Fratelli e sorelle nel Signore,
- Il dono della presenza francescana in Arezzo
La Provvidenza ci vuole raccolti stamane in questa antica Basilica, per celebrare la Festa di Sant’Antonio, assieme alle Comunità Francescane che vivono nella nostra Diocesi. Oggi sono qui rappresentate, dando un segnale di comunione e di preghiera perché la Regola del Serafico Padre Francesco, continui ad essere fonte di grazia per questa Chiesa particolare.
L’occasione ci permette di riflettere sulla mirabile opera che la Famiglia Francescana svolge tra noi, attraverso la testimonianza del carisma e il ministero. Ancora vivente il Poverello d’Assisi, nel 1220, un gruppo di donne aretine, in una casa poco distante da questo luogo, si consacrarono al Signore, alla maniera di S.Chiara. Siamo oggi nella prima chiesa fuori dell’Umbria dedicata a San Francesco. Qui riposa il Beato Benedetto Sinigardi, il Frate al quale Francesco affidò la Terra Santa. Questo tempio, edificato nel centro della città ha raccolto generazioni di aretini per ascoltare la predicazione e la guida spirituale dei Frati fin dalla fondazione dell’Ordine.
Nella Festa di Sant’Antonio è proprio gran cosa riproporci una riflessione sul Francescanesimo oggi in Terra d’Arezzo. Per parte mia vorrei suggerire di pensare alle reali possibilità di qualificare con il vostro carisma la ripresa della vita ecclesiale in questo tempo di sfide e di risorse, dopo la pandemia.
Per riprendere coraggio ci sia d’aiuto riflettere sulla vita di Sant’Antonio, gran personaggio ancor pieno di fascino, che incarna una delle facce più attrattive dell’Ordine, la coerenza concreta e vissuta: “Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere” [1].
Sappiamo bene Sant’Antonio protagonista di episodi che incantano. È la storia del giovane Fernando, che abbandona tutto, Coimbra e il suo Portogallo medievale, ricco di castelli, palazzi e splendide cattedrali, non meno che di cavalieri e dame e storie antiche di corti e di tornei. Volendo diventare seguace di Francesco d’Assisi, dopo aver tutto dato ai poveri, lasciò alle spalle la torre merlata di Belèm, alla foce del Tago, per veleggiare verso un altro mondo misterioso, pericoloso, verso il Marocco e le terre del Saladino. Mise in gioco la sua vita per Gesù Cristo, pronto a rischiare la morte per la fede.
Di tanta radicalità noi, ci piaccia o no, siamo eredi. Chiediamoci quanto oggi passa ai giovani studenti di quel coraggio francescano di fronte alle scelte di vita, quanto ci impegniamo per la guida delle coscienze, per l’educazione alla libertà, all’orientamento vocazionale.
Il mio auspicio è che, ubbidendo alla chiamata che il Signore a ciascuno rivolge, possiate rinnovare il gusto di servire i più giovani figli di questa Chiesa aretina con le vostre storie, le meraviglie che celebriamo oggi nella persona di questo umile e portentoso seguace di Francesco. Vi chiedo di rimettere mano alla cura delle vocazioni.
- Teologo e uomo teologale
Del Santo, canonizzato solo 11 mesi dopo la morte tale e tanto fu l’esempio dato con la sua vita, che si ricorda non solo l’alta dottrina, che lo fece riconoscere “Dottore della Chiesa”[2], ma anche la immensa carità che ancor oggi, a tanti secoli dalla sua morte, lo fa invocare nella Chiesa intera, patrono dei derelitti e “consolatore dolce dei poveri”.
Fra Tomaso da Celano commentando l’intervento di Sant’Antonio al Capitolo di Arles, scriveva di Lui, ancor vivente, che Dio gli aveva dato “l’intelligenza delle Sacre Scritture e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele“[3]. Ma il titolo più insigne con cui Antonio è venerato nella Chiesa, é il singolarissimo appellativo di “uomo evangelico“, che ne celebra -sulla parola dei Papi- la capacità di vivere, fino in fondo, ciò che predicava.
Oggi come allora “la povertà fa ricco e l’obbedienza rende libero“[4]. Voi tutti sapete, fratelli miei, come la Provvidenza di Dio volle condurre di castello in castello il Santo di Padova, sottraendolo al silenzio della cella, a favore della predicazione popolare e delle missioni di pace. Da quel lontano viaggio verso i lidi del Marocco, in cui frate Antonio aveva offerto la vita, il suo essere fu tutto “una oblatio suavissimi odoris Domino”[5], un martirio “in intentione”, una gloriosa testimonianza a Cristo, non già nell’effusione fisica del sangue, ma nello splendore della predicazione, profusa con instancabile zelo apostolico e resa credibile dalla personale santità dell’Uomo di Dio.
I frutti copiosi di quegli otto anni di ministero del pulpito trovano ragionevole spiegazione nell’incanto tutto francescano di dare sempre un risvolto pratico alla verità annunziata: una predicazione per esempi di vita, in semplicità e letizia, che rese e rende credibile la parola di Antonio. La predica della bontà rende infatti comprensibile il Vangelo, oggi come allora. Gli stessi miracoli ottenuti per intercessione del Santo -quello della mula affamata, quello della predica ai pesci, quello del cuore dell’avaro, quello del piede riattaccato, ecc.- contribuiscono nella pietà popolare a far concreto il messaggio di Sant’Antonio, quasi che Dio stesso si premurasse di suggellare con i fatti la predicazione evangelica del Santo.
Egli ancora esercita la sua missione attraverso la fama della sua santità e la dottrina dei suoi scritti. Quale “contemplatore festoso di Dio” e “testimone della vita angelica“, egli ci fa riscoprire il Paradiso, al di là di questo mondo, dove talvolta sembra scomparsa ogni parvenza di soprannaturale. Essere segregati per il servizio di Dio. È la meravigliosa avventura della contemplazione che sorregge l’azione, motiva e illumina la predicazione, rende pieno di fascino il sacro ministero e rivoluziona la vita del singolo e della società. È la meraviglia della via dello Spirito che, come già Francesco, fa anche Antonio, non solo orante, “quanto egli stesso trasformato in preghiera“, non un teologo ma un uomo teologale, non un imitatore di Cristo, ma un uomo che gli è divenuto conforme.
- Il coraggio dell’imitazione radicale di Cristo
La meditazione della Parola di Dio, trasformò il giovane Antonio, chiedendogli radicalità di risposta nei suoi comportamenti. È la visione dell’uomo che cambia e si plasma sul Vangelo. La bontà, fratelli carissimi, praticata come stile di vita e non come episodica eccezione, pur nella sua alternatività rispetto al pensare comune, diventerà comprensibile ai nostri contemporanei, solo se si vorrà riformare la dottrina sull’uomo
Abbiamo bisogno di esempi d’amore che rendano comprensibile il grande amore che Dio ha per noi. Siamo venuti a scuola di Vangelo, per riformare le nostre vite e recuperare come valore a cui indirizzare la vita intera, la giustizia “dei veri penitenti, che è nello spirito di povertà, nell’amore fraterno, nel pianto del pentimento, nella mortificazione del corpo, nella dolcezza della contemplazione, nel disprezzo della prosperità terrena, nell’amore alle avversità, nel proposito della perseveranza finale“[6].
La pietà popolare esalta il messaggio di Sant’Antonio, riconoscendogli la squisita capacità di parlare di Dio all’uomo, della Provvidenza divina, della bontà del Signore. Una bontà che non promette la salvezza, ma salva, libera, aiuta.
La carità di Sant’Antonio grande e prodigioso taumaturgo è legata all’esperienza che egli visse ancor prima di predicarla: che cioè il Vangelo non può rimanere dentro di noi lettera morta.
Sant’Antonio, figlio del Medioevo europeo, ci mostra una vita vissuta tutta nel segno della concretezza: amore a Dio, alla Chiesa, all’uomo. È la sua scelta della minorità, che lo avvicina al popolo; la scelta della predicazione popolare maturata in una rigorosa disciplina teologica, che lo fa nostro contemporaneo; la stima del popolo come luogo privilegiato della salvezza, che gli fa recepire la fondamentale istanza delle folle, che preferiscono sempre l’azione alle parole, la testimonianza alla spiegazione[7].
A voi che riproponete la bontà come un valore da preservare e proclamare, in questa festa mi piace infine riproporre, fratelli e sorelle carissimi, una lettura per così dire antoniana dell’amore cristiano: partiremo da questa Chiesa, rinnovando l’impegno a servire nel nostro tempo il corpo crocifisso di Cristo: annunzieremo così il Regno. I poveri, i malati, le povertà e i malesseri nuovi e antichi della società sono il luogo dove si svela la lotta quotidiana tra il bene e il male, dove a tutti noi, che ci fregiano del nome di discepoli del Signore, è chiesto di esprimere nelle forme della solidarietà la fede cristiana che professiamo.
In questa basilica, segnata dalla “Legenda della vera croce” la contemplazione del Cristo crocefisso e risorto ci muova a rimediare le durezze del nostro cuore, a ritrovare le vie dell’amore.
[1] Sant’Antonio di Padova, Discorsi I,226
[2] Pio XII il 16 gennaio 1946 proclamò Sant’Antonio di Padova Dottore della Chiesa
[3] Tommaso da Celano, Vita Prima di San Francesco, in Fonti Francescane n° 407, pag. 242
[4] Sant’Antonio di Padova, Discorsi, III, 31ss
[5] Lev 1,17
[6] S. Antonio di Padova, Discorsi, I, 515-516.
[7]Idem, ibidem, II, 100, passim.