Omelia dell’Arcivescovo per la veglia di Pentecoste

10-06-2011

La tradizione della Chiesa greca racconta la storia della salvezza con un’immagine, icona del bello. Abbiamo ascoltato nella Genesi, la vicenda di Babele antica: confusioni, incomprensioni, divisioni, rivalità. È la storia dove i più prepotenti hanno ragione, i più furbi si servono degli altri, i più violenti acquistano il potere. Il giudizio di Dio è che un mondo così è invivibile, disumano. Succede tutte le volte che gli abitanti del mondo si mettono al posto di Dio, discriminando i più semplici e i più poveri, con la pretesa che il proprio comodo diventi la misura del giusto.

Dall’altra parte dell’icona delle due torri, ci sono le mura di Gerusalemme. Non quelle, pure bellissime e piene di fascino di Solimano il Magnifico, attorno a Gerusalemme in Terra Santa, ma quella città che già nel nome si chiama Giustizia e Pace, la città di Dio. Giustizia e Pace significa infatti il nome ebraico Yerushalayim che è il progetto di Dio, la misura di ogni città che voglia essere abitabile e umana, il luogo definitivo che già la Bibbia avvalendosi della poesia chiama Regno e Cielo, “Regno dei Cieli”. È  scoperta davvero liberante rendersi conto che Dio è Dio, è davvero capace di fare la sua parte, con i suoi tempi, con i modi che ritiene opportuni, ma arriva sempre a buon fine.

Al centro dell’icona greca, c’è steso un Peplo, un mantello da viaggio, che fa da tenda agli amici di Dio che si mettono in cammino, uscendo da Babele per andare alla Gerusalemme del Cielo: è l’immagine della vita cristiana, piena di complicazioni, di gioie, ma anche di dolori, di complessità. Come quando l’antico popolo d’Israele dovette attraversare il deserto, luogo della prova e della tentazione, fu nutrito dalla manna, così questo popolo degli amici di Dio ha l’eucaristia sotto la tenda del convegno nella dimensione del tempo. Non è il premio dei buoni, e neppure fa diventare impeccabili; è il cibo che rende forti: ha il gusto della speranza e il profumo della carità. È il dono di Dio che sostenta nell’esodo personale, al quale ogni uomo, ogni generazione è chiamata, praticando la fede di Cristo. Forse i giovani sono più semplici di noi: vi assicuro che ve ne sono ancora molti innocenti, incantati cercatori del senso della vita e attenti ad ogni traccia che parli loro di Dio. Noi adulti invece abbiamo qualcosa da farci perdonare: siamo tutti nella stessa barca di Pietro, nessuno può puntare il dito addosso agli altri per condannare. Il Signore Gesù che nell’Eucaristia ci dona il suo corpo e il suo sangue nel Sacramento, ci insegna invece che le mani, anziché per discriminare, per colpire, per ferire, servono per aiutare il prossimo.

 Alcuni dei presenti probabilmente si stanno chiedendo perché questa sera un così largo numero di giovani adulti sia convenuto nella chiesa Cattedrale a chiedere la Cresima. Già questo è frutto di un cammino; è opera di Dio. Ogni adulto che è venuto a cresimarsi ha incontrato non Giovanni Battista in persona, ma un cristiano che nella vicenda personale d’ogni cresimato di stasera ha fatto la stessa parte del santo battezzatore sulle rive del Giordano. Giovane figlio di Dio che vuoi essere iniziato alla fede cattolica riconosci chi ti ha insegnato la strada. Forse è la tua storia d’amore che è il percorso più efficace per arrivare al Signore, per far pensare a se stessi, al proprio stile di vita. In mezzo alla Babele dove spesso viviamo, pensare, riflettere e meditare è molto rivoluzionario, perché ti fa decidere e ti fa diventare capace di ideali. Per qualcuno la rivoluzione fu davvero grande: da un modo pagano di vivere stasera sei arrivato ad essere cristiano.

Dio ci partecipa il suo Spirito, perché vuole da noi tre scelte. Recita l’antica formula teologica a esprimere la pienezza dell’iniziazione cristiana che ciascuno di voi candidati alla cresima siete “Configurati a Cristo, Re, Profeta e Sacerdote”. Dio vuole un popolo di figli che siano liberi come Re e Regine, unica categoria che nell’antichità era in grado di decidere. Anche oggi, è libero non chi fa quello che gli pare, ma chi decide. Se tu vuoi d’ora in poi fare il cristiano, amico che mi hai chiesto il sacramento della Confermazione, devi imparare l’arte della libertà. Stai attento, ci proveranno in tutte le maniere, a farti rientrare nella torre di Babele, nella confusione, nel compromesso. Gli strumenti di cui si avvarranno per farti tornare in dietro sono in sé molto apprezzabili: la soddisfazione dei sensi, l’appagamento del desiderio di gloria e di realizzazione, il danaro. Vorrebbero tu tornassi ad essere un ingranaggio dentro un sistema più grosso: pur di girare veloce chi vi è attirato non pensa più. Ma Dio che è pretenzioso, non si accontenta di avere dei figli che siano solo amanti della libertà – e spero che voi lo siate davvero -: vi vuole liberi nei fatti e nella vostra storia personale.

Quanti vi apprestate questa sera a ricevere la Cresima, fate tornate a tutti noi forte il desiderio d’essere cristiani nella pienezza. Chiesa è bello: nel cammino che porta alla città dalle salde mura, la città della Giustizia e della Pace – perché la Pace nasce sempre dalla Giustizia – si avanza nel percorso solo con l’impegno e la responsabilità personale, con la gioia di diventare migliori di come si era. Altrimenti non combini nulla. Non credere che siano utopie! Tocca a noi calare l’utopia dentro la storia!

C’è un personaggio che mi è sempre caro: sir Thomas More. Ministro del Regno d’Inghilterra a cavallo tra il XV e XVI secolo, non si piegò neppure di fronte al potere assoluto che il Sovrano gli mise in mano, pur di avere consenso. Brindò alla sua coscienza. È nota una sua lettera dal carcere che mi piace ricordarvi stasera. Imprigionato dentro la torre di Londra, perché il Re pretendeva di avere ragione nei suoi comportamenti prepotenti, sir Thomas More scrive alla sua bambina dicendo: Forse non riuscirò a farti avere i beni di tuo nonno, perché ce li portano via, ma un bene prezioso te lo lascio in eredità: sii coerente, sii significativa.

Gesù Cristo con dodici personaggi divenuti significativi per aver accettato la missione che Dio aveva loro affidato – Apostolo questo vuol dire – riuscì a salvarci tutti quanti. Non fu reso vano il progetto del Signore neppure da Giuda, il suo amico che lo tradì. Non aveva capito che Dio è Misericordia e Perdono.

Stasera il Signore ci dona 34 giovani, uomini e donne, capaci di essere significativi. Sono posti di fronte al bivio della loro scelta cristiana. Sono qui per dire a tutti noi la loro positiva risposta al Signore: la loro decisione d’essere amici di Cristo. È la qualità che appaga! Blaise Pascal scriveva nella metà del ‘600 in Francia che vivere da cristiani è già un premio. Se ti riesce d’essere davvero significativo, ritroverai la qualità dei tuoi sogni, di quando avevi i tuoi 18 anni. A quell’età sicuramente eravate pronti a rovesciare il mondo, perché la giustizia si affermasse e la pace regnasse. Stasera siamo qui a ridirci insieme che quanto ti parve vero allora è ancora possibile: si rimettono in discussione i compromessi, i legacci con i quali il dono dello Spirito in ciascuno di voi forse è stato finora ostacolato.

Viviamo in una Babele piena di paure: ti intrappolano con la paura, ti condizionano. “Che fai?”. “E se sei solo?”. “E se gli altri non ci vengono dietro?”. Così succede che la Chiesa del Signore diventa scolorita, come una camicia che è andata troppe volte al sole e al bucato: al caldo e al freddo degli estremismi che giuocano l’equilibrio interiore di molte storie giovani. Sì, a volte la nostra Chiesa è scolorita, essendo diventati noi cristiani mediocri, poco disposti a rischiare, con scarso fascino interiore. Stasera, siete venuti a ridare fuoco a questo popolo e a quello che nella rete delle nostre comunicazioni riusciremo a  intercettare. A quanti avranno notizia delle vostre scelte il gesto che state facendo suona come una parola di coraggio. Di quel fiume d’acqua viva che il Vangelo promette siamo qui ad abbeverarcene. Il coraggio è il frutto dei doni dello Spirito.

I santi padri insegnano che la Cresima è come l’arcobaleno, che riesce a mostrare i sette colori, cioè i doni dello Spirito, solo se ha due saldi punti d’appoggio. Dall’epoca degli apostoli, da quel cenacolo dove queste cose avvennero per la prima volta, tocca all’Apostolo e ai miei presbiteri di partecipare il dono dello Spirito, stendendo le nostre mani di consacrati. Poi il sigillo: l’appartenenza al popolo di Dio è parte integrate irrinunciabile della nostra identità cristiana. Dio vi sigilla con la sua impronta e la sua divina Grazia. Siamo fatti a immagine di Lui, configurati al Cristo. Tra poco vi farò un piccolo segno di croce in fronte: umile è il segno, grande il dono. L’Angelo dell’Apocalisse, il Giorno del Giudizio, riconoscerà quel piccolo segno che il povero Vescovo di Arezzo stasera vi fa in fronte. Ci avete visto ogni giorno compiere il gesto di stendere le mani sul pane e sul vino disposti sull’altare perché diventino il corpo e il sangue di Cristo; stasera le stesse mani vengono stese sul vostro capo, perché diventiate il corpo di Cristo che è la Chiesa. È  opera di Dio non nostra. Ha una valenza soprannaturale che diventa credibile solo con la fede. È il sigillo del popolo di gente libera, significativa e forte, che noi invochiamo stasera, dall’alto come dono per voi.

I padri della Chiesa chiamarono lo Spirito “Il Dono”. Dio è generoso, misericordioso, dona se stesso. Tocca a te stasera raccoglierne il dono con il canestro della tua anima, con tutti gli intrecci della tua storia. Rammenta, in cambio, Dio non vuole le tue cose o i tuoi beni: vuole te.

+++ Cattedrale di Arezzo, 11 giugno 2011