Fratelli e sorelle nel Signore:
Iddio ci dia la forza del suo Spirito in questo giorno in cui
facciamo memoria di Don Alcide, che qui fu martirizzato perché Sacerdote e Parroco,
assieme a innocenti compaesani uccisi insieme con lui.
- “Camminare in una vita nuova”[1]
La Parola di Dio ci fa riflettere sul senso da dare alla vita, sul bivio tra la logica del mondo, che spesso è violenta e disattende i piccoli e i deboli e il coraggio della fraternità umana. Il Vangelo propone la vita come una continua evoluzione, un cammino nuovo, perché alternativo e capace di valorizzare le risorse umane.
Non basta commemorare, occorre lasciarsi porre delle domande per la nostra vita interiore. Di fronte alle vicende dei padri, che doverosamente ricordiamo, occorre rinnovare la nostra vita e lasciarci ancora affascinare dagli ideali dei grandi che seppero resistere al male.
Abbiamo raccolto un gran numero di testimonianze sull’eroismo del nostro Parroco trucidato, ma anche sulla vita dei civitellini di quel tempo funesto nel quale, innocenti e perfino ignari, gli uomini del paese furono vittime della violenza di pochi, violenti invasati.
La causa ultima della strage fu l’ideologia perversa, che usava rispondere a torti subiti sempre con maggiore protervia. Facciamo memoria dei protagonisti di allora: i più, del tutto innocenti, alcuni gravemente colpevoli, sia in azione in questo luogo in quel terribile giorno di San Pietro, che nelle gerarchie che, da lontano comandarono la strage.
Ci furono anche eroi semplici e generosi; ci fu un prete indimenticabile non solo per la sua gente, ma anche per la Chiesa intera. Don Lazzeri camminò “con Cristo sulla via della croce”, pronto a far dono della sua vita per manifestare al mondo la speranza del Regno di Dio.
Egli, pur dopo decenni, è immagine del prete vero, dello stile di vita che vorremmo praticare noi sacerdoti come lui, esempio di quel comportamento che rende credibile il Vangelo in ogni tempo. Dare la vita per Dio e per il popolo è un obiettivo veramente significativo per esprimere l’ideale del prete cattolico.
Infierirono contro di lui per primo, perché significativo per il popolo che gli era stato affidato. Essere significativi non è l’eroismo di un momento, ma il risultato del durevole modo d’essere in mezzo alla gente, che ti conosce nel quotidiano, nella vita di ogni giorno.
Don Alcide aveva curato il popolo affidatogli. Il fatto che dal suo ministero fossero fiorite altre vocazioni al sacerdozio e perfino al martirio è la riprova della santità del nostro martire. Custodì molte famiglie cristiane, semplici ma sane nei loro rapporti tra le persone e tra le generazioni. Fu la eccellenza della Val di Chiana, dove al lavoro quotidiano si alternava la preghiera e la fede.
Questa celebrazione è l’occasione propizia per ripensare al ruolo della parrocchia: quale fu nell’aggregazione semplice della popolazione, nella promozione dei valori del Vangelo, nella ricerca del senso della vita.
Mi piace ricordare quest’oggi con Don Alcide i non pochi preti aretini educatori dei giovani alla libertà, al senso critico, all’impegno cristiano di non appiattirsi sulla politica di ogni governo, ma essere capaci di esercitare il senso critico. Questo significa il monito paolino al sesto capitolo della Lettera di Romani: “Camminare in una vita nuova”, che ci è stato poco fa proclamato.
- “Io so che è un uomo di Dio, un santo”[2]
L’ospitalità della donna di Sunem e di suo marito verso il profeta Eliseo, danno il senso del nostro impegno perché la Chiesa cattolica riconosca Santo il nostro Parroco Martire. Avere familiarità con l’uomo di Dio rende possibile insperati prodigi, fa attuare ciò di cui abbiamo bisogno.
La Chiesa aretina fa suo il problema della generazione nuova. Dobbiamo trovare il modo di far recuperare ai nostri bambini, ma anche ai giovani e alle loro nuove famiglie la proposta della fede. Siamo venuti a Civitella quest’oggi per pregare insieme che ci riesca di avere per il futuro dei buoni cittadini e degli ottimi cristiani.
Il tempo che stiamo vivendo promuove la dissipazione e il disimpegno. La pandemia è stato un terribile esercizio per la nostra gente a pensare a sé stessi, a isolarsi e a non aggregarsi, neppure in cerca del bene comune. Occorre ricostruire. Ricostruire i rapporti, la vita sociale, la cura del futuro, a partire dell’impegno per il presente.
Occorre soprattutto ricostruire le persone e la loro qualità intrinseca. I civitellini del Tempo di Guerra avevano un alto senso della famiglia, una solidarietà con i compaesani.
La chiesa che oggi ci ospita, è una proposta, non solo per chi abita in questo bellissimo paese. Voi siete esperti di “ricostruire”. Occorre che la Chiesa aretina si faccia carico del ruolo che le è assegnato dal Vangelo, dalla storia e anche dalla capacità di rimettere insieme il popolo.
Mi piace che con noi oggi siano presenti le Autorità Civili e Militari della nostra Italia repubblicana. Occorre rimettere insieme le forze se vogliamo costruire un tempo migliore di quanto ci attende, con il lavoro che scarseggia, con l’economia che vacilla. Solo la solidarietà renderà possibile reggere nelle prove che ci aspettano nei prossimi mesi.
L’uomo di Dio, Don Alcide nostro intervenga a ottenerci la stessa fortezza e coraggio che egli insegnò allora ai suoi ragazzi d’un tempo. Dio è vicino a chi lo invoca. L’aiuto della Madonna, invocata sotto il titolo del Conforto, e l’intercessione dei nostri Santi ci hanno preservato dalla durezza delle prove di altre parti d’Italia.
Non speriamo di avere un bambino in collo il prossimo anno, come gli sposi di Sunem, ma la grazia di farci nuovamente carico dei più giovani, del futuro delle nostre famiglie e di questa bellissima Terra d’Arezzo.
- Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà”
Il Vangelo appena proclamato ci chiede di avere coraggio. Ci invita a non lasciarci condizionare dalle paure, che sono state ampiamente seminate in questi tempi difficili. Talvolta abbiamo dimenticato perfino che l’umanità intera è la famiglia di Dio. Dio ha una famiglia sola: tutti gli uomini e le donne della Terra sono nostri fratelli e sorelle.
Vorrei che nel nostro ambiente aretino Civitella potesse essere plastica espressione della fratellanza tra i popoli. Nessuno ha diritto di usare violenza a danno degli altri. Questo paese che porta ancora visibili i segni delle violenze subite è un segno portentoso della pace necessaria.
I morti trucidati, ma anche le distruzioni, che sono ugualmente atto di violenza gridano ancora, se siamo capaci di intendere i segni e di far parlare le cose. Il doveroso ricordo del passato ci chiede di far rivivere questa parte del territorio. Non basta farne un museo. Occorre valorizzare ancora questa terra, che torni ad essere attrattiva e fonte di sviluppo.
La cultura ispirata al Vangelo ci chiede di essere costruttori di pace. La locuzione implica movimento, azione: non solo buoni propositi.
Dobbiamo fare in modo che quanti prenderanno a venire a visitare i luoghi del Martire Alcide possano raccogliere il testimone di una convivenza nuova tra la gente. È la sfida che vogliamo raccogliere.
La Civitula Episcopi deve tornare a essere un centro propulsore di idee e di progetti nuovi: essere la difesa arroccata di una identità che ci è cara, se rivolta al futuro.
Non ci basta che sia il luogo della memoria dei grandi che ci hanno preceduto. Vogliamo che faccia pensare, e recuperare il concerto di valori che la fede e l’impegno civico hanno fatto fiorire la nostra identità e faccia rinascere la Valdichiana intera e con essa la terra d’Arezzo di cui è, anche culturalmente, parte significativa.
A Don Alcide e ai martiri che con lui persero la vita dobbiamo ripromettere stamani il nostro fattivo impegno.
[1] Rom 6,4
[2] II Re 4,9
LITURGIA DEL GIORNO