Omelia dell’Arcivescovo per l’ordinazione di Stanislas Aimè (Cattedrale di Arezzo, 29 giugno 2010)

29-06-2010

Festa dei Santi Pietro e Paolo 2010

Fratelli e sorelle nel Signore, convenuti in cattedrale per ricevere da Dio il dono del   sacerdozio: pace a voi!

1. Ci siamo raccolti in festosa assemblea per venerare i Santi Pietro e Paolo, Apostoli di Cristo, colonne della Chiesa: dal loro ministero apostolico è scaturita anche la nostra Chiesa; dalla loro testimonianza di fede è confermata anche la fede degli aretini, che intitolarono a Pietro il colle più alto, al centro di questa città. Una ininterrotta categoria di santi, da Donato in poi, ci lega alla Chiesa delle origini. Ci conferma nella lieta speranza di rinnovati frutti di bene, nella comunione con la Sede Romana, alla quale siamo uniti da vincoli di fraternità e di pace.

Ci è dato oggi di rinnovare il gesto con cui noi stessi abbiamo ricevuto la potenza di Dio: questa è la vera e più alta “traditio”. Secondo quanto ci è stato insegnato e tramandato, invocheremo il dono dello Spirito, proprio in questo luogo, nel giorno di San Pietro, per ottenere da Dio il dono di un prete novello, per questa Chiesa diocesana.

Accogliamo con gioia Stanislas Aimè Alimagnidopko, che ordineremo presbitero durante la divina Liturgia: invocheremo su di lui lo Spirito Santo, perché lo trasformi e lo renda partecipe del sacerdozio di Cristo. Come gli Apostoli e i santi della prima era cristiana, anche questo figlio viene da lontano, da Cotonou nel Benin. Si presenta accompagnato da pochi amici africani, ma da un gran numero di persone delle comunità che in Italia lo hanno visto crescere nella fede e condotto al sacerdozio. Questa è  vera e gioiosa inclusione di chi viene da  altre parti del mondo. Ci piace esprimere ai tanti qui convenuti, soprattutto a quelli giunti da lontano, il nostro  saluto.

2. Caro giovane amico, che ci chiedi di ordinarti prete, beato te! “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, messaggero di bene, che annunzia la salvezza” (Is 52,7). Aimé: hai scelto la parte migliore. Rispondendo alla vocazione santa, stai orientando la tua vita al servizio del Signore; è Lui che ti affida i poveri e i malati, i fanciulli e gli anziani, chi è lieto e chi piange. Iddio ti affida il suo popolo santo, perché diventi pastore vero, nel nome di Gesù e tu spenda tutta la vita a edificare la Chiesa.

Alla fonte del ministero pastorale che inizi vi è la stessa vicenda degli Apostoli, che furono chiamati “perché stessero con lui e potessero essere inviati a predicare” (Mc 3,14). La ragione della chiamata è la vicinanza con Gesù; la radice della predicazione e del ministero apostolico è l’esperienza vissuta di comunione con Dio.

Presbitero -prete- è parola antica e bella che vuol dire anziano nella fede. Tu sei giovane, figlio caro; eppure, se curerai sempre più la familiarità con Dio, riceverai il dono dello Spirito. Come al profeta Daniele, gli anziani del popolo anche a te ripeteranno: “Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, perché Iddio ti ha dato il dono dell’anzianità” (Dan 13,50).

Prima di agire da prete, occorre diventare prete: nel segreto della tua coscienza e nella grande assemblea; ma anche nel momento della prova, nelle storie di dolore. Se imparai a non fuggire davanti alla croce di Cristo, lo Spirito ti assimilerà vieppiù a Lui, che “offrì se stesso senza macchia a Dio” (Ebr 9,14).

L’avventura che questa sera inizi con la potenza dello Spirito andrà vissuta con le risorse che vengono da lui, che ti appone il suo sigillo per la vita eterna, facendoti partecipe del sacerdozio di Cristo. La tua vicenda umana è una storia bella, ma ancor più consolante sarà quello che ti aspetta. Un fiume di Grazia passerà per le tue mani. Come il profeta dalla cordicella in mano, sarai coinvolto nel fiume che esce dal Tempio di Dio: “là dove giungerà il torrente tutto rivivrà” (Ez 47,9).

Nessuno sa dove ti condurrà il ministero di prete cattolico, se sarai fedele a Dio e obbediente alla Chiesa. Sono però certo che nel novero delle tue esperienze, tra mille prove e una miriade di difficoltà anche te, come Pietro, potrai ripetere: “ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode” (Atti,12,11). Questa certezza è il pane del viaggio che la santa madre Chiesa ti affida ordinandoti sacerdote. Anche a te, figlio mio, il Signore ripete “Sii forte e coraggioso. Non temere e non spaventarti, perchè è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada” (Gios 1,9); fidati sempre del Signore! 
3. Il ministero che tra breve ti consegnamo è -secondo le immagini care a S.Paolo- “una buona battaglia da combattere” (2Tim 4,7). Non sarà né facile, né senza fatiche. Non aspettarti altri privilegi dal ministero, che quello di poter essere sempre più conformato a Cristo. “Guai ai pastori d’Israele che pascono se stessi…”(Ez 34,2): secondo la parola di Dio occorre rendere forza alle pecore deboli, curare le inferme, fasciare le ferite, riportare all’ovile le disperse, andare in cerca delle smarrite.

Dio ti liberi sempre dalla tentazione di farti servire, o di servirti della Chiesa per ottenere agi e comodità, privilegi e considerazione: la tentazione di essere come i dottori della legge e i farisei si combatte solo imitando Gesù che durante l’Ultima Cena ci ha mostrato il rimedio salutare: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”(Gv 13,13-15). Così Gesù istituì il sacerdozio cattolico.

L’avventura che inizi questa sera ha un suo dinamismo intrinseco. Simbolicamente, con la casula sacerdotale ti viene imposto un gran giogo sulle spalle, come ai forti buoi che si avviano al campo per arare: impara a farti carico degli altri, coinvolgendoti nelle storie del popolo che ti verrà, di volta in volta, affidato. Che fatica amici miei! Ma la salvezza del pastore passa attraverso la salvezza del suo popolo. Dovrai condurre per mano, esortare, incitare, stimolare, riprendere e correggere, sostenere e rinfrancare: a immagine dell’agnello di Dio, che si fa carico dei peccati del mondo, con la santità della tua vita e con l’innocenza delle tue mani, dovrai farti responsabile del popolo davanti a Dio.

La tua esistenza non sarà segnata né dal quieto vivere, né dalle comodità: ti propongo di entrare, insieme con me e questi presbiteri che oggi ti fanno corona, nella compagnia degli Apostoli. Seguire il Signore è un’avventura splendida, ma ardua, faticosa: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Non ho altra sicurezza da offrirti che la certezza della fede.

La Chiesa apostolica non concepì il sacerdozio come uno stato, come una sistemazione sociale: S. Paolo raffigura il nostro ministero ad una corsa, dove ci manca persino il tempo, che è sempre troppo breve: “Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Ebr 12,1-2).

Vorrei, figlio amato di nome e di fatto, che ti entrasse nel cuore stasera, come un bisbiglìo salutare da non dimenticare mai, il messaggio dell’angelo a Pietro in carcere, mentre lo scioglie dalle catene, perché possa proseguire il ministero: “alzati in fretta…seguimi” (Atti,12,7.8)!

4. San Pietro ancora ci è maestro di vita: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?…pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15). L’amore fa diventare pastori, anche se costa seguire il Signore. Solo i mercenari si disinteressano dal gregge. Figlio mio, se vorrai essere vero sacerdote di Cristo ti attendono “fatiche, veglie e digiuni, con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità” (2Cor 6,5-6): questo è il ministero degli apostoli e il suo fascino. Venendo a servire il Signore in Occidente, in una delle aree pingui d’Europa, non dimenticare le tue sante radici, i genitori che ti hanno dato buon esempio e ti hanno fatto crescere; non dimenticare i santi sacerdoti che ti hanno passato integro il deposito della fede, malgrado le difficoltà  della vita.

Il popolo di Dio è affamato della parola di Dio, assetato di giustizia, bisognoso di pace. Come i discepoli alla moltiplicazione dei pani, impara dal Signore che, anche a te questa sera, affidandoti la Santa Eucaristia ti ripete “dòte autois ymeis faghein-voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37). Voi stessi, figlio mio! Non salire l’altare invano; non ripetere solo con le labbra “questo è il mio corpo”. Abbi paura d’essere infedele, se almeno un po’ il tuo sangue non è stato sparso per le moltitudini: nelle fatiche, nella condivisione del dolore, nel coinvolgimento personale. Che a nessun sacerdote capiti mai di fare il peccato di Caino! Nessuno di noi potrà cercar misericordia da Dio finché non si libererà dalla tentazione del disimpegno: “Son forse io il guardiano di mio fratello?”(Gen 4,9). A noi il Signore chiede proprio di essere guardiani e sentinelle, pronti a difendere e ad aiutare, a gridare contro il male, a spenderci tutti per il popolo, perché la santità di Dio risplenda più del sole, come nella città dell’Apocalisse (Apoc 21,23).

Su di noi incombe l’annunzio della parola e la ministerialità dei sacramenti. Non dimenticare mai che accanto alle nostre povere forze agisce sempre la potenza di Dio. La sicurezza della sua vittoria ci aiuterà tutti a vivere la “parresia”, nella progettualità e nella speranza. Dovremo imparare ad agire consapevoli che ciascun presbitero è collaboratore del Vescovo, nell’unico presbiterio della Chiesa diocesana. Non ti prenda mai la tentazione di agire da solo o, ancor peggio, in contrapposizione con gli altri. Non sei il primo a diventar prete e, lo speriamo, neppure l’ultimo: sii umile.

Non servono funzioni, azioni sacre o benedizioni. Non abbiamo ruoli scoperti da coprire o emergenze da colmare. Abbiamo bisogno di persone che vivano il sacerdozio con impegno e gioia e siano disposte a collaborare con tutti, con il Pastore della Diocesi e con gli altri presbiteri: “sicut unum corpus”. Dovrai imparare con pazienza ad inserirti nel presbiterio, non attendendo che gli altri ti comprendano, ma facendoti tutto a tutti, aspettandoti ricompensa solo dal Signore. Nella Chiesa nessuno è straniero: vi è estraneo solo chi si mette ai margini, chi non condivide lo zelo apostolico, chi si taglia fuori dalla meravigliosa avventura del sacerdozio ordinato.

5. Hai ascoltato cosa il Signore ha detto stasera a San Pietro: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli” (Mt 16,19). Ecco il potere che ci è affidato. E’ il più gran potere al mondo, quello di spendere la vita per la pace e, per amor di Dio, per servire gli altri, specialmente i bisognosi.

Questa è la nostra parte di discepoli del Signore: come menestrelli di Dio andare in giro per il mondo a portare la pace di Cristo (cfr Lc 10,5).

Sopra tutto, di fronte a tutti, innanzi tutto, a noi tocca ripetere la parola “Noi fungiamo da Ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro: vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Il potere delle chiavi del Regno, per noi tutti sacerdoti cattolici, diventa un dovere: la necessità di aprire a tutti l’accesso al Regno.

Qual è la nostra parte? Da tempi remoti sulla porta di San Pietro in Vaticano si appende quest’oggi una nassa d’alloro. La nassa, cioè la rete intrecciata, è come dire che quella è la casa del pescatore; l’alloro è il trofeo del martire. E’ la proposta che vogliamo raccogliere insieme stasera, invocando il dono dello Spirito. Ci conceda il Signore di essere per tutta la vita solerti pescatori di uomini, pronti a riunire il popolo, come i pesci del mare nella rete che salva. Pronti a spendere la vita con una gioiosa testimonianza al Vangelo, sicuri che il padrone della messe sosterrà con la sua forza, dall’alto ogni suo solerte operaio.