Riflessione dell’Arcivescovo sul Sermone 187 di San Cesario

30-11-2011

San Cesario vescovo di Arles

(n. 470 morto 543)
SERMONE 187
Da pronunziarsi 10 o 15 giorni prima del Natale del Signore

 

 

1. A Dio piacendo, fratelli amatissimi, ormai è vicino il giorno nel quale confidiamo di celebrare con gioia il Natale del nostro Signore e Salvatore. Vi prego, pertanto, e vi esorto che, per quanto è possibile, ci impegniamo con l’aiuto di Dio almeno in quel giorno ad accedere all’altare del Signore con coscienza pura e sincera, con cuore mondo e casti nel corpo, di modo che possiamo ricevere il suo corpo e il suo sangue non a nostra condanna ma a rimedio dell’anima nostra. Nel corpo di Cristo infatti sta la nostra speranza di vita, come ha detto il Signore stesso: “Se non avrete mangiato la carne del Figlio dell’uomo e non ne avrete bevuto il sangue non avrete in voi la vita” (Gv 6,54). Cambi dunque lo stile di vita chi vuole ricevere la vita: infatti se non muterà il proprio modo di vivere, riceverà sì la vita, ma a propria condanna: ne otterrà più corruzione che salvezza, sarà avviato alla morte, anziché vivificato. Disse infatti l’Apostolo: “Chi mangia il corpo del Signore e ne beve il Sangue indegnamente, mangia e beve la propria condanna” (I Cor 11,29).

2. È conveniente che in ogni tempo siamo ornati di buone opere e splendenti di virtù, ma soprattutto nel giorno del Natale del Signore debbono risplendere le nostre opere davanti agli uomini, come egli stesso ha detto nel Vangelo. Cercate di pensare cosa avviene normalmente, fratelli miei, quando qualche potente o nobile desidera far festa per il suo compleanno o per quello di suo figlio; considerate con quanto impegno, molti giorni prima, fa pulire quanto gli sembra sporco in casa sua; vuole che sia levato di mezzo quello che gli sembra inadatto e incongruo; fa mettere in evidenza tutto ciò che è utile e necessario. Così avviene anche per la sua stessa abitazione: se è annerita la fa imbiancare; fa pulire i pavimenti con le scope e adorna le parti umide con vari fiori; cerca con cura di procurarsi quanto porta piacere all’animo e al corpo.

E tutto questo lavoro, fratelli carissimi, si fa per celebrare in festa il compleanno di un uomo, che pure è destinato a morire. Se dunque tu prepari tante belle cose per il tuo compleanno o per quello di tuo figlio, quante e quali meraviglie dovresti preparare per il Natale del tuo Signore? Se prepari per chi è destinato a morire cose splendide, cosa mai dovresti preparare per Dio che è eterno? Almeno fa’ in modo che quanto non vuoi trovare in casa tua quando inviti ospiti, per quanto sta in te, cerca che non lo trovi il tuo Dio nell’anima tua.

3. Se un re di questo mondo o un padre di famiglia ti invitasse alla festa del suo compleanno, quali abiti indosseresti se non quelli nuovi, eleganti, splendidi, di cui né la vecchiezza, né lo scarso valore, né altra cosa brutta potesse offendere la vista di colui che ti invita? Perciò con tale cura, per quanto ti è possibile, con l’aiuto di Cristo fa’ in modo che la tua anima, composta dei diversi ornamenti delle virtù, adornata dalle gemme della semplicità e dai fiori della temperanza, alla solennità dell’eterno Re, cioè al Natale del Signore e Salvatore, si prepari con coscienza sicura, bella per castità, splendida per carità, candida per elemosine.

Infatti Cristo Signore, se vedrà che tu così ben preparato celebri il suo Natale, si degnerà di venire non solo a visitare la tua anima, ma anche a riposare e ad abitarvi per sempre, così come sta scritto: “Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò” (2Cor 6,16); e ancora: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Felice quell’anima che con l’aiuto di Dio desidera guidare la propria vita, così da essere degna di ricevere Cristo come ospite e di diventare sua dimora. Al contrario, come è infelice quella coscienza, degna di essere compianta a calde lacrime, la quale si macchiò di cattive opere, si oscurò del buio dell’avarizia, arse di iracondia, si lordò di continua lussuria, fu distrutta dalla tirannide della superbia, così che in essa non riposerà Cristo, ma il diavolo vi stabilirà il suo dominio! Tale anima, infatti, se non ricorrerà subito al rimedio della penitenza, perderà la luce, si coprirà di tenebre; si svuoterà di dolcezza, sarà colmata di amarezza; verrà invasa dalla morte, privata della vita. Tuttavia chi è nel peccato non disperi della bontà del Signore, non si tormenti in una mortale disperazione, ma piuttosto faccia subito penitenza, e finché le ferite dei suoi peccati sono aperte e sanguinanti, le curi con medicine salutari: poiché il nostro medico è onnipotente ed è così abituato a curare le nostre piaghe che non fa rimanere traccia di cicatrici.

4. Or dunque, fratelli carissimi, come in ogni tempo dovete astenervi dagli adulteri e dalla miseria di univi a prostitute, conviene che tutte le volte che volete celebrare il Natale del Signore e le altre solennità vi asteniate per penitenza anche dai rapporti coniugali con le vostre stesse mogli. Più di ogni altra cosa fuggite l’ubriachezza, temete l’ira come le bestie feroci, purgate il vostro cuore dal veleno mortale dell’odio. In voi ci sia così tenta carità, che ne possano trarre giovamento non solo gli amici, ma anche i nemici, di modo tale che senza timore possiate dire nella preghiera del Signore: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). Chi sa di portare odio anche ad un solo uomo, non capisco come possa accedere sicuro all’altare di Dio, soprattutto quando il Beato Evangelista Giovanni dice con forza “Chi odia il suo fratello è omicida” (I Gv 3,15). Lascio a voi giudicare, se un omicida, prima d’aver fatto penitenza possa presumere di ricevere l’Eucaristia. San Giovanni aggiunge anche: “Chi odia il suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va perché le tenebre hanno oscurato i suoi occhi” – e ancora­ – “chi non ama suo fratello, rimarrà nella morte” (I Gv 2,11) – e di nuovo – chi dice di amare Dio e odia suo fratello, è bugiardo. Infatti chi non ama suo fratello che vede, in qual modo può amare Dio che non vede?” (I Gv 4,20). Chi dunque serba odio o rancore nel cuore e non si spaventa di tale tempesta di tuoni e non si sveglia, non va ritenuto addormentato, ma morto.

5. Avendo in mente tutto questo, fratelli carissimi, quelli che già sono buoni, con la grazia di Dio si sforzino a perseverare nelle buone opere: giacché “sarà salvo non chi ha incominciato, ma chi ha perseverato fino alla fine” (Mt 10,22).

Coloro che sanno di essere restii a fare elemosina, facili all’ira, pronti a darsi alla lussuria, con l’aiuto del Signore si affrettino a rigettare ciò che è male, perché possano essere degni di raggiungere ciò che è bene; e quando verrà il giorno del giudizio, non siano puniti con gli empi e i peccatori, ma siano degni di ottenere il premio eterno insieme con i giusti e i misericordiosi: con la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo, cui spettano l’onore e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.


+++ Foiano della Chiana, Parrocchia della Collegiata, 1 dicembre 2011