Messa della Notte di Natale 2015. Omelia dell’Arcivescovo

24-12-2015
Aretini miei amati,
1. È il Natale del Signore.
In questa stessa ora a Betlemme la comunità cristiana, insieme al Patriarca Fouad, è raccolta per cercare di comprendere ancora meglio il senso della nascita di Gesù, che là avvenne l’anno decimo quinto dell’impero di Tiberio Cesare, facendo si’ che la successione degli eventi al mondo diventasse storia di salvezza per tutti. Tocca ai cristiani di ogni generazione raccogliere la luce di Betlemme “per dare speranza agli sfiduciati, portare il lieto annunzio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati…promulgare l’anno di misericordia del Signore…consolare tutti gli afflitti”1. Anche stanotte, in questa madre chiesa di Arezzo, Dio ci ripropone la sua vicinanza: ci chiede l’amicizia. Sta a noi accettarla o meno, non con un clic sul tuo computer, ma con un profondo movimento di cuore. Ci chiede di far prevalere la fede sulle esperienze difficili e complesse del tempo che stiamo vivendo. 

Questo è il Vangelo della notte di Natale: vi propongo di rimetterci umilmente nella lunga fila che attraversa i secoli, avviata da quei pastori che furono capaci di ascoltare la voce degli Angeli. Ci è chiesto solo di essere disposti a uscire dal nostro consueto, pur nella notte delle nostre insicurezze, per incontrare Gesù, che è l’unica vera alternativa alle prove della vita, al male del mondo, alle sofferenze della gente che campeggiano nelle cronache di queste settimane. 
E’ il giubileo: il bambino di Betlemme in questo modo ci coinvolge a restaurare “le città desolate, devastate da più generazioni”2, manifestando così il suo progetto e indicando il metodo per realizzarlo. Fissiamo insieme lo sguardo sulla sacra famiglia di Nazareth, perché alla luce della loro fede si riaccenda la speranza nelle nostre famiglie e illumini il percorso per venire a capo delle angustie del presente. Contempliamo Maria, ormai prossima a generare e San Giuseppe con Lei, non accolti da nessuno, costretti ad accontentarsi di una povera grotta, adibita al ricovero degli animali. Sulle loro condizioni, umanamente difficili, fanno prevalere la fede in Dio: non disperando, vivono forse inconsapevolmente quella esperienza che è la fonte della gioia dell’umanità intera. E’ l’umiltà di Dio fatto bambino che si abbassa al limite della sussistenza umana pur di salvarci tutti. E’ il Verbo divenuto infante, cioè non parlante, che da allora parla da Betlemme, indicandoci la via d’uscita per quanti vogliono un mondo migliore di quello esistente. 
                                      
2. È l’anno della misericordia. 
“Dio misericordioso” è l’espressione con la quale tutte tre le Religioni del libro invocano l’Onnipotente e unico Dio. Ci insegnò a Greccio il Poverello di Assisi che per parlare del bambino di Betlemme occorre recuperare la dimensione della tenerezza: “lo pronunziava riempendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto…e ogni volta che diceva bambino di Betlemme o Gesù, passava la lingua sulle labbra quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole”3. 
Ci ha appena ripetuto papa Francesco che il bambino di Betlemme è il segno tangibile della misericordia di Dio. Occorre tornare indietro, uscire dalla cultura dello spreco che devasta la natura e penalizza l’uomo capolavoro di Dio. Come chi avendo una meta, e noi ce l’abbiamo, mentre percorre la via si accorge di essere andato fuori strada, se è saggio, torna sui suoi passi per poter andare davvero avanti, così è compito dei cristiani davanti al presepe: riproporre a tutti progetti di vita evangelici, alternativi alla cultura dominante nell’Occidente abbacinato dal sempre insorgente mito prometeico. 
Pur essendo il Verbo di Dio, Gesù riceve i primi soccorsi per sopravvivere al freddo delle notti di Palestina dai servi pastori di Beit Sahour e dal tepore degli animali. Invece di disperarsi “Maria, da parte sua serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”4. Giuseppe “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”5. La via della interiorizzazione e dell’obbedienza alla volontà di Dio è la fonte della fortezza anche in questo tempo dove la superficialità è sovrana e la banalità si diffonde come un’eresia. La Madre di Dio ci insegna che di fronte alle prove della vita la risposta del credente sta nella paziente educazione della coscienza, nella pratica del discernimento, nella libertà dalle cose. Dio si rivela a chi lo cerca, parla al suo popolo. Per ascoltarlo occorre fare silenzio. La parola di Dio ha avuto il suo compimento in Gesù che è nato e la sua Rivelazione si conclude nella testimonianza degli Apostoli. 
Dio parla ancora per mezzo degli eventi e lo fa anche nel nostro tempo, purché ci rendiamo conto che il male non viene da Lui ma dalla mancanza di solidarietà fra di noi, dallo spettacolo sempre uguale che si ripete nella storia ad opera del maligno. La vera novità è la nascita di Gesù, che infrange il ritmo perverso degli egoismi e delle rivalità, che sono la tentazione di Caino in ogni epoca.
L’insegnamento che San Giuseppe ci dà in questi giorni di Natale è di agire come Dio ci chiede: con giustizia pietà e misericordia. 
3. “Con la misura con la quale misurate, sarete misurati”6
La combinazione delle virtù umane di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, illuminate dalla carità, ci induce ad essere responsabili, a costruire la città dell’uomo a immagine della città di Dio. Davanti al presepe questa notte vogliamo anche noi fare la nostra parte dove la provvidenza ci ha fatto vivere7. Stiamo crescendo una generazione di indecisi e fragili, occorre invece tornare a curare le persone anziché le cose: amore, relazioni educative, solidarietà, impegno per il bene comune. Sulla porta della Pieve di San Cristoforo8 i cristiani del medioevo scrissero: “piccolo il mio, grande il nostro”. Questa è la porta della misericordia.
La nascita di Gesù nel presepe è il più grande atto di misericordia che Dio ha compiuto verso l’uomo. In questo anno santo vogliamo metterci alla scuola della misericordia, cioè di chi ha a cuore i miseri e le povertà del nostro tempo, che non sono solamente materiali. Siamo miseri perché ci siamo fidati delle cose più che di Dio.
Fare la scelta della misericordia nella nostra esistenza significa operare perché concordia e pace tornino nelle famiglie, facendo cessare – dove ve ne sono- litigi e divisioni, conflittualità legata al possesso dei beni materiali. Quest’anno è l’occasione propizia per tornare a far pace, a parlare, soprattutto con chi ha il tuo stesso sangue, ma anche con i vicini, contrastando l’indifferenza reciproca, che fa somigliare molti centri abitati del nostro tempo, più ad una giungla che ai borghi della nostra tradizione cristiana. Da qualunque Paese del mondo arrivino gli altri, meritano attenzione e considerazione. Si metta da parte la nefasta logica del competere, che avvelena le relazioni umane, trasformando la convivenza in un continuo e sterile conflitto. Non è questa la civiltà del Vangelo. Abbiamo bisogno di tornare a sentirci fratelli, ad avere rispetto del prossimo, a impegnarci per il bene comune. 
Occorre aprire gli occhi per accorgerci delle sofferenze del nostro prossimo. Vi è una cecità già rammentata nel ciclo di San Donato con le vicende di Siranna, che ricca e potente non riusciva a vedere le pene degli altri finché non fu risanata dalla grazia di Dio e dal ministero del nostro patrono. Vi sono famiglie che stanno vivendo storie di dolore, perché ferite nelle loro vicende d’amore e di matrimonio. C’è tanta sofferenza in queste concatenazioni di ferita umanità. La Chiesa deve farsi vicina, come San Donato, deve ritrovare il verso della misericordia e non il prurito del giudizio e il compiacimento del male altrui. Credo che sia necessario fare in modo di aiutare davvero, di fare di più, di fare meglio, aiutando con misericordia chi vuole tornare al Signore.
  Spero che nell’abbondanza di questi giorni di festa si torni capaci di qualche consistente gesto di carità, che “cancella una moltitudine di peccati”9. Occorre aiutare gli altri a salvare anche il decoro e la discrezione che sono necessario corredo di ogni persona umana.
In questo anno della misericordia voglio ben sperare che chi ha potere di aggiustare le cose, non si dimentichi di coloro che, senza colpa, hanno perso i loro modesti risparmi. Si riprenda verso, senza distruggere, indotti dall’emotività collettiva. Il nuovo che è sorto, comunque fonte di lavoro per centinaia di famiglie, non è saggio che sia danneggiato dalle sofferenze che lo hanno preceduto. 
I segni della carità operosa che connotano la civiltà cristiana si costruiscono giorno per giorno, fino ad essere naturale riferimento per tutti, frutto del percorso che questa Chiesa vuole riavviare per l’Anno Santo.
La materna intercessione di Maria, che in Arezzo invochiamo sotto il titolo di Madonna del Conforto, renda fruttuoso questo anno di Grazia, Anno Santo della misericordia. Buon Natale a tutti!