Solennità di San Domenico 2021

Omelia dell’Arcivescovo alla Madonna del Sasso
08-08-2021
  1. Cari Padri Domenicani,
    Figlie e figli qua convenuti in questo giorno santo:
    Iddio ci dono la sua grazia!

    1. Un’epoca straordinaria
    Nella rinascita del XII secolo, i cristiani dell’Europa medievale fondarono le università. Al tempo stesso, predicarono al popolo più semplice, perché la cultura sgorgata dal Vangelo risanasse le tensioni violente e convulse che, nei secoli immediatamente precedenti avevano segnato l’inclusione dei popoli nuovi nella tarda romanità. Il termine greco βάρβαρος significa semplicemente “diverso”: era invece diventato allora terribile connotazione di incomprensioni e scontri tra il nuovo che arrivava e la ormai fiacca tradizione romana.
    San Domenico di Guzmán, fondatore dei Predicatori, appartiene alla profezia della Chiesa di quel tempo, che si avvalse della cultura per cambiare il mondo. Il tema è di una straordinaria attualità nel periodo che stiamo vivendo.
    Sapremo raccogliere l’esempio dei grandi che seppero far scuola, sull’esempio dei filosofi dell’antichità greca? Anche oggi si fa sempre più necessario che i cristiani aiutino i nostri contemporanei a riflettere sulla vita, sulla storia, sui costumi, ma anche sulla legge e sull’organizzazione della vita politica. La testimonianza di San Domenico è viva ed efficace. Seppe dedicarsi alla missione per tutta la vita, fino a Bologna, la grande università, dove morì, fedele alla sua missione.
    L’intuizione dantesca, in questo settimo centenario dalla morte del Sommo Poeta, ha una grande efficacia, che merita di essere meditata ancora in questo luogo di antica presenza domenicana: “Domenico fu detto; e io ne parlo/ sì come de l’agricola che Cristo/ elesse a l’orto suo per aiutarlo” . Dante ha colto una dimensione essenziale della cultura medievale: la certezza che non si arriva ai frutti senza la pazienza del coltivare la terra con il necessario per favorire la crescita, estirpando le erbe maligne e infestanti, che frenano lo sviluppo dei buoni germogli capaci di frutti.
    Domenico, che con la sua santità personale divenne poderoso fermento in tutta Europa, è campione di questa vocazione indefessa. I biografi antichi raccontano che usava portare con sé, indosso, le lettere paoline, perché mai fosse sprecato il tempo per pensare e riflettere, e per illuminare il presente alla luce della Parola di Dio.
    Tra i suoi discepoli, è doveroso ricordare Tommaso d’Aquino che riuscì a ridurre a sistema, le più geniali intuizioni dei Padri della Chiesa che lo avevano preceduto, per offrire con lo strumento, pur pagano ma vero, della logica aristotelica, foriera di intuizioni che ancor oggi sono essenziali.
    L’intercessione che invochiamo in questo giorno santo è che il Maestro della fede torni a far fiorire, nella Chiesa di oggi, il gusto di elaborare la cultura contemporanea alla luce del Vangelo, valorizzando ogni buona innovazione dovunque sia elaborata, pur conciliabile con il Vangelo.
    Mi piace ricordare in questo tempo di pandemia come i discepoli di Domenico in Provenza tradussero in latino il tesoro del medico arabo Al-Mansur, perché fosse accessibile anche dall’Europa cristiana. Il tema era come rispettare i malati. Valeva sì l’esperienza dei medici antichi, ma raccomandava ai suoi giovani colleghi di non dimenticare mai che i pazienti sono persone umane da considerare con riguardo e valorizzare nel dialogo, senza cadere nel preconcetto primato della scienza, che se è vera progredisce ascoltando tutti.
    Anche oggi, siamo tentati dallo scontro. Non esistono più le torri merlate, ma non si riesce a dialogare, riconoscendo la verità da chiunque la proponga.

    2. Il fascino di insegnare
    L’autore liturgico ha raccolto dal 52° capitolo di Isaia un assioma che seguita, ancora oggi, ad affascinare i giovani più intelligenti e capaci: “sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace” .
    La Chiesa di questi ultimi decenni ha posto poca enfasi sul servizio di essere insegnanti, che è un vero ministero ecclesiale di cui San Domenico è luminoso esempio e riferimento.
    Insegnare significa liberare le menti e la vita delle persone che hai di fronte e che ti ascoltano. San Domenico è Maestro del senso critico. Non tutto quello che si dice è vero e neppure l’autorevolezza di chi lo ha prodotto garantisce sull’autenticità del contenuto: altra cosa è il mezzo che si adopera altro invece è il contenuto. Altro è il bello, altra cosa è il vero.
    Il processo di allertare le coscienze, caro a San Domenico, è ancora oggi di straordinaria attualità: cogliere il cammino verso la verità, è il bene di ogni persona.
    In questo prezioso impegno per formare coscienze libere, mi piace ricordare Padre Mariano Cordovani, che qui ebbe la sua prima formazione. È stato certamente una delle figure più rappresentative dell’Ordine domenicano del ‘900. Nato a Serravalle di Bibbiena, a 14 anni fu accolto in questo convento di S. Maria del Sasso, dove maturò la sua vocazione domenicana e completò la sua preparazione scolastica e umanistica, ricevendo a 16 anni l’abito domenicano e il nome di Mariano. Nell’agosto del 1901 venne inviato a Roma nel Collegio S. Tommaso: fu ordinato sacerdote nel giugno 1906 e nel 1909 fu dichiarato Lettore in teologia. Predicazione e insegnamento lo impegnarono subito nel suo primo ministero di sacerdote domenicano. Nel luglio 1936, Papa Pio XI lo nominò Maestro del Sacro Palazzo e da Pio XII fu nominato “Teologo ad personam“ della Segreteria di Stato. Sofferente di cuore negli ultimi anni della sua vita, morì improvvisamente il 5 aprile 1950.
    Al ritorno della salma a Serravalle, la S. Messa venne celebrata dal suo amico Mons. Giovanni Battista Montini, allora Sostituto della Segreteria di Stato, che al P. Cordovani aveva affidato una parte significativa nelle “Settimane di Camaldoli”, dalle quali, appunto attraverso l’insegnamento e la formazione dei giovani più capaci d’Italia, nacque il primo embrione della nostra Costituzione Repubblicana.
    L’umile e grande Maestro dei Domenicani torna ad avvertirci che il legame tra cultura e potere è uno strumento pur sempre pericoloso, perché rischia di generare crociate, quando la via del dialogo porterebbe frutti eccellenti.
    In terra d’Arezzo mi piace ricordare Teobaldo Visconti, poi Gregorio X. Il nostro Papa beato, come molti di voi sapete, fu eletto dallo Spirito Santo dopo un terribile conclave che era durato tre anni con scontri di gruppi di potere, che certamente avevano poco a che fare con i pescatori di Galilea, Apostoli di Gesù.
    Papa Gregorio, appena eletto, dopo una vita di sapienti mediazioni che avevano fatto di lui un pensatore adeguato ai tempi difficili, era in Terra Santa e andò a Gerusalemme, chiedendo al Sultano della città assediata di poter venerare il Sepolcro di Cristo. Ottenne dalla suprema autorità dell’Islam di attraversare le mura, giacché al Papa di Roma si riconosceva, allora da tutti, l’autorevolezza della vita spirituale. Tra i mali del nostro tempo è doveroso ricordare che oggi, qualcuno anche dentro la Chiesa, prende le distanze dal Papa: noi mai!
    Il legame di Gregorio X con i discepoli di San Domenico è stato ben studiato. Il programma di Pontificato di quel grande Papa è il frutto di quel cenacolo di ricerca del vero che era l’Università di Parigi e l’insegnamento dell’Aquinate, combinato con quello di Bonaventura: preferire, sempre e comunque, il dialogo allo scontro.
    Credo che sia necessario ancora oggi, da questo antico luogo domenicano, l’impegno a ricercare vocazioni all’insegnamento, per contrastare la pandemia dello Spirito, che si diffonde più pericolosa di quella batteriologica, da tutti oggi temuta.

    3. Il sapore del sale
    La pagina di Matteo 5 che precede le Beatitudini responsabilizza tutti noi. Il sale in sé è di sapore sgradevole, ma ha la capacità di far gustare ogni vivanda.
    Alcuni antropologi del Novecento trovavano, nella mancanza di sale nelle zone centrali dell’Africa, la ragione delle nefandezze di alcuni popoli.
    La Chiesa del nostro tempo, per poter trovare ascolto, come riuscì a fare San Domenico in ogni luogo del suo tempo, richiede qualità personale. Occorre che torniamo alla vita interiore, per fare in modo che quanto si sostiene sia innanzitutto creduto da chi lo propone.
    Tra le tante virtù di San Domenico, mi piace sottolineare quella della coerenza: la nostra Chiesa non è custode di musei ideologici del passato, ma è capace di elaborare il nuovo alla luce del Vangelo e della costante, mai contraddetta dottrina della Chiesa.
    Abbiamo bisogno di ritrovare i luoghi e gli spazi per comunicare con un mondo che non ha bisogno di apparenze, ma di sostanza. Non serve la pratica del consenso, ma la cultura del vero.

    Il concetto di fake news, tanto esaltato da alcuni gruppi di potere, resta indicativo per tutti che veneriamo San Domenico, assiduo propugnatore della verità, anche quando fu scomoda. Egli fu capace di proporre la saggezza, ancor più importante della battaglia ideologica, e di condannare chi, per volontà di potere, non fosse pronto ad assoggettarsi al dominio del vero.