- “Il pane dallo da mangiare alla gente”[1]
Certamente il Vangelo ci chiede di praticare la misericordia, verso chi è nel bisogno, sia nei Paesi del mondo più poveri di noi, che in Arezzo stessa, dove la Caritas diocesana ci attesta che, tra i nostri concittadini, sono quadruplicate le richieste di aiuto. Siamo ben consapevoli che il giorno del giudizio il Signore dirà: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” [2].
C’è tuttavia un’opera di misericordia che è propria dei laici e dei preti che formiamo la Chiesa. La fame della nostra gente è capire il senso della vita. C’è bisogno di uscire dalla situazione di impasse, quella sorta di vicolo cieco in cui ci troviamo. Occorre aiutare a voltare pagina nella nostra chiesa aretina, come il Sinodo ci ha prescritto.
Come alla Torre di Babele[3], anche oggi forse la gente non comprende cosa sta succedendo: non comunichiamo più tra di noi. Nella nostra lunga storia, da San Donato al presente, la nostra Chiesa più volte si è misurata con questi cambiamenti necessari. Ancora una volta, la medicina che guarisce è uscire dall’illusione che ciò che più conta è pensare a se stessi, gli altri si arrangino. È profezia riscoprire che il condividere ci dà la possibilità di avere risorse per tutti. Nella prima lettura di questa XVII domenica dell’anno avete ascoltato Eliseo profeta che dice a chi gli portava regali, perché profeta:“i venti pani d’orzo e il grano novello” non devono essere per l’uomo di Dio, ma alla gente che ha fame.
Gesù ripropone il tema presso le risorgive di Tabgha, vicino al luogo dove il fiume Giordano si immette nel Lago di Tiberiade.[4]
Tanta gente va dietro a Gesù per capire cosa fare della propria vita. Gesù si accorge dei loro bisogni, della loro fame di senso della vita. Gli Apostoli, interrogati dal Signore, ragionano ancora con la mentalità mondana. Filippo dice che costa troppo provvedere a tutti. Chiediamoci se non siamo anche noi della stessa opinione, di fatto vanificando il Vangelo. Quando ci libereremo della tentazione di metterci al posto di Dio? Dio provvede, non conta i soldi. Allora non solo basterà quello che abbiamo, ma ce ne sarà in avanzo per gli altri poveri che non son o qui, accanto a noi: i ragazzi ai quali non simo riusciti sinora a far entusiasmare per la proposta di Gesù, la gente un po’ delusa dal clericalismo delle nostre parrocchie, quelli di cui abbiamo fatto finta di non capire il loro disagio… Chiedetevi perché ci sono ancora dei parroci, per grazia di Dio, i preti veri che non solo fanno meraviglie nelle loro parrocchie, ma si mettono a disposizione dei malati, dei poveri che non sanno come arrivare alla fine del mese, tornano nelle scuole perché si sono accorti che ci sono ragazzi che non hanno mai incontrato chi faccia conoscere la “bella notizia”, che è il Vangelo di Gesù.
Ad ogni amico di Dio -padre di famiglia o prete, operaio o intellettuale- se è amico di Gesù tocca insegnare che Dio vuole che ci aiutiamo vicendevolmente.
Il metodo ce lo dice la parola di Dio che abbiamo appena ascoltato. Bisogna far accomodare la gente in cerchio, all’ombra, presso l’acqua per chi ha sete; tocca parlare vicendevolmente, senza escludere nessuno, cioè mettere gli altri a proprio agio, scomodandoci quel tanto almeno, perché tutti capiscano che questa Chiesa aretina vuole tornare a interessarsi di loro.
La Parola di Dio è il farmaco che manca a questa società autoreferenziale ed egoista. Tocca a noi riproporre lo shemà: cioè la interiorizzazione dell’ascolto, che dà il senso del cammino che ci aspetta. del Il rapporto tra male e i preparati della chimica non bastano più. Abbiamo bisogno di liberare la generazione nuova dall’autoreferenzialità.
Al Mansur, antico medico arabo, alla fine del XIV secolo, insegnava ai suoi giovani studenti di medicina nel volume “De melanconia”[5]: quando ti capita di fronte un malato che non sa come venire a capo della sua situazione, prima di procedere a trattamenti materiali, parlaci: la Parola è la prima medicina.
Forse abbiamo anche noi bisogno di imparare ancora da chi viene da lontano che la Parola di Dio è una medicina assolutamente efficace.
- L’anziano, in Israele, nel deserto vegliava sdraiato sulla sabbia sotto le stelle, per passare ai più giovani il senso di Dio, il valore dell’uomo e come misurarsi con il mondo
In questa domenica in cui il Papa ha voluto che si riscoprisse il ruolo fondamentale dei nonni, mi piace che anche in Arezzo si rammenti uno dei rapporti intergenerazionali più caro ai ragazzi. La Chiesa è lieta di valorizzare anche le generazioni precedenti a quella attuale, non emarginandole, ma valorizzandone l’esperienza.
I nostri catechismi funzionano poco. Invece di responsabilizzare i ragazzi li annoiamo. Chiediamoci perché non stanno con noi. È troppo facile pensare che siano ostili, o comunque tentati da un mondo pagano. La religione che proponiamo non risponde alla richiesta, alla “fame” della generazione nuova.
Non avviamo all’ascolto della Parola di Dio, ma talvolta vorremmo passare concetti astratti o comunque poco comprensibili per chi li ascolta. Una religione del fare, non risponde alla necessità di essere. Solo la Parola ottiene questo passaggio.
Tocca a noi raccontare, a chi arriva ad essere adulto in questa società, a non avere paura. Chi dice ai ragazzi che Dio non abbandona? Una delle più belle affermazioni del Vaticano II è che la Chiesa serve come il lievito[6]: dobbiamo farci carico di tutti. Occorre uscire dalla schiavitù dell’Egitto, che per noi è il primato dell’economia, il dominio sugli altri, la competizione, il razzismo. Se sei Chiesa aretina aiuti quanti incontri a fare un cammino, a non perdersi di coraggio.
Il ministero di Lettore, caro Raffaele, non è andare sul pulpito a leggere alla Messa, ma far arrivare la Parola di Dio a tutti, avviando un cammino nuovo, alternativo. Tu ci hai raccontato lo scorso anno per San Donato che credi di essere chiamato a farti prete. Intanto ricevi stasera lo speciale “mandato a spiegare”, a far capire alla gente la Parola di Dio. Ai piccoli e ai grandi.
Abbiamo bisogno di formatori e invece privilegiamo le piccole devozioni, come se il popolo di Dio fosse fatto di piccoli bambini soltanto. Occorre crescere e far crescere. La pietà cristiana più antica è semplice ed essenziale. Occorre insegnare ancora ai piccoli e ai grandi che non passi giorno senza che ci si ponga, anche brevemente, in ascolto della Parola di Dio, si cerchi di capire attraverso la Scrittura che hai letto con attenzione, cosa Dio chiede a ter, tu gli risponda -quella è la preghiera- e provi con la grazia divina che ti è data di conformare il tuo piccolo agire quotidiano alla Parola del Signore[7].
- La Chiesa è chiamata a collaborare con Dio. Dice oggi l’Apostolo: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto
Dei ministeri laicali abbiamo un grande bisogno. Il segno di venire in questa parrocchia a parlare di questa necessità che il Sinodo ha detto deve diventare esperienza di tutti, vuole essere un gesto importante.
Per fare il lettore non occorre essere teologo come tu diventerai, occorre invece avere dimestichezza con la Bibbia, e cambiare la nostra vita, poco alla volta. Dobbiamo chiederci se il nostro popolo sa che la Parola di Dio ha una forza sacramentare in sé. La Parola rivela Dio (valore noetico), ha una forza straordinaria cambia ogni persona perché il Signore si fa trovare a chi lo cerca (valore dinamico). La risposta di Dio è provvedere, ci fa progredire verso la santità (valore poietico).
Con il Sal 144 abbiamo ricordato i 5 nomi di Dio: grande, paziente e misericordioso, buono, giusto. Ti puoi fidare, come hanno fatto in tanti prima di te, a partire da Abramo. Dio ci conosce uno per uno. La chiamata di Dio alla comunità cristiana è piena di diversità. La Chiesa deve saper valorizzare i vari servizi a cui Dio chiama ognuno di noi. A ciascuno il suo. Alla comunità tocca costruire la molteplicità organica delle chiamate. L’efficacia viene da Dio, non dalle formule.
Il Sinodo ci ha riproposto di essere vicini, in contatto continuo con il Signore. L’ascolto della Parola è la via maestra della Chiesa. Non si capisce in questo tempo perché ci siano alcuni che credono gli altri incapaci di questa secolare esperienza e la sostituiscono con vari surrogati. Occorre educare.
Nel cuore dell’estate con il lettorato che hai voluto ricevere in parrocchia, vogliamo dire a tutta la nostra diocesi che il primo ministero raccomandato nel nuovo testamento è appunto “educare”.
Se saremo capaci di raccogliere questa sfida in ogni parrocchia, allora potremo vedere con i nostri occhi una Chiesa meno clericale, mai formalista, attenta a fidarsi di tutti, come il Signore si fida di noi e ci chiama ad essere protagonisti del tempo che ci è donato.
[1] II Re,42
[2] Mt 25,34-36
[3] Cfr Gen 11,1-9
[4] Cfr Gv 6,1,15
[5] Il testo arabo, assai noto, è stato compulsato nella versione latina provenzale, a stampa, conservata in Biblioteca Pio IX, fondo medievale, Episcopio di Spoleto
[6] Mt 13,33
[7] Cfr Martini C.M, La scuola della Parola,1980