Omelia dell’Arcivescovo per la solennità di San Donato

06-08-2011


Venerati fratelli nell’episcopato, miei preti amati,

fratelli e sorelle nel Signore: il Signore ci dia pace!

 

In questo giorno in cui la nostra Comunità diocesana fa memoria della testimonianza del vescovo Donato e della sua santità, mi piace condividere con voi alcune riflessioni sull’uomo di Dio che è diventato l’identità condivisa della nostra Chiesa.

Come commenta Papa Gregorio Magno[1], la santità di Donato è espressa dal suo stesso nome: è santo perché è donato: donato a Dio per il servizio del popolo, di questo popolo.

Sull’insegnamento del profeta Ezechiele, il pastore vero delle pecore le cerca e ne ha cura; pur se disperse le raduna, le riconduce alla propria terra; offre loro un luogo dove ben riposare, fascia le ferite e cura dai danni del male[2]. San Donato è il modello di come deve essere ogni buon pastore del popolo di Dio; il suo esempio fu riproposto nell’Europa antica come misura del Vescovo e il culto che gli viene tutt’ora tributato in oltre 200 chiese particolari è la prova del fascino che la bellezza del sacerdozio ottiene ancora in mezzo al popolo. Ogni ministro del Signore deve essere speso per gli altri, donato agli altri, consumato, affaticato, fino al dono supremo di sé, fino al martirio.

Ci è chiesto, miei fratelli nel sacerdozio, di essere anche noi, “donati”. È nostra parte il continuo richiamo alla dimensione soprannaturale della Chiesa, per ridire al popolo le meraviglie di Dio “testimoni delle sofferenze di Cristo partecipi della Gloria che deve manifestarsi”[3]. La nostra parola sarà credibile se sapremo narrare il Vangelo con la nostra carità, praticata giorno per giorno. Siamo posti sul candelabro. L’unico modo per far luce è lasciarci logorare per amore del prossimo dall’usura del tempo, come una candela che per splendere non può che consumarsi[4]. Una vita spesa per il prossimo è la nostra vocazione e la comune missione. La festa di San Donato è l’occasione propizia per celebrare in terra aretina il sacerdozio cattolico, per presentarci “davanti a ogni coscienza umana al cospetto di Dio”[5] e dire la bellezza di una vita dedicata al bene degli altri. Il ministero che ci è affidato dalla divina misericordia non ci fa perdere d’animo, anche in mezzo alle difficoltà. Secondo l’insegnamento paolino ci è chiesto di rifiutare il compromesso con la cultura mondana, per annunziare apertamente al mondo la bontà di Dio e la Sua benevolenza verso di noi. Essere preti è una storia di amore per la Chiesa, per quanti nel nostro servizio incontreremo annunziando a tutti la paternità di Dio e la sua misericordia.113

Divenuti ministri di Dio siamo consapevoli di essere chiamati a insegnare, santificare e guidare questo popolo che gremisce oggi la chiesa cattedrale e, ogni giorno, in qualche modo si aggrega attorno alle quasi duemila chiese del nostro assai vasto territorio. Ci è chiesto di conservare l’unità valorizzando le diversità, “sforzandoci di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace”[6]. Il tempo che stiamo vivendo ci presenta molteplicità di tradizioni e di provenienze, ma anche un assai diversificato approccio ai temi alti della vita, chiamati a vivere in un groviglio di culture. Persino all’interno delle famiglie una generazione stenta a trovare il linguaggio adatto per narrare all’altra i fondamenti della propria storia. La città e il territorio facilmente tendono a disgregarsi. Alla Chiesa del Signore tocca ricostruire l’unità, rimediando gli strappi avvenuti e ripresentando al popolo gli ideali del Vangelo.

Anche la Chiesa di San Donato, come le altre Chiese d’Italia, vuole raccogliere la “sfida educativa”. Nel servizio agli altri, crediamo che sia vera priorità fare tutto il possibile perché gli altri diventino migliori di noi. La nostra fatica mira a che tutti abbiano una conoscenza di Dio ancor più lucida ed efficace. Occorre mediare nel tempo le verità perenni, il Vangelo di cui oltre ad essere annunziatori dobbiamo essere testimoni.

La vita di San Donato, pastore esemplare, è raccontata con il linguaggio dei suoi miracoli, perché le moltitudini possano rendersi conto che dietro e sopra di noi c’è il Signore a rendere efficace quanto predichiamo.

C’era una volta in Arezzo una ricca vedova di nome Siranna[7], una dei tanti convinti di non aver bisogno degli altri. Vi sono persone che credono che con i propri soldi e le conoscenze che hanno, possano ottenere tutto. Oggi vi è davvero il rischio che perfino la Verità di Dio sia erosa dal materialismo pratico e che il potere del danaro, diventato una sorta di cultura diffusa, accechi molti. Alla vedova Siranna, già felice e spensierata, era successa una grande disgrazia: era diventata cieca. La Passio sancti Donati racconta – il modello agiografico è quello dell’emorroissa[8] – di questa ancor giovane vedova che va in giro per medici in cerca della soluzione del suo problema e, malgrado i suoi soldi – l’autore della Passio dice “non meruit” – non gli riuscì di riottenere la vista. Ilariano il monaco dell’Alpe di Poti – ci piace avere con noi anche in questa festa di San Donato i monaci – ospita il sacerdote Donato. Il piccolo figlio di Siranna conduce la madre dal Santo, perché narri all’uomo di Dio la sua sofferenza e gli chieda aiuto.

Leggiamo insieme la valenza simbolica del messaggio: è il bambino che porta la mamma da San Donato, gli racconta la sua storia, le sue vicende, il suo tentativo inutile, vano, di guarire. Ancora oggi capita assai spesso nelle nostre parrocchie che siano i piccoli a riportare i genitori alla fede: li inducano a pensare alle cose di Dio e a esprimersi di conseguenza. Donato ascolta e risponde a Siranna: “Ti manca l’olio”. Allora l’olio era segno di ricchezza, di campi e di beni posseduti in abbondanza. Risponde sprezzante la donna: “Ne ho tre ziri pieni a casa, senza contare tutto ciò che ho nei campi!”. Il racconto antico fa tornare alla memoria le cantine d’un tempo, orgoglio dei più ricchi tra i nostri antenati. Soggiunge San Donato: “Non è quell’olio che serve a te, o donna”. Sembra il linguaggio al pozzo di Gesù con la Samaritana[9]. L’agiografo parafrasa la narrazione biblica dell’incontro tra il profeta Elia e la vedova di Sarepta di Sidone[10]. Allora come ora è la carità che salva. “Non è quell’olio lì che ti giova” torna a dire anche a te San Donato. Con il potere del danaro, cari aretini, si va poco lontani, soprattutto se ti servono solo per compiacerti, per acquisire potenza; se credi che il senso della tua vita sia acquisire ricchezza sempre maggiore, ignorando gli altri! Diventi cieco se non ti accorgi che una larga parte della città stenta ad arrivare alla fine del mese e che la povertà delle fasce più deboli della nostra popolazione chiede, a chi può, di creare lavoro. Sei cieco se credi di potere tutto, che tutto ti sia dovuto perché hai accumulato una grande ricchezza.

Il primo passo per uscir fuori dalla cecità di Siranna, su consiglio di Donato, fu ed è tutt’oggi il dialogo. San Donato non contesta, non fa questioni sociali. Si accorge che tutti hanno bisogno del Vangelo per ritornare sulla retta via, per accorgersi di ciò che succede accanto a te. Il Santo si mette a parlare: è palese che quella di San Donato a Siranna sia stata una catechesi sull’iniziazione cristiana. Spiega, provoca, risponde poi le dice: “Cinque cose ti servono: deporre il peso del peccato”. Tocca a noi decidere davanti a Dio benedetto, presso l’arca di San Donato, di cambiare il nostro modo di ragionare, se la mentalità pagana ci fosse entrata nel cuore, se ragionassimo come gli altri, come quelli che in Dio non credono. Siamo diventati tiepidi, forse come la chiesa di Laodicea[11]. Donato a Siranna chiede di detestare gli idoli cechi e sordi. Quale modello noi proponiamo ai ragazzi del nostro tempo? Oh, non è davvero ne’ Zeus ne’ Mercurio, ne’ il resto dell’Olimpo romano che creano problema ai ragazzi del nostro tempo, ma ciò che quegli gli idoli pericolosi tutt’ora significano: dare la vita alla ricerca del successo, calpestare anche le cose più sante, pur di prevalere sugli altri. È idolatria proporre ai ragazzi il male per bene; dire loro che quel che conta è soddisfare i sensi ed evadere dal reale.

La via cristiana che fece grandi i nostri antenati, le radici della nostra cultura chiedono altro. Occorre fissare gli occhi su Gesù autore perfezionatore della nostra fede e ritrovare la via della solidarietà. Al bambino che ti aspetta a casa e che forse ti chiederà dove sei stato stasera, abbi il coraggio di dire che sei andato a mettere gli occhi su Gesù, a rimetterlo al centro della tua vita insieme agli aretini in duomo. Poi sarà facile passare dalla fede ritrovata ai sacramenti. Il ministero del vescovo Donato chiede a Siranna, come misura della sua maturità riconquistata la purezza del cuore, quanta speranza portasse con sé.

Troppo spesso laudatores temporis acti[12], da San Donato siamo interrogati su ciò che facciamo per cambiare il presente. Il Signore ha messo nella Chiesa di Dio, principalmente nel laicato, il compito di far sì che la città dell’uomo, quest’Arezzo nostra amata, assomigli – con le sue porte intitolate ai Santi, lungo il giro delle mura – alla città di Dio. Tocca a noi testimoniare il Vangelo e metterlo in pratica. Tocca a noi ricominciare da San Clemente a San Biagio, dai Santi Angeli a Santa Croce, a Sant’Andrea: fai il giro, è casa! Ma non soltanto la città, è tutta la storia della provincia intera segnata dalla presenza cristiana. Anche a noi tocca di uscir fuori dal guardare soltanto a noi stessi e recuperare il ruolo di lievito dentro la farina, di sale che dà sapore alle cose, di torre che offre, pur da lontano, a chi è in cammino, la giusta prospettiva per ritrovare la strada.

Che fa Siranna, finalmente risanata? Dice la Passio sancti Donati che il nostro Patrono la porta dal Vescovo che la battezza. La chiesa unita attorno al successore degli apostoli: un solo cuore, un solo spirito. E il frutto immediato del battesimo è che la ricca Siranna si libera degli orpelli e si accorge dei poveri. La via della carità è il sigillo dell’opera di Dio. È dono di Dio accorgersi delle sofferenze altrui. Andiamo col pensiero ai cinque ospedali del nostro territorio. Tanta gente è disperata. Anche per le vie e le piazze, se riuscissimo a vedere le sofferenze delle famiglie sarebbe facile accorgerci dei bisogni della gente e del ruolo che Dio ci affida, d’essere suoi ambasciatori[13]. La Chiesa si manifesta – dice ancora la Passio sancti Donati – nella comunione al corpo di Cristo, nell’unità organica con cui provvediamo ai bisogni spirituali e materiali di chi è nella tribolazione, facendo della nostra vita un dono.

Donato, santo patrono, torna a illuminare la nostra Chiesa, ridonaci l’entusiasmo di spendere la vita per gli altri, per il bene comune! Insegnaci che il mistero della salvezza è l’amore. L’unità nella Chiesa, la comunione al corpo di Cristo ci farà liberi, significativi e forti. È quel Crisma dall’alto – l’olio che mancava a Siranna – lo Spirito Santo di cui abbiamo bisogno.

La potenza di Dio, per intercessione del Santo che esprime la nostra identità, torni a infiammare di carità questo popolo bello, questa storia incantata che vuole ritrovare la via del Cielo.

+++ Cattedrale di Arezzo, 7 agosto 2011

 


[1] Cfr. San Gregorio Magno, Dialoghi I, 7,3

[2] Cfr. Ez 34, 11-16

[3] I Pt 5,1

[4] Cfr. Messale Romano, Preconio pasquale: “Qui, licet sit divisus in partes, mutuati tamen luminis detrimenta non novit”

[5] II Cor 4,2

[6] Ef 4,3

[7] Cfr. Passio Sancti Donati Prima

[8] Cfr. Mc 5,25 ss

[9] Cfr. Gv 4,7 ss

[10] Cfr. I Re 17,7 ss

[11] Cfr. Apoc 3,14 ss

[12] Quinto Orazio Flacco, Ars Poetica, 169-174: “Multa senem circumveniunt incommoda, vel quod /quaerit et inventis miser abstinet ac timet uti, / vel quod res omnis timide gelideque ministrat, / dilator, spe longus, iners, avidusque futuri, / difficilis, querulus, laudator temporis acti / se puero, castigator censorque minorum”

[13] Cfr II Cor 5,20