Riflessione dell’Arcivescovo per la Giornata Sacerdotale

20-10-2011

Contemplare con gratitudine il dono del sacerdozio ministeriale
Il privilegio di appartenere alla compagnia degli Apostoli

 

1. Contemplare il nostro sacerdozio è la ragione del convenire in monastero quest’oggi. Alcuni passi da ripercorrere insieme (9), come nel caleidoscopio di quando eravamo bambini per vedere la magia dei colori.

  1. Una sorta di festa di famiglia nella chiesa abbaziale di San Donato. Essere “Donati” è il nostro specifico.
  2. Un ringraziamento collettivo a Dio per il dono del ministero esercitato “in persona Christi capitis”
  3. Un memoriale della nostra vocazione e della nostra ordinazione.
  • Nella fede del popolo di cui siamo figli, rispondendo alla chiamata di Dio, un’alleanza tra noi allora giovanissimi e la Chiesa fu all’origine della “benefica avventura”: il vescovo e il popolo hanno invocato su di noi lo Spirito, e diventammo presbiteri.
  • Dalla Chiesa e da noi stessi fu percepito come un dono di eccezionale valore: ci trasformò, ci rese partecipi del sacerdozio di Cristo, al di là delle apparenze in questo tempo in cui ciò che conta è quello che appare.

2. Prete è bello. “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, messaggero di bene, che annunzia la salvezza” (Is 52,7).

  1. Abbiamo scelto la parte migliore, come Maria, anche se ci tocca di svolgere ogni giorno la parte di Marta (Lc 10,38-42).
  2. Rispondendo alla vocazione santa, abbiamo orientato la nostra vita al servizio del Signore:
  • La fonte. È Lui che ci affida il suo popolo: ci affida i poveri e i malati, i fanciulli e gli anziani, chi è lieto e si avvia alle nozze e chi piange di fronte alla morte di una persona cara, o alla prova della malattia.
  • La progressione. Ci chiede di diventare di giorno in giorno sempre più pastori veri, nel nome di Gesù, spendendo tutta la vita per edificare la Chiesa.

3. L’identità. Non basta agire da preti (modi clericali), occorre essere preti (ministerialità):

  1. Nel segreto della nostra coscienza prima che nella grande assemblea;
  2. Ma anche nel momento della prova, nelle storie di dolore. Se impareremo a non fuggire davanti alla croce di Cristo, lo Spirito ci assimilerà vieppiù a Lui, che “offrì se stesso senza macchia a Dio” (Ebr 9,14).
  3. Il carattere sacerdotale viene dall’Alto. L’avventura della nostra vita andrà vissuta con le risorse che vengono da Lui, che ci appone il suo sigillo per la vita eterna, facendoci partecipi del sacerdozio di Cristo. Un fiume di Grazia passa per le nostre mani. Come il profeta dalla cordicella in mano, siamo stati coinvolti nel fiume che esce dal Tempio di Dio: “Là dove giungerà il torrente tutto rivivrà” (Ez 47,9).
  4. Siamo gli esperti di Dio, cioè chi ha fatto esperienza di Dio. Bernardo cantava “expertus potest credere quid sit Jesum diligere”. Come al profeta Daniele, gli anziani del popolo anche a noi tante volte hanno ripetuto: “Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, perché Iddio ti ha dato il dono dell’anzianità” (Dan 13,50).

4. Gli strumenti. Nessuno poteva sapere dove ci avrebbe condotto il ministero. La Chiesa ordinandoci sacerdoti anche a noi ha ripetuto: “Sii forte e coraggioso. Non temere e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada” (Gios 1,9); fidati sempre del Signore!

  1. Alla fonte del ministero pastorale vi è la stessa vicenda degli Apostoli, che furono chiamati “perché stessero con lui e potessero essere inviati a predicare” (Mc 3,14). L’ascolto della Parola:
  • La meditazione: amare la liturgia delle ore ed esservi fedeli
  • Mai predicare senza meditare prima la Parola: “Meditata aliis tradere”.
  • Il dovere della lettura e dell’aggiornamento di qualità

b. Il dibattito intraecclesiale: avere parte a ciò che la nostra Chiesa affronta e discutela radice della predicazione e del ministero apostolico è l’esperienza vissuta di comunione con Dio. La preghiera:

  • che è lode (come l’avventura di quest’oggi)
  • domanda d’aiuto (nelle fatiche apostoliche)
  • richiesta di istruzioni a Dio, sulla Chiesa che ci è affidata in solido (ogni giorno prima d’agire).

5. I modi. Il ministero è -secondo l’immagine cara a S. Paolo- “una buona battaglia da combattere” (2Tim 4,7).

  1. Non è né facile, né senza fatiche. Non ci sono altri privilegi che quello di poter essere sempre più conformato a Cristo: Il servo di Dio Luigi Rovigatti.
  2. “Guai ai pastori d’Israele che pascono se stessi…”(Ez 34,2): secondo la parola di Dio occorre rendere forza alle pecore deboli, curare le inferme, fasciare le ferite, riportare all’ovile le disperse, andare in cerca delle smarrite.
  3. Dio ci liberi sempre dalla tentazione di farci servire, o di servirci della Chiesa per ottenere agi e comodità, privilegi e considerazione: la tentazione si combatte solo imitando Gesù che durante l’Ultima Cena ci ha mostrato il rimedio salutare con la lavanda dei piedi: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,13-15). Così Gesù istituì il sacerdozio cattolico.

6. Il fine: come a Mosè tocca a noi traghettare il popolo al di là del Mare Rosso.

  1. Simbolicamente, con la casula sacerdotale ci viene imposto un gran giogo sulle spalle, come ai forti buoi che si avviano al campo per arare: dobbiamo imparare a farci carico degli altri, coinvolgendoci nelle storie del popolo che ci viene affidato. “Vuoi esercitare con perseveranza il tuo ufficio come fedele cooperatore dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?” (I promessa sacerdotale).
  2. Che fatica amici miei! Ma la salvezza del pastore passa attraverso la salvezza del suo popolo. Tocca a noi condurre per mano, esortare, incitare, stimolare, riprendere e correggere, sostenere e rinfrancare: a immagine dell’agnello di Dio, che si fa carico dei peccati del mondo, con la santità della tua vita e con l’innocenza delle nostre mani, tocca noi farci responsabili del popolo davanti a Dio. “Vuoi implorare al divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?” (IV promessa sacerdotale)
  3. La nostra esistenza non sarà segnata né dal quieto vivere, né dalle comodità: ci è proposto ogni giorno di entrare, insieme agli altri presbiteri, nella compagnia degli Apostoli.
  4. La Chiesa apostolica non concepì il sacerdozio come uno stato, come una sistemazione sociale: S. Paolo raffigura il nostro ministero ad una corsa, dove ci manca persino il tempo, che è sempre troppo breve: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Ebr 12,1-2).

7. L’esempio dei Padri. San Pietro ancora ci è maestro di vita: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?…pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15).

  1. L’amore fa diventare pastori, anche se costa seguire il Signore. Solo i mercenari si disinteressano dal gregge. Se vorremo essere veri sacerdoti di Cristo ci attendono “fatiche, veglie e digiuni, con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità” (2Cor 6,5-6): questo è il ministero degli apostoli e il suo fascino. “Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo, secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?” (III promessa sacerdotale).
  2. Il popolo di Dio è affamato della parola di Dio, assetato di giustizia, bisognoso di pace. Come i discepoli alla moltiplicazione dei pani, impariamo dal Signore che ci ripete “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37). Noi stessi! “Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che si è offerto come vittima pura a Dio Padre per noi, consacrando te stesso insieme con Lui per la salvezza di tutti gli uomini?” (V promessa sacerdotale).
  3. La pietà sacerdotale dei secoli ci insegna a non salire l’altare invano; a non ripetere solo con le labbra “questo è il mio corpo”. Abbiamo paura d’essere infedeli, se almeno un po’del nostro sangue non è stato sparso per le moltitudini: nelle fatiche, nella condivisione del dolore, nel coinvolgimento personale. San Martino di Tour ripete anche per noi: “Non recuso laborem”.
  4. Per un prete non c’è peggior peccato che quello di Caino! Nessuno di noi potrà cercar misericordia da Dio finché non si libererà dalla tentazione del disimpegno: “Son forse io il guardiano di mio fratello?” (Gen 4,9). A noi il Signore chiede proprio di essere guardiani e sentinelle, pronti a difendere e ad aiutare, a gridare contro il male, a spenderci tutti per il popolo, perché la santità di Dio risplenda più del sole, come nella città dell’Apocalisse (Apoc 21,23).

8. L’esercizio del ministero. Su di noi incombe l’annunzio della parola e la ministerialità dei sacramenti: “Vuoi adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola nella predicazione del Vangelo e nell’insegnamento della fede cattolica? (II promessa sacerdotale)”.

  1. Non dobbiamo dimenticare mai che accanto alle nostre povere forze agisce sempre la potenza di Dio. La sicurezza della sua vittoria ci aiuterà tutti a vivere nella progettualità e nella speranza.
  2. Dovremo imparare ad agire consapevoli che ciascun presbitero è collaboratore del Vescovo, nell’unico presbiterio della Chiesa diocesana. Non ci prenda mai la tentazione di agire da soli o, ancor peggio, in contrapposizione con gli altri.
  3. Al nostro tempo non servono solo funzioni, azioni sacre o benedizioni. Non abbiamo ruoli scoperti da coprire o emergenze da colmare. Abbiamo bisogno di persone che vivano il sacerdozio con impegno e gioia e siano disposte a collaborare con tutti, con il Pastore della Diocesi e con gli altri presbiteri: “Sicut unum corpus”.

9. La nostra qualità di sacerdoti. Il Signore ha detto a San Pietro: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli” (Mt 16,19).

  1. Ecco il potere che ci è affidato. E’ il più gran potere al mondo, quello di spendere la vita per la pace e, per amor di Dio, per servire gli altri, specialmente i bisognosi.
  2. Questa è la nostra parte di discepoli del Signore: come menestrelli di Dio andare in giro per il mondo a portare la pace di Cristo (cfr Lc 10,5).Sopra tutto, di fronte a tutti, innanzi tutto, a noi tocca ripetere la parola “Noi fungiamo da Ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro: vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Il potere delle chiavi del Regno, per noi tutti sacerdoti cattolici, diventa un dovere: la necessità di aprire a tutti l’accesso al Regno.
  3. Qual è la nostra parte? Da tempi remoti il giorno di San Pietro sulla porta della Basilica Vaticana si appende una nassa d’alloro. La nassa, cioè la rete intrecciata, è come dire che quella è la casa del pescatore; l’alloro è il trofeo del martire.
  4. È la proposta che vogliamo raccogliere insieme quest’oggi, invocando il dono dello Spirito. Ci conceda il Signore di essere per tutta la vita solerti pescatori di uomini, pronti a riunire il popolo, come i pesci del mare nella rete che salva. Pronti a spendere la vita con una gioiosa testimonianza al Vangelo, sicuri che il padrone della messe sosterrà con la sua forza, dall’alto, ogni suo solerte operaio.

+++ Camaldoli 20 ottobre 2011