San Francesco

Omelia del Vescovo al Santuario Francescano a La Verna
04-10-2025

1. Buona festa di san Francesco a tutti voi e buona festa in un luogo di grande carica e ricchezza spirituale come è la Verna; è davvero un dono, per me anzitutto, ma poi per tutti noi, oggi, poter celebrare proprio qui al santuario e sul Santo Monte della Verna la festa di san Francesco d’Assisi.
Vorrei unirmi all’augurio e al saluto che già il Padre guardiano ha rivolto a tutte le autorità civili e militari presenti, a tutte le realtà associative di servizio, di volontariato, ai sacerdoti, ai frati, ai religiosi; la gratitudine e il saluto alla comunità dei frati che è alla Verna, al suo padre guardiano fra’ Guido, che ringrazio, e anche alle religiose che rendono viva, bella, evangelica, la presenza alla Verna.
Quest’oggi, nel celebrare questa bella solennità di san Francesco – negli 800 anni del Cantico delle creature – mi piace pensare alla vita di san Francesco come a una vita che parla e che ancora oggi parla al mondo intero, alla Chiesa, e parla anche a noi, alla nostra vita.

2. Vorrei riprendere la Parola di Dio che abbiamo ascoltato per ritrovarvi le tracce del messaggio di san Francesco, della sua vita, ancora per noi oggi. Anzitutto, nella pagina del Vangelo troviamo il racconto, l’annuncio evangelico della piccolezza, dello spogliarsi: la vita di san Francesco è stata una vita che ci ha parlato e ancora oggi ci parla di piccolezza; potremmo dire, più correttamente, di minorità; e che cosa vuol dire questo alla luce del Vangelo e nella vita di san Francesco? La piccolezza, la minorità non è semplicemente l’atteggiamento e la virtù dell’umiltà o lo svuotamento di sé, ma la minorità è la vita che si riempie, che diventa in realtà ricca, piena: è la vita che diventa capace di accogliere qualcun altro, di accogliere Gesù.
Allora la minorità, la piccolezza, ma potremmo arrivare a dire anche l’umiltà non è solo il farsi piccoli, ma è accogliere qualcun altro e lasciare entrare il Signore e, soprattutto, lasciare entrare nella vita l’amore di Gesù: un amore che si dona.
Lo dice questa pagina di Vangelo; nella preghiera di lode di Gesù che abbiamo ascoltato è Gesù che dice: “hai rivelato queste cose ai piccoli” e poi, più avanti: “nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno conosce il Figlio se non colui al quale il Figlio lo vorrà rivelare”; e infine, ancora nel Vangelo, Gesù ci dice: “venite a me, voi tutti stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”.
Sono le parole di Gesù e in qualche modo ci dicono che è lui, è il Signore, che, accolto, fa vivere, che dona vita, che riempie l’esistenza, che riempie di ricchezza ciò che è minimo; ed è il racconto di una vita, quella di Gesù, anzitutto, che si lascia offrire come vita in dono e, proprio nel donarsi, conosce il Padre, dona la rivelazione del Padre.
E ci dice Gesù che chi si dona così, chi si svuota così, chi si dona, chi vive questo dono nel Figlio, vive l’amicizia con il Figlio.
Ecco, il Vangelo ci ricorda che nel rapporto con Cristo, lasciando entrare davvero lui, la sua parola, il suo amore nella nostra si vive, hai pienezza di vita: cioè, lasciando entrare il Signore si può vivere, si può sperimentare la pienezza e la bellezza della vita che la minorità, ancora di più rivela, è capace di rivelare. San Francesco è ancora oggi una vita che parla, e la vita di san Francesco ci racconta che cosa accade quando si lascia entrare Gesù nella propria esistenza, quando lui diventa l’amico, la parola che viviamo, il dono che vogliamo condividere quando davvero entriamo in relazione con il Signore: e lui, il Signore, fa vivere, dà pienezza e gioia piena, gioia vera.
San Francesco è una vita che parla perché ci racconta la bellezza e la pienezza di vita quando incontriamo il Signore e quando sperimentiamo il suo amore, cioè quando ci lasciamo davvero amare da Gesù.
Le stimmate di san Francesco diventeranno il segno fisico ed evidente dell’essersi lasciato amare dal Signore.

3. Anche la pagina di Paolo che abbiamo ascoltato ci aiuta a scoprire in san Francesco una vita che parla, perché Paolo, nella lettera ai Galati che abbiamo udito, ci parla di una fraternità o, meglio, di una nuova fraternità; arriva a dire, Paolo, che non conta la circoncisione o la non circoncisione, quasi riassumendo con questa immagine che non contano le differenze di ogni genere che potremmo riscoprire tra di noi ancora oggi, perché ciò che conta è una vita nuova che è una fraternità nuova, che è una comunione nuova. Paolo ci dice che è una fraternità possibile quella del Vangelo, che va oltre le differenze; anzi, che valorizza le differenze.
Il segno delle stimmate, in Paolo, di questo segno nella sua vita che ricorda in questa lettera, vede, racconta il dono dell’amore di Dio, il dono del rendere Paolo, in quel segno, figlio, davvero figlio di Dio e, per questo, fratello.
Paolo diventa fratello e, per questo, dice che non conta la circoncisione o la non circoncisione. Anche san Francesco, lo sappiamo, proprio qui alla Verna ha ricevuto questo stesso segno, le stimmate, che diventano il segno della figliolanza, dell’essere figli nel Figlio e, quindi, ricchi di una nuova fraternità, di una vera esperienza di fratellanza con tutti.
Sappiamo come san Francesco è davvero racconto e immagine di questa fratellanza universale; e, dunque, ancora oggi san Francesco ci parla, ha una vita che parla, perché ci indica una fraternità possibile, una fraternità che è dono, una fraternità da vivere anche noi come figli nel Figlio Gesù; una fraternità, credo, che nel mondo di oggi può prendere il nome di pace.
Ed è proprio di questa fraternità, una fraternità che può raggiungere ogni popolo, che non parla più di nemici e che diventa una pace vera che accogliamo e che costruiamo, ci parla san Francesco; e la chiediamo anche a lui, come intercessore, in dono.

4. Infine, la pagina del Siracide ci parla del sacerdote Simone, figlio di Onia, e di lui si racconta l’opera al tempio di Dio; ed è un’opera di servizio, di lode, di costruzione: il sacerdote, Simone, si cura del tempio, lo ricostruisce, così come si prende cura delle mura della città, la protegge, ed è pastore: cioè, è segno della presenza e della guida di Dio. Ecco, l’immagine del Siracide ci consegna il racconto di una comunità custodita, una comunità accompagnata.
San Francesco ha una vita che parla ancora oggi perché vediamo in lui l’amore per la Chiesa, la fedeltà alla Chiesa, la dedizione nel rinnovarla, nel renderla più pura perché somigliante al Vangelo.
San Francesco, lo ricordiamo nell’immagine di San Damiano, è chiamato in qualche modo a ricostruire la Chiesa: cioè, a riportare sempre il Vangelo nella vita della Chiesa, amandola. San Francesco è sempre stato nella Chiesa, nella fedeltà al Papa e, in questo, cercando di rinnovarla e servirla; possiamo davvero dire che Francesco ha amato la Chiesa. E a noi oggi parla in questo modo, una vita che parla: per noi, oggi, san Francesco parla e ci invita ad amare la Chiesa.
Come ho voluto richiamare nel cammino pastorale di questo anno, in Diocesi, che abbiamo da poco iniziato, siamo tutti invitati a costruire comunità: amare la Chiesa per costruire la comunità, per far vivere la comunità; e questo lo si può fare solo a partire dall’amare la comunità, la Chiesa, la nostra Chiesa, e riconoscere, nella Chiesa, le tracce del Vangelo.
San Francesco ha una vita che parla di amore e di costruzione della Chiesa e ancora, a noi, oggi chiede di amare e di dedicare la vita a costruire davvero, amandola, la comunità.

Lasciamo dunque parlare san Francesco, lasciamo che la sua vita parli a noi, alla nostra Chiesa, al mondo intero; e lasciamo che la parola e la vita di Francesco, oggi, ci invitino a rinnovare il nostro sguardo a Gesù, perché entri dentro di noi, perché possiamo rinnovare la nostra sequela del Signore; perché san Francesco ci inviti a costruire una rinnovata fraternità e amicizia nella pace e ci accompagni a scoprire, nella Chiesa, il dono che ci fa vivere, il dono della bellezza del Vangelo.

+ Andrea Migliavacca