Trasfigurazione del Signore

Omelia dell’Arcivescovo all’Eremo di Camaldoli
06-08-2021

Carissimi Camaldolesi,

Figli e Figlie qua convenuti in questo giorno santo,

Dio ci dia il piacere di contemplare ancora il Mistero di Cristo!

 

L’evento della Trasfigurazione, narrato in tutti e tre i Vangeli sinottici[1], per la collocazione nel testo e per il segreto messianico, fu assai presto percepito come una sorta di preparazione della Chiesa nascente alla dura prova della Passione di Gesù, illuminata tuttavia dall’esperienza della Resurrezione.

Ancora oggi, nella Liturgia e nella rilettura spirituale che i vari carismi ne hanno fatto, ha una grande rilevanza.

 

  1. La tradizione dell’Oriente cristiano

Le Chiese orientali danno un’importanza straordinaria alla Trasfigurazione. Viene colta non come un accadimento accanto agli altri, ma come una chiave di lettura del Mistero della Salvezza. I protagonisti chiamati in causa sono: Gesù, che al primo nucleo dei discipuli Domini, cioè Pietro, Giacomo e Giovanni, chiede di salire con lui sul monte, che nella tradizione biblica è il luogo del contatto con Dio, El Shaddai[2]. Il monte, nella Bibbia, è anche la sede di molti eventi significativi per la Divina Rivelazione: il nome stesso di Dio, la Legge, l’Alleanza, l’Ascensione.

Accanto a Gesù in dialogo, cioè in relazione con Lui, appaiono Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti, come dice la Liturgia: “anticipare, nella Trasfigurazione, la meravigliosa sorte della Chiesa, suo mistico corpo[3].

Giovanni Crisostomo spiega la scelta di Cristo con l’intento del Signore di presentare Mosè ed Elia come esempio: “vuole che gli Apostoli imitino l’interessamento e l’amore che costoro nutrivano per il popolo, la loro costanza e la loro inflessibilità, in modo che diventino mansueti come Mosè, pieni di zelo come Elia, misericordiosi come entrambi[4].

Un’ulteriore riflessione del mondo greco ce la offre Gregorio Palamàs (1296 – 1359), idealmente contemporaneo di Tommaso e di Bonaventura, ma anche di Duns Scoto, Ruggero Bacone, Alberto Magno, Guglielmo di Ockham ed altri. Palamàs rivela tra l’altro il senso antropologico dell’evento, ma anche la soprannaturalità del ministero apostolico: “la luce che avvolge il Signore cambia gli Apostoli e da ciechi li rende capaci di vedere[5].

 

 

  1. Sant’Agostino

Il Vescovo d’Ippona introduce un concetto fondamentale nella riflessione teologica, con una analogia sorprendente: “«Il Signore in persona si fece splendente come il sole, i suoi abiti divennero bianchissimi come la neve e parlavano con lui Mosè ed Elia. Sì, proprio Gesù in persona, proprio lui divenne splendente come il sole, per indicare così simbolicamente di essere lui la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo»[6]. Ciò che è per gli occhi del corpo il sole che vediamo, lo è lui per gli occhi del cuore[7].

La riflessione agostiniana ci induce a guardare oltre ciò che avvenne sul Tabor e introduce il concetto di un’esperienza “del cuore”, cioè percepita, interiorizzata come ogni esperienza mistica. Subito dopo, infatti, il Vescovo di Ippona sottolinea l’intervento diretto di Dio Padre: “Questo è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo![8].

Il collegamento forte che fa Agostino, avvalendosi della categoria dello Shemà, è la Chiesa che sussiste appunto in questa dimensione di ascolto, nella quale ciascuno porta il suo contributo. “Mosè e i Profeti, come recipienti, Egli, Gesù, come sorgente… Da Lui proveniva ciò che essi proferivano[9].

Nella Chiesa, ad opera degli Apostoli e dei loro collaboratori, si mostra nel tempo il Regno di Dio. Gesù stesso aveva detto: “Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò[10].

Sant’Agostino commenta: “Gran dono, grande promessa! Dio non ti riserva un proprio dono, ma se stesso[11].

Il tema del Regno da predicare nella Chiesa ne assicura la dimensione dinamica. Non vanno bene le tre tende di san Pietro, giacché una sola è la “tenda”. La Trasfigurazione immette la Chiesa intera nell’ottica del soprannaturale.

A noi è chiesto l’impegno. Vanno bene il monte e la contemplazione eremitica dove si incontra Gesù, ma, nel tempo, a noi è chiesto anche di scendere dal monte: “predica la parola di Dio, insisti in ogni occasione opportuna… rimprovera, esorta, incoraggia usando tutta la tua pazienza e la tua capacità d’insegnare. Lavora, affaticati molto, accetta anche sofferenze e supplizi affinché, mediante il candore e la bellezza delle tue buone opere, tu possegga nella carità ciò ch’è simboleggiato nel candore delle vesti di Cristo[12].

San Pier Damiani testimonia la questione che si pone a chi ha deciso di dedicarsi totalmente a Dio, tendendo a non assolutizzare le funzioni della Chiesa, che è comunque chiamata ad evangelizzare e a santificare, a farsi presente nel mondo: “Ma a Dio non si va con i passi dei piedi, bensì percorrendo il cammino delle buone opere. Né alcuno può salire a Lui, tentando di aprirsi la strada con strumenti materiali, ma col crescere assiduo nelle opere sante[13].

 

  1. Una ulteriore riflessione del tempo presente sulla pericope di Marco 9

Gli esegeti moderni hanno a lungo dibattuto sul senso e la valenza di segno che la Trasfigurazione ha avuto nella storia della Chiesa.

Alcuni elementi sono certamente da rilevare, come cioè la presenza dei simboli della Legge e della Profezia nell’Antico Testamento e la chiamata ad accompagnare il Cristo, avviando l’Alleanza definitiva tra Dio e il suo popolo.

Fa parte della tradizione che il segno degli Apostoli, sconvolti e aiutati a rialzarsi da Gesù stesso, sia un palese richiamo al tema della Resurrezione dei credenti in Cristo, cioè a guardare oltre la storicità e privilegiare il significato.

Mi pare invece che meriti una qualche riflessione l’atteggiamento di Pietro che è sintetizzato da “è bello per noi stare qui[14], ma si esprime in categorie del Vecchio Testamento, con chiare allusioni all’Esodo e alla Festa delle Capanne. Ancora una volta è il primo a capire: “«La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei Cieli»[15]. Si è reso conto che quanto sta avvenendo è un elemento di forte novità. Ha colto il nuovo Esodo. Non serve il ritualismo delle tre Capanne, giacché l’intervento di Gesù riscatta tutta la storia della Salvezza. Ricorre, anche avviandosi il Nuovo Testamento, il segno della nube che indica trascendenza e opera di Dio e la voce dell’Eterno Padre che, per la seconda volta, attesta nel Vangelo il potere del Figlio, ma anche la vittoria dell’Amore su ogni altra considerazione della storia. Il Figlio è descritto come ὁ ἀγαπητός[16], cioè non si ripete la logica della Legge, ma si inaugura quella dell’Amore.

Il rapporto del nuovo popolo di Dio con il Signore è cioè una storia d’amore avviata da Dio. Per rendere possibile la vittoria sul male, liberamente si sottomette alla Passione. Il Martirio del Figlio – dolorosissimo, infamante – lo rende capace di farsi carico di tutta la violenza del mondo, della sofferenza di ogni essere umano, delle ingiustizie e tutto riscatta quando, tre giorni dopo, sarà resuscitato. Anche ai figli adottivi, cioè a tutti noi, è chiesto di non fuggire di fronte alla prova, talvolta cruenta come quella di Gesù e dei martiri anche contemporanei, alla maniera di Oscar Romeno, padre Pino Puglisi, le vittime dei guerriglieri maoisti di Sendero Luminoso, o i tanti che in Africa, in Asia o in Europa Orientale sono stati trucidati per la loro scelta cristiana. Ci sono tuttavia anche quelli che vivono un martirio incruento nella della sopportazione di quello che va contro il nostro desiderio e il nostro progetto.

Anche a noi è chiesto di avere davanti agli occhi l’ottavo giorno, cioè il giorno della Resurrezione e del Giudizio, dove finalmente si vedrà chi aveva ragione.

Mi piace leggere il segreto messianico, come richiesta da parte di Cristo a tutti noi di esercitare la virtù della pazienza. Questo è il tempo della fede, ma pure quello della speranza, nella paziente attesa che la promessa del Signore si renda manifesta a tutti.

Come Maria conforta gli Apostoli impauriti nel Cenacolo, riaffermando il ruolo dello Spirito nella Pentecoste, così a noi, in questo giorno della Trasfigurazione, ci è domandato di attendere il ritorno di Gesù, che sarà certamente glorioso, cioè tale che si capirà bene la divinità del nostro credo, la Salvezza di chi a Cristo si è affidato e la vittoria del Vangelo.

[1] Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36

[2] Cfr Es 6:2,3

[3] Prefazio nella Messa della Trasfigurazione nel Messale Romano

[4] San Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di San Matteo, Città Nuova, 1966, p.397

[5] Gregorio Palamas, omelia sulla Trasfigurazione, in L’uomo Mistero di Luce Increata, Pagine scelte, Paoline 2005, pp 131-146

[6] Cfr. Gv 1,9

[7] Sant’Agostino, Discorso 78, 2

[8] Lc 3, 21

[9] Sant’Agostino, Discorso 78, 4

[10] Gv 14, 21

[11] Sant’Agostino, Discorso 78, 5

[12] Ivi, 6

[13] San Pier Damiani, “Sermone XXII, per i Santi Martiri Lorentino e Pergentino”, 3, in Opere di Pier Damiani, Città Nuova, 2013, p.377

[14] Mc 9, 5 (anche Mt 17, 4 e Lc 9, 33)

[15] Mt 16, 13-19

[16] Cfr. Mt 12:18