Fratelli e sorelle nel Signore qua convenuti in questo giorno ricco di memorie chiediamo a Dio di essere all’altezza della tradizione di cui siamo eredi.
- Sancta Jerusalem Tiberina
Carissimi cristiani del Borgo, proprio in questo giorno Papa Leone X, accogliendo il desiderio dei vostri antenati e volendo assicurare la pace, istituì la Diocesi di Sansepolcro, conferendo il titolo di Città a questo luogo. Il Papa autorizzò il culto dei Santi pellegrini Egidio e Arcano, che con grande impegno avevano riportato con sé, dal pellegrinaggio in Terra Santa, pietre da Gerusalemme, da dove Gesù era stato sepolto. In tal modo riaffermò il legame del Borgo con la Chiesa in Palestina, con cui ancora oggi siamo gemellati, e il carattere soprannaturale di questa città, che è l’unica al mondo a portare nel suo stesso nome la Resurrezione del Signore.
Sansepolcro è l’unica città della Toscana edificata su un progetto teologico, perché voluta come Sancta Jerusalem Tiberina, cioè città della giustizia e della pace presso le sorgenti del fiume di Roma. Dalla cuspide della torre campanaria di questa basilica furono prese le misure per costruire il pomerio.
Il tema della Resurrezione, mirabilmente illustrato dal nostro maggior pittore, e la difesa indefessa dei poveri costituirono parte identitaria della Città, che perciò stessa, varie volte nella storia, ha brillato per l’accoglienza dei bisognosi, dei rifugiati, di quanti furono in cerca di pace.
Alcuni miei predecessori hanno voluto segnare con la carità il modo d’essere della gente del Borgo per affrancare la miseria della magra economia della montagna e per recuperare l’identità di un popolo di salde motivazioni cristiane.
Il progetto che gli antichi hanno voluto dare alla città si ricava facilmente dalle scelte dei trentatré Vescovi che mi hanno preceduto. Mi piace, in questo giorno particolare, fare memoria di alcuni di loro.
Il Vescovo Niccolò Marcacci, di cui quest’oggi tocca a me impugnarne il pastorale, servì così bene Sansepolcro da essere poi trasferito ad Arezzo, testimone celebrato del prodigio della Madonna del Conforto.
A cavallo del XVII° e XVIII° secolo, il Vescovo Roberto Costaguti, dopo aver speso tutto il suo avito patrimonio per i poveri del Borgo, si fece carico, in modo ancora ricordato, dello stile di vita, della proposta testimoniale del nostro clero, insegnando che il compito del sacerdote è far del bene al prossimo, accogliere tutti, vivere vicini alla gente, morire povero di ricchezze umane ma ricco di virtù soprannaturali. Il Vescovo Roberto, umile nella sua persona, fu veramente forte nel suo servizio episcopale: resistette alle pressioni austriacanti di giuseppinismo dei Granduchi e alle ingerenze asburgiche di limitare la libertà della Chiesa.
Mi è caro al cuore il Vescovo Pompeo Ghezzi. A lui si deve la speciale attenzione per la diffusione della fede. È ancor noto che egli chiedeva ai catechisti e all’Azione Cattolica di insegnare prima a leggere e a scrivere e poi a presentare ai poveri della montagna le verità della fede. Fu grande precursore della Caritas e, lombardo di Gorgonzola, con grandi sacrifici edificò l’oratorio cittadino del Sacro Cuore, privilegiando la generazione nuova perché avesse una formazione cristiana piena di fascino. Grazie a lui e al suo prodigioso segretario, il nostro caro Don Duilio Mengozzi, la Gerusalemme tiberina riuscì a salvare centinaia di ebrei nel tempo dell’assurda persecuzione nazista. Ancora sono vive molte persone che ricordano quei uomini grandi, intenti a fare della loro vita una storia di bene. Il Vescovo Pompeo Ghezzi salvò la città, esponendo se stesso pur di salvare la sua Cattedrale dal fuoco nazista e, con essa, l’intero Borgo. È ancora ricordato come, resistendo ai progetti del fascismo, questa città rimase in Toscana e la Diocesi non fu aggregata alla vicina Città di Castello.
- Costruire la Chiesa nella complessità del nostro tempo
A cinque secoli dal benevolo intervento di Papa Leone X, che dette dignità di Chiesa particolare al Borgo e al suo circondario, finalmente parte indiscussa del Granducato di Toscana, è giusto chiedersi cosa significhi oggi essere Chiesa.
L’Apostolo Paolo ci ha appena ricordato la nostra identità collettiva di “collaboratori di Dio”, Essere il campo di Dio significa saper dare a tempo opportuno i frutti che il Signore si aspetta da noi. Alla Città degli antichi pellegrini medievali è richiesto di essere “edificio di Dio”, cioè essere inclusivi, accoglienti.
Siamo a ridirci insieme, cari cristiani, che ricordare il passato vuol dire renderci conto che nel nome di Cristo gli Apostoli sono stati “sapienti architetti” e Paolo stesso ci dice “lui che ha costruito, che un altro poi deve costruirci sopra”, sempre sul fondamento vero che è Gesù Cristo.
La memoria della benevolenza pontificia ricevuta dagli antenati ci serve per scrutare noi stessi e chiederci se non sia il caso di rivivere gli ideali che fecero grandi i progenitori. Ci è chiesto di curare le cose dello Spirito, essendo “tempio di Dio”, di evitare di vivere in modo pagano giacché lo Spirito di Dio abita in noi. Giustamente, la gente del Borgo ha un forte legame a questa basilica, che resta un punto di riferimento ideale, se sapremo essere fedeli a quelle aspirazioni di giustizia e di pace, che fecero edificare nel tempo questa comunità.
Al Borgo, più che in ogni altro luogo, è da aspettarsi una sintonia profonda tra il nostro essere Chiesa e il nostro esser divenuti Città.
In questo giorno, in questa Messa in cui facciamo rivivere la memoria collettiva i nostri occhi sono rivolti al Signore, da lui proviene ogni nostro bene, a cominciare dalle famiglie sante che hanno edificato la comunità civile di cui siamo eredi.
Al Borgo mai mancarono i preti, perché fu ritenuta grande virtù la generosità insegnata ai nostri ragazzi, come quando i giovani burgensi, a rischio della vita, andarono a nascondere negli anfratti del Tevere i poveri ebrei che si erano rifugiati tra di noi con il loro prete in bicicletta.
Ringrazio Dio di aver conosciuto alcuni preti pii e dotti, che hanno edificato molte coscienze e fornito l’antidoto allo spirito del male che anche qua, talvolta, si insinua.
Confido che queste celebrazioni centenarie vogliano far ripensare i giovani di oggi in città a mettere tra i loro obiettivi il matrimonio, a rispondere al Signore quando chiama a sacerdozio: non si ricorda che, mai prima di ora, era successo di non avere preti abbastanza, per provvedere alla nostra gente.
Lo spirito di edonismo è il rovescio del Vangelo. Dite bene dei ragazzi del Borgo: qualcuno ricorderà come me la fiumara di giovani che accompagnò in chiesa e poi al cimitero il loro parroco amato, dopo averlo seguito presso l’ospedale come fosse stato un genitore. Chiedo ai quei ragazzi di pensare nel loro profondo e di chiedersi se non sia il caso che, quanti chiamati dal Signore al Sacerdozio, provino a rispondergli. Occorre che non venga disperso il buon seme e che non si abbia paura della inutile zizzania, piuttosto che fare spazio interiore alla bellezza di spendere la vita come pastori del popolo che ci è affidato.
- Uniti come i tralci alla vite
Instantibus votis è il nome della bolla di San Giovanni Paolo II, con la quale si ritenne di riunire insieme tutto il sud est della Toscana. Alle ripetute richieste dei preti, qualcuno anche quest’oggi presente, e di qualche laico di trentaquattro anni fa, il Papa soppresse l’antica Diocesi di Arezzo, quella medievale di Cortona e questa stessa del Borgo per creare la nostra attuale Chiesa, che si chiama Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Una Chiesa sola con radici profonde, erede di lotte e santità antiche.
“Io sono la vera vite e il padre mio è il vignaiolo” dice Gesù al quindicesimo capitolo di Giovanni, che abbiamo appena ascoltato.
Ci è chiesto di essere tutti uniti al Signore. L’immagine della vite è forte e significativa, perché ha un numero consistente di tralci, innumerevoli pampini e una quantità che non si conta di acini.
La condizione è di essere uniti. Tocca a noi tornare a scegliere in questo giorno solenne se fare “molto frutto” o se preferiamo essere gente che non serve ad altro che ad essere buttata via nel fuoco, come ai margini dei nostri campi, gli sterpi inutili. Il segreto per rimanere uniti al Cristo è l’ascolto della Parola, che diventa preghiera e fa generare molto frutto.
C’è bisogno, anche in questa generazione, di fare la nostra parte in umiltà, rendendoci conto del nostro limite e rinnovando un atto di obbedienza a Papa Santo, che si è fidato di noi e ha chiesto a tutti – aretini, cortonesi e biturgensi – di ripetere, in questo tempo complesso, le qualità alte che furono degli antenati.
Il Volto Santo, che da secoli rimiriamo come fonte ispiratrice della nostra vita, ci conforti con il suo sguardo rivolto all’infinito e ci consoli che senza impegno, senza fatica non si può portare frutti benedetti.
LITURGIA DEL GIORNO