrivi a costruire una famiglia, ti accorgi che il mondo reale è tutta un’altra cosa. Più bella. Anche se più faticosa di un reality show.
Poi ci sono i presunti amici di Gesù – speriamo di non esserci anche noi -. Pur di difendere le relazioni senza inquietare il prossimo, chi tratta le cose di Dio come se fosse un lavoro da svolgere, c’è il rischio che dica, senza dirlo apertamente, di non prendere neppure Gesù tanto sul serio: “Può essere che sia fuori di sé”, dicevano ai farisei. Ma la questione è di una attualità strepitosa: è da matti prendere il Vangelo sul serio? È questa la domanda che pone l’Evangelo questa sera. Ci si può andare con radicalità a mettere in pratica la Parola, oppure è soltanto come un vecchio caleidoscopio? Poi arriva quella piccola immagine di terracotta, che è la Madonna dei poveri, non l’opera di un insigne pittore. La Madonna di via Vecchia, in un momento di terrore. Ma risponde al popolo. Chi è la Madonna? Gesù stesso lo ha detto nel Vangelo. Colei che ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica. Ascolta, in un tempo in cui nessuno ascolta più. E poi la mette in pratica: ecco la coerenza che a voi ragazzi piace veramente tanto, a cominciare dai miei seminaristi. La Madonna del Conforto è Nostra Signora della Coerenza: ascolta il grido di dolore della gente e provvede. Lo fece con il terremoto del Casentino del 1796, lo fa ancora con i terremoti del nostro tempo, le crisi, la caduta dei valori, l’insicurezza della gente, talvolta la disperazione. Tu che sfili davanti alla sua immagine stai attento perché anche te sei ascoltato, se solo riesci a dire quello che vuoi, a renderti conto di cosa hai bisogno.
Santa Maria seguita ad essere caritatevole come tutta la Chiesa vorrebbe essere: capace di tradurre la Bibbia in realtà, la Parola nella pratica quotidiana. La tradizione alta della terra di Toscana vuole la Santissima Annunziata – cioè quando l’Angelo andò dalla Madonna a dirgli che sarebbe diventata la madre di Gesù – sempre descritta con la Bibbia in mano. La Parola. Attenti ragazzi a non andare fuori strada. Trasformare il rapporto con la Madre di Dio in una storia di devozione e basta è esattamente il contrario di quello che Gesù dice a sua madre: ascolta la Parola e la mette in pratica. C’è di più, non lo dice solo di mamma, ma dice anche a te che sarai fratello e sorella degli abitanti del mondo, se provi a fare lo stesso. Amen!