Venerdì Santo 2020

10-04-2020

Omelia dell’Arcivescovo nella Chiesa Cattedrale

Figli e figlie di questa nostra Chiesa:

il Signore ci sostenga con la sua Grazia

in questi mesi di passione!

  1. Il mistero della salvezza

La Chiesa dedica questa giornata senza Messa all’ascolto della Parola, alla preghiera dei fedeli più alta dell’anno, anche se i fedeli non sono presenti, seguita dall’adorazione della Croce di Cristo, mentre non mancano innumerevoli croci intorno a noi, negli ospedali, nel lavoro che scarseggia, nelle famiglie esauste per tanto tempo segregate.

Il silenzio per meditare e il primato dell’essenziale sono il messaggio di questo giorno, che ha la funzione di mettere al centro della nostra attenzione la vittoria di Gesù sul peccato, sul maligno, sulla morte, anche su quella che ci insidia da vicino in queste settimane.

Gran parte della Lucchesia, come la mia Versilia, per antica tradizione Medievale legata al Volto Santo, chiama questo giorno “Festa di Gesù morto”, privilegiando il fatto che, il frutto del dolore atroce di Gesù, sublimato dal Padre, riesce a far diventare festa anche l’esperienza del pianto.

Sono a confronto due modi di considerare la stessa realtà, che giova tenere presenti, facendo memoria del Salvatore Crocifisso.

La Tradizione greca insiste sulla vittoria che solo il figlio di Dio poteva conseguire: perciò veste il Crocifisso di abiti regali, come nella nostra Sansepolcro. Citando la XV omelia di San Giovanni Crisostomo sulla Lettera ai Romani, in questa sessa linea il Papa insegna che “Gesù fatto peccato ha vinto l’autore del peccato, ha vinto il serpente… Satana era felice il Venerdì Santo… non s’era accorto della grande beffa della storia nella quale sarebbe caduto. Vide Gesù Crocifisso e come il pesce affamato che va in cerca dell’esca attaccata all’amo, è andato lì e lo ha ingoiato… La sua presunta vittoria lo aveva fatto cieco… Era felice, ma in quel momento ingoiò anche la divinità, perché era l’esca attaccata all’amo col pesce. In quel momento Satana è stato distrutto per sempre. Non ha più forza di determinare le sorti del mondo. La Croce, da allora, è segno di vittoria[1].

San Francesco e la riflessione latina ci inducono invece a contemplare l’atroce sofferenza del Crocifisso, sopportata per amor nostro, e ci chiedono di pentirci dei nostri peccati, rimirando il Salvatore: “Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il Cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amor dell’amor mio[2].Ancora riesce a farci commuovere la poesia di Jacopone:“Donna del paradiso, lo tuo figliolo è priso, Jesu Cristo beato. Accurre, donna, e vide che la gente l’allide! credo che ‘llo s’occide, tanto l’on flagellato…”[3].

         Più tardi così anche la pietà napoletana del popolo: “Gesù mio, con dure funi come reo chi ti legò? Sono stati i miei peccati, Gesù mio perdon pietà![4]. In terra latina si avviò una sorta di compianto che ci facesse sentire responsabili dei nostri peccati e ci inducesse al pentimento.

Nella Chiesa, l’Oriente insiste sulla vittoria del Cristo, frutto della passione, l’Occidente sulla sofferenza di Gesù, che è più facile da capire per noi che siamo segnati dal dolore.

Credo che sia giusto combinare entrambi questi approcci al mistero della nostra salvezza, intanto per dire grazie a Gesù che, da Betlemme al Calvario, facendosi carico di tutti noi, con amore, vince il male del mondo.

A Betlemme inizia la Kenosis, cioè la scelta di Dio di salvarci attraverso la via dell’umiltà, dell’abbassamento. Egli stesso si abbassa per innalzare tutti noi dalle bassezze del peccato. La crocifissione è il punto di arrivo del Dio fatto uomo e l’inizio della speranza con cui siamo chiamati a impegnarci per contribuire, con una vita santa, “a quello che manca ai patimenti di Cristo[5].

  1. I segni della passione gloriosa

Tutte le grandi Croci della cultura aretina, raccogliendo la testimonianza dell’Evangelo di Giovanni[6],  pongono accanto al Crocifisso la Madonna e San Giovanni, che assumono nel tempo una forte identità simbolica.

Per comprendere il mistero della Croce è necessario ricorrere a Maria, che rappresenta la Chiesa, e a Giovanni, che è segno della Scrittura. Il verbo attribuito alla Madre di Dio descrive Maria accanto alla croce, in piedi, con somma dignità. La “Mater dolorosissima”, che aveva partorito il bambino Gesù senza dolore, con dignità estrema si erge contro il male del mondo, accanto a suo figlio sfregiato, deriso, alzato nudo sul legno: Venanzio Fortunato  con laconica espressione poetica riassume il ruolo della Madre di Dio: “Quod Eva tristis abstulit, tu reddis almo germine – Ciò che Eva purtroppo ci tolse, tu ci ridoni per mezzo del Figlio tuo”[7]. Maria pare riecheggiare le parole che Luca attribuisce a Gesù stesso: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”[8].

 Credo che sia utile che la Chiesa ricordi l’esempio di Madre di Gesù. Di fronte al dolore, tocca condividere le sofferenze del prossimo, ma anche guardare avanti perché il Signore non ci abbandonerà. La morte in Croce del Signore non è la fine. Gesù in Croce tra Maria e Giovanni è l’immagine vivente di tutti i moribondi, anche degli innocenti che questo terribile micro organismo che viene dalla Cina sta falcidiando in mezzo a noi.

La Chiesa in questo Venerdì Santo, con la Cattedrale vuota, vuole esprimere il dolore muto di Maria, ma anche come lei vuole acquisire la dignità di chi guarda avanti e non si piega.

Giovanni Crisostomo dice che, se il gran male provoca in noi la pazienza, codesta virtù sarebbe inutile se non per farci forti a costruire il futuro[9].

Dall’altra parte della Croce, San Giovanni che rappresenta la Scrittura. La Parola di Dio ci chiede di non avere paura: “Coraggio, sono io, non abbiate paura![10]. Siamo gli amici di Gesù e dobbiamo interpretare gli eventi senza drammatizzarli, come fa la logica del mondo. Certo i nostri morti, che dal Cielo già ci guardano come il buon ladrone di San Luca[11]meritano almeno il suffragio, visto che non è stato possibile permettere il commiato, e meritano anche  quello che fece Gesù andando a confortare le sorelle di Lazzaro: scoppiò in pianto.[12]I nostri morti non sono cadaveri da sistemare, ma persone che hanno amato e sostenuto, durante la vita, una rete di affetti, e non vanno delusi. Da ultimo la Croce, è terribile strumento di vendetta e di tortura, riservata ai nemici pericolosi e odiati. Gesù ha accettato di farsi carico anche di tutti i torturati del mondo; di chi non è stato accolto e considerato, ma anche del male che i tiranni di ogni colore hanno inventato per far soffrire gli altri, per far perdere loro la dignità di esseri umani. Dio è tutela anche di quelle vittime che purtroppo, ancora oggi, punteggiano le cronache. Non si riesce a far cessare questo diabolico arbitrio che sgomenta il mondo.

  1. Il dolore del mondo va vissuto come un parto

Il celebre p. Gilla Gremigni, parroco del Sacro Cuore del Suffragio a Roma, poi voluto da Pio XII Arcivescovo di Novara e guida spirituale di un consistente numero di cristiani, insegnava che per neutralizzare la cattiveria del mondo occorre farsi carico della “piccola Croce quotidiana”.

La realtà è sempre diversa dai sogni ma con l’impegno degli uomini di buona volontà si risana l’ambiente umano, purché ciascuno si faccia carico della propria parte, nel luogo e nella vocazione che Dio gli ha assegnato.

I giovani figli del nostro tempo hanno accolto con favore la profezia di chi ci ha detto che stiamo rovinando il mondo. Porta il nome della nostra grande Margherita, che con la grazia di Dio e la fatica fece luce nel suo tempo. Il Papa ha capito e ha scritto un’enciclica per rilanciare quei temi, trovando vasta accoglienza tra coloro che non sono disposti a farsi indottrinare per convenienze economiche.

Questo Venerdì Santo vorrei che fosse vissuto dai miei diocesani come un grande parto, capace di generare il nuovo, un’idea d’uomo diversa da quella che conoscevamo. I cristiani non ripristinano il passato, ma costruiscono il futuro.

Il disagio dei ragazzi rinchiusi per due mesi, il pericolo della malattia, la paura di una grande crisi economica possono diventare capaci di cambiare l’ambiente umano e di farci ripensare una convivenza sociale, che non disdegni il Vangelo di Gesù, che faccia ritrovare una nuova fraternità, in questo mondo globalizzato.

 

[1]Papa Francesco, omelia del 14 settembre 2018

[2]San Francesco, Laudiu e preghiere, Absorbeat, in FF n° 277

[3]Fra Jacopone da Todi, Il pianto della Madonna

[4]Composizione musicale Cantata della Passione(nota anche come Duetto tra l’Anima e Gesù Cristo), composta in parole e musica nel 1760 da S. Alfonso M. de’ Liguori

[5]Col 1, 24

[6]Gv 19,25

[7]Testo attribuito a San Venanzio Fortunato

[8]Lc 23,34

[9]Cfr San Giovanni Crisostomo, omelia X V, 5

[10]Mt 14,22

[11]Lc 23,39 ss

[12]Gv 11,35