Celebrazione Eucaristica
Solennità del Corpus Domini
Venerato fratello e padre nell’ episcopato, cari miei sacerdoti, fedeli tutti di questa Chiesa che è aretina, cortonese e biturgense: il Signore vi dia pace!
La Bibbia ci insegna che la gloria di Dio è l’Uomo vivente, e al servizio di Dio ci si pone facendo servizio agli uomini e alle donne concrete che la divina Provvidenza ci fa incontrare nel corso della nostra vita.
Siamo la mano di Dio che carezza chi è nella tribolazione e nell’angoscia; siamo gli occhi del Signore per renderci conto delle necessità di questo territorio, di questa storia concreta.
“Fate questo in memoria di me”, disse il Signore Gesù ai suoi apostoli. Abbiamo raccolto il mandato del Signore: Sacerdozio ed Eucaristia si sono legate insieme nell’ultima cena, quando Gesù ci ha insegnato ad essere, Lui per primo, sacerdote ed offerta: “Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo”. Sì, ai discepoli glielo aveva insegnato bene, gli aveva detto di fronte alla gente che aveva fame, la nostra gente, concreta, della provincia nostra, che ha perso il lavoro, che non sa come andare avanti, che è tribolata, ai tanti che sono malati, segnati dalla sofferenza più viva… Gesù torna a ripetere a noi stasera: “Date loro, voi stessi, da mangiare”.
Non basta che gli porti da mangiare, gli devi dare di più, un supplemento d’anima; bisogna coinvolgere noi stessi: questo è il sacerdozio cattolico, di cui per un anno abbiamo parlato. I legami con l’ Eucaristia sono la gloria di Dio e l’Uomo vivente. E’ Dio che ci manda, cari fratelli, in questa avventura.
Non c’è un modo più grande di essere benefattori dell’umanità, che essere sacerdoti: non cerchi nulla per te, dai una vita intera per gli altri, e se ti riesce anche farlo come sta scritto nel Vangelo, diventa un segno potente, a cominciare dal nostro celibato. Un segno eloquente, nella misura che siamo poveri non attaccati alla roba; un segno soprannaturale, nella misura che lasciamo alla Chiesa decidere di noi.
Avere a cura di adunare il popolo di Dio: Gesù ha voluto che ci fosse nel nuovo popolo di Dio, ci fosse una presenza efficace a tenere tutti insieme, tutti uniti, questo è il nostro ruolo. Un ruolo da svolgere dentro la Chiesa. In questa antica città medievale, voglio stasera che risuoni la voce di Papa Urbano IV che, nel 1264, dal castello di Orvieto, indice il Corpus Domini, dicendo ai cristiani di tutta la terra: “Non tenete il sacramento dentro le vostre inter sacella, nelle vostre sacrestie, nelle vostre cappelle: portatelo dentro la città dell’ Uomo, e fate in modo che l’esercizio concreto della carità fatta in un anno, faccia riconoscere che Gesù è in mezzo a voi, e lo faccia adorare nel sacramento”.
La soprannaturalità dell’ Amore. L’amore per il prossimo è un dono di Dio, un dono di cui non possiamo vantarci. E’ Dio che ti ha messo nel cuore la voglia di accorgerti degli altri, il bisogno di servire gli altri. La carità fatta per amore di Gesù. La carità fatta riconoscendo, come l’Arcivescovo di Torino ha fatto risuonare ai due milioni di pellegrini alla Sindone, la passione di Cristo e la passione dell’ Uomo.
In questa epoca segnata dall’ indifferenza in cui ciascuno è educato a pensare a sé, ecco il nostro sacerdozio, miei amati fratelli sacerdoti: voi siete già, con la vostra presenza, il segno che Dio non ci abbandona. Bisogna leggere i bisogni e rispondere alla gente. La paternità di Dio si vede dentro la città dell’ Uomo attraverso la maternità della Chiesa.
Tocca interpellarci stasera che rifaremo un gesto biblico antico: ci rimetteremo in marcia.
E’ del popolo di Dio sapere di non fermarsi; è del popolo di Dio camminare verso la Gerusalemme del Cielo. E finché non saremo arrivati in compagnia degli Apostoli, finché non vedremo, faccia a faccia, il volto di San Donato, noi aretini non ci fermeremo.
Usciremo nella notte stasera, fendendo il buio simbolico di una società che ha perso il senso del proprio cammino: si corre tutti, e non si sa dove, ci si agita tanto e non si sa perché; noi, nel segno della presenza di Gesù in mezzo a noi, ripromettiamo al territorio intero di essere capaci della maternità della Chiesa, di essere capaci di riprendere in collo tutti quelli che si sono feriti e malati… I malati d’anima innanzitutto, di una società che disputa continuamente di tutto e gli manca l’essenziale.
Oh, sono davvero contento stasera che ci sono i bambini di Prima Comunione, che sono venuti con noi ad aprirci la strada, sono il nostro futuro. Noi stasera vogliamo pregare intensamente per tutta la fascia giovane della nostra… della nostra gente, vogliamo ritrovare il senso, con la presenza di Gesù, far riconoscere, nella nostra attenzione verso di loro, la voglia di rimettere al primo posto la carità.
Partiremo dalla cattedra; partiremo dal luogo della Parola, la Parola che illumina e dà senso, fortifica e dà motivazione, la Parola di Dio senza la quale siamo in giro in cerca del senso. La divina presenza del Signore ci insegna, però, che dalla cattedra bisogna scendere a metterci a cingerci, intorno ai fianchi, la cappa della misericordia e riprendere a fare la nostra parte.
In questo momento delicato e difficile in cui lo stato sociale va a grossa prova, i cristiani: “Ci siamo!”, siamo pronti a riprendere il nostro ruolo in collaborazione con le istituzioni pubbliche, siamo pronti a riconoscere che lo Stato siamo noi, anche noi, insieme con noi tutti gli altri, e siamo pronti a dire, con i passi concreti dentro la città nostra capitale, a ridire la nostra voglia di servizio: cingerci ancora nel segno della misericordia.
Stasera, con particolare gioia, accanto ai miei amati sacerdoti, vedo… vedo le trentatre Misericordie della nostra Diocesi: è la più antica forma della carità associata. A partire dal medioevo, i padri dei padri dei padri, capirono che il bene comune è più importante dell’interesse personale. Si sono moltiplicati i segni dei servizi a partire da quella mirabile pagina del 25° capitolo del Vangelo di Matteo, che ancora ci strabilia per la sua concretezza: “Ho avuto fame, mi avete dato da mangiare…”. Non parole, non promesse!
Nel cuore della Parola che Gesù ci ha insegnato come preghiera, ripetiamo ogni giorno: “Dacci oggi il nostro pane…”… a chi ha sete, da bere, a chi è nudo il vestito… O chi sono gli stranieri? Gli stranieri in mezzo a noi: 62.000 nella Provincia di Arezzo. La via di condividere – la maggioranza sono cristiani come noi – vengono da terre lontane in cerca di pace, di lavoro… nessuno lascia casa propria se non ne ha una buona ragione… l’inclusione sociale ci appartiene: riusciremo a farla se siamo tutti insieme.
Ho chiesto a tutte le comunità della diocesi di venire a gremire la chiesa Cattedrale che è la chiesa di tutti: insieme, se riaggreghiamo la nostra storia, riusciremo a fare che la Caritas, che è nata innanzitutto con una funzione pedagogica, insegnare a far carità, possa aiutarci tutti… Bimbi, come riusciremo a spiegare a voi che solo la carità, solo l’amore cambia la storia! Il resto è ideologia.
Noi stasera riaffermiamo, ognuno con la propria divisa, con la propria identità, con la propria scelta, con la propria qualità, riaffermiamo la grandezza della gratuità. Mi commuovono questi ragazzi a cui la società non è in grado di dare lavoro e che per un niente si mettono in gioco a far servizio: questa è il segno della speranza, il resto lo costruiremo insieme.
La presenza di Gesù rinfranca tutti. Gesù presente, realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’ altare in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, Gesù presente nella sua Chiesa… che esce dai sacri ambulacri di questo mirabile tempio, e raggiunge il luogo simbolo della carità. Così è la parte nostra; così è la nostra obbedienza alla Chiesa che ci chiede di coniugare il sacramento della carità con l’esercizio delle opere, le opere di Dio, l’attenzione ai fratelli che sono la porta del Cielo.