Figli e figlie di questa nostra chiesa in terra d’Arezzo:
il ricordo delle gesta del Patrono
ci ottenga da Dio la grazia di riprendere con fede
la predicazione e il ministero alla maniera di San Donato!
Gli antichi parlavano per simboli
Le passiones Sancti Donati, scritte per essere lette nella liturgia del Patrono, mirano a colpire la sensibilità dell’ascoltatore. In antico, quanti redigevano le storie dei grandi non avevano l’obbiettivo della materiale trascrizione dei fatti, ma quello di descrivere gli ideali dei personaggi e i contenuti della loro testimonianza. A chi ascoltasse la lettura liturgica si riconosceva un ruolo attivo nella conoscenza. Lasciarsi aiutare dalla meraviglia per comprendere, in breve, il progetto di vita del santo era un processo a cui, assai spesso si ricorreva, nel rispetto dell’Assemblea ecclesiale a cui il testo era destinato: non una cronaca e neppure un atto pubblico formale.
Anche le passiones Sancti Donati descrivono l’opera del Patrono attraverso racconti che narrano in qual modo e con quanto amore egli fu nostro pastore.
Mi pare bello questa sera dare spazio alla tradizione. Proviamo a farlo, riproponendo i tratti di una pastorale, che potrà suggerire anche a noi modi utili per evangelizzare gli aretini di oggi.
- La fede nasce dall’ascolto della Parola di Dio, che libera dal male
Nella Sacra Scrittura, l’Apostolo Paolo insegna che: “La fede viene da ciò che si ascolta e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo”[1]. Non vorrei che si perdesse la scelta dell’antico agiografo di descrivere l’opera di San Donato a partire dal suo ruolo di evangelizzatore. Il primo racconto del ministero di Donato è il confronto tra la fede e l’incredulità.
A noi aretini sovviene la vicenda della cieca Siranna, vedova e ricca, e del suo giovanissimo bambino. Alla stregua della emorroissa del quinto capitolo del Vangelo di Marco, anche Siranna “aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando”[2]. Il giovane figlio la convince a incontrare Donato, che viveva allora in preghiera con il monaco Ilariano, su per i colli alle spalle di Arezzo – oggi diremo – dalle parti di San Severo, verso Poti. “Ti manca l’olio” le dice Donato; “ne ho zirri pieni nella mia cantina” risponde la ricca vedova; ma l’olio di cui parla Donato è una ricchezza ben più grande del possesso dei beni materiali: l’attenzione verso gli altri, verso i poveri. Con una paziente catechesi del santo, Siranna si accorge che ha passato gli anni vedendo solo se stessa e quando, attraverso la carità, scopre la fede, non solo diventa cristiana, ma anche felice. È il potere che ancora oggi hanno i giovani delle nostre case, magari in età di prima comunione, capaci di far pensare gli adulti: anche le mamme e i babbi.
- Il confronto con il paganesimo
La seconda Passio del Patrono dice che Donato uccide il drago e sanifica l’acqua dissetando tutti. Il tema è di straordinaria attualità. Ci sono alcuni, anche in Arezzo, che rimproverano alla Chiesa di oggi di non fare battaglie ideologiche. Taluni vorrebbe lo scontro. Il drago della passione di Donato è il paganesimo che ancora divora molti.
San Donato ci insegna che occorre sanificare l’acqua, cioè recuperare il linguaggio per arrivare a tutti con stile evangelico, senza diventare noi stessi “draghi”, affamati di potere. Ancora una volta, per essere buoni cristiani occorre recuperare un rapporto sapiente con le cose di ogni giorno, con la semplicità. Una Chiesa umile, attenta a dissetare chi è in cerca del senso della vita, senza violenze, senza durezze: è la via di Donato. Una Chiesa che è ben consapevole di non avere nemici se non il maligno, che divide e contrappone gli uni con gli altri.
Non sono le battaglie ideologiche che aiutano quanti, pur su schieramenti diversi, non cessano di essere nostri fratelli. Donato ci insegna che occorre ritrovare il linguaggio che disseta chi ha sete di giustizia e toglie la fame di equità. È necessario ascoltare anche la voce di chi, magari attraverso le critiche, vorrebbe una Chiesa santa, alternativa alla logica del mondo. In questo giorno santo, chiediamoci se per i nostri cittadini siamo sufficientemente alternativi da dare speranza. La nostra forza è lo Spirito Santo, non le battaglie e gli stratagemmi politici.
Gesù si trasfigura sul monte di fronte ai suoi, perché non temessero la Passione di Cristo che arriva sempre, prima o poi. Il monte è il luogo che esprime la volontà di andare in alto, di non avere paura di quanto sovrasta la logica quotidiana, il pensare comune. Gesù torna a insegnarci: “se avrete fede, nulla vi sarà impossibile”[3].
Impariamo dal Patrono a non accontentarci della mediocrità.
- La carità di Donato
L’Imperatore chiede a Donato di far venire la pioggia e così accade fino a inondare i palazzi, scrive la Passio.
La voce possente del vecchio nostro Papa, pochi giorni fa, ha fatto sobbalzare molti. Non risolve il problema della fame nel mondo puntare sulla tecnologia per aumentare la produzione del pianeta, se poi il risultato è quello di “sterilizzare la natura”, “ampliando i deserti sia esteriori che interiori, spirituali” [4].
Occorre combattere la cultura dello scarto, per cui alcuni uomini, in sostanza, si ritiene che valgano meno degli altri. Ricordiamo ancora quando alcuni teologi scrivevano, in modo icastico, che un quinto del mondo muore di indigestione e quattro quinti di fame.
Non basta produrre “abbastanza cibo” se poi “molti rimangono senza il pane quotidiano”. Dice il Papa: “Questo costituisce un vero scandalo, un crimine che viola i diritti umani fondamentali”[5].
Quanto la Passio Sancti Donati chiama “la pioggia che inonda i palazzi” è il profetismo della Chiesa dei poveri, che ha motivato il pre-vertice Fao e la successiva discussione che in autunno si terrà all’Onu: la carità struggente della Chiesa coinvolge anche i palazzi.
- Il compito del Vescovo è quello di ricomporre l’unità del suo popolo
Quando Gregorio Magno dice “Arretium seu sanctus Donatus qui fractum calicem pristinae incolumitati restituit”[6] allude alla testimonianza del nostro Patrono, divenuta modello del comportamento del Vescovo nella tarda antichità.
Donato prega, si prepara per fare la Messa; i pagani, con una forte spinta al diacono Antimo, fanno cadere il calice di vetro che si rompe.
Il risultato di chi vorrebbe rinchiuderci dentro le sagrestie è illusorio. Allora come ora, il Vescovo, pregando Dio e mediando tra le parti, rimette insieme i cocci della società aretina. Se anche il diavolo gli ha rubato un pezzo del calice rotto, Donato riesce lo stesso a fare la Messa, senza che il vino cada dal calice. Il Duomo, la chiesa per eccellenza di San Donato, è la Chiesa di tutti, in cima al colle, perché da tutti sia visibile, ma è compito del Vescovo che non sia percepita come proprietà di alcuno a danno degli altri.
La santità di Donato e di molti suoi successori ha ricomposto, anche nei momenti di più difficili, l’identità aretina.
Nulla si ottiene senza sacrificio. Anche la Chiesa di oggi non deve puntare alle apparenze, ai gesti clamorosi, alle dichiarazioni fuorvianti, ma la sua fedeltà al Vangelo nelle opere quotidiane, cambiando la storia che, talvolta, vorrebbe che la religione fosse un inutile elemento decorativo. Se facciamo sul serio, nessuno avrà ragione di crederci superflui. Possiamo essere ignorati, ma nessuno metta in dubbio che il popolo di Dio in terra d’Arezzo rinunzi mai a seguire il ruolo che il Signore, ascendendo al Cielo, ha affidato ai suoi, essere cioè il lievito di Cristo[7], perché questa città torni ad essere il pane profumato che sfama chiunque gli sia vicino.
[1] Rm 10, 17
[2] Mc 5, 26
[3] Mt 17, 20
[4] Cfr. Papa Francesco, Discorso al pre-vertice Fao sui sistemi alimentari, Roma, 25 luglio 2021
[5] Cfr. Idem, ibidem
[6] Gregorio Magno, Dialoghi, I, VII, 3
[7] Cfr. Lc, 13,20-21