Amati fratelli, sorelle benedette:
siamo chiamati nella Chiesa della Cattedra
per invocare il dono dello Spirito su questo popolo che ci è affidato.
Desidero anzitutto esprimere la mia gratitudine a Dio che, pur nell’ultimo giorno del tempo pasquale, ci consente di riunirci per la Messa Crismale. Gratitudine a tutti voi miei fratelli nel sacerdozio che, anche nella dura prova di questi mesi di scompiglio, non avete abbandonato il popolo. Avete dato buona testimonianza che questo presbiterio è ricco di veri e generosi pastori. Dio ricompensi anche tutti voi che nei vari ministeri laicali avete cercato di fare la vostra parte di battezzati.
- Il servizio a Dio passa per il servizio al suo popolo
Questa assemblea ecclesiale raccoglie la molteplicità delle vocazioni, che si esplicitano nei segni dei tre olii santi: dei catecumeni, degli infermi e del Sacro Crisma. Rievocano l’annunzio della fede, la consolazione degli afflitti, la regalità della consacrazione, ad un tempo modello di una antropologia nuova, profetica e sacerdotale.
La Chiesa, sul modello della Santa Trinità – “una potenza da cui tutto procede; una prole per la quale tutto è stato fatto; uno il dono della perfetta speranza”[1] – è se stessa quando sa combinare la molteplicità delle situazioni, la diversità delle persone e delle culture con l’unità tra di noi e soprattutto con Dio. Siamo popolo, cioè tanti, se si diventa segno perché siamo “un cuor solo e un’anima sola”[2].
L’esperienza cristiana valorizza la persona nel progressivo percorso verso la santità, approfondendo la qualità delle relazioni, nel quadro di un’umanità che è la famiglia di Dio, come insegna il Vaticano II “insieme di fratelli animati da un solo spirito, per mezzo di Cristo nello Spirito”[3].
Non si è cristiani da soli. Una delle prove più dure di questi mesi è stata quella di aver lacerato la comunità, pensando che bastasse ridurla a un’esperienza virtuale e mediatica, quasi non fosse una storia reale, fisica come quella che in questo momento stiamo vivendo. Un’unica Messa di tanti celebranti, ciascuno con il proprio contributo identitario e sacerdotale, ma tutti presenti attorno all’unico altare.
Questa celebrazione ha il compito di rivelare la gioia nel concento dell’anno liturgico: “Ecco quant’è buono e quant’è piacevole, che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla barba, sulla barba d’Aaronne, che scende fino all’orlo dei suoi vestiti; è come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion”[4].
Questa fraternità, che lenisce le aridità del nostro tempo, accompagna alla fede quanti incontriamo, perché è in sé una proposta. Ministeri e carismi animano il servizio da rendere al mondo. Tocca ai genitori far scoprire la famiglia come Grazia di Dio. È compito degli educatori far riconoscere la poesia del creato, lo splendore della scienza per scrutare le meraviglie che il Creatore ci ha affidato. A noi sacerdoti è chiesto di guidare quanti sono alla ricerca del senso della vita, perché si mettano in cammino verso la piena adesione alla Chiesa. Raccogliamo il senso del catecumenato e dell’olio che la Chiesa offre a chi vuol diventare “atleta di Cristo”[5] perché, come gli antichi lottatori prima di scendere in gara, si ungano per sfuggire alla presa dell’avversario.
Questi tempi di grande dolore coinvolgono tutta la Chiesa nella vicinanza a chi soffre, nel conforto a chi è duramente provato, nella preghiera per gli infermi che, come insegna la Scrittura, alla maniera del Buon Samaritano dobbiamo offrire a chi è colpito dal male: “C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni. C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore”[6].
Non si scioglierà questa grande Assemblea senza aver rivisitato la bellezza di essere cristiani e di quel sacerdozio comune che, come frutto del Battesimo, ci unisce a Cristo unico e sommo sacerdote. Il Sacro Crisma è il segno visibile del dono dello Spirito, nell’antica tradizione della Chiesa. Dove arriva porta gioia, anzi: festa! La festa nel cuore di noi sacerdoti qui riuniti nel ricordo sì delle mani che ci furono unte il giorno della nostra ordinazione, facendole diventare la carezza di Dio per il suo popolo.
Cari presbiteri, tra breve rinnoveremo le promesse fatte in quel giorno in cui fu cambiata la nostra identità con il carattere del sacerdozio ministeriale, che ci rende capaci, al di là delle nostre indegnità, di agire “in persona Christi capitis”[7] nell’edificazione della Comunità ecclesiale di cui l’Eucarestia è il Sacramento per eccellenza.
- Dio parla attraverso gli eventi
Nella Chiesa del Signore non esistono storie uguali: a ciascuno Iddio assicura un’attenzione particolare, unica e irripetibile. Lo stesso fa con ogni comunità e con ogni Chiesa particolare riunita insieme con i successori degli Apostoli. A noi tutti chiede di partecipare con il tesoro delle diversità, che sono la nota identitaria della nostra dimensione di credenti.
Occorre praticare una pietà cristiana, antica e sempre nuova: il dialogo con il Signore, nell’ascolto interiore della sua Parola è la preghiera che avvia alla ricerca di chi siamo e, attraverso i doni ricevuti, quale sia la risposta che l’eterno Padre attende da ciascuno. Il rapporto vicendevole si fonda sullo Spirito di Cristo, che, sempre e comunque, ci è offerto come fondamento della carità, nell’amore reciproco che ha come misura il Crocifisso Risorto. Sta a noi dialogare, valorizzando la Grazia ed evitando le chiusure, che sono i tanti nomi del peccato. Sì, ciascuno ha una sua propria vocazione, giacché Dio non ci massifica, non ci considera per categorie, ma sempre ci stima e ci ama come figli. È stata una vera sofferenza in questi mesi abitare nello stesso luogo, costretti ad essere lontani. Mi siete mancati figli carissimi. Ci siamo mancati vicendevolmente e percepiamo la gioia del ritrovarci insieme nella chiesa madre come dono di Dio.
La risposta al Signore è il servizio: il sacrificium laudis, che nella preghiera esprime la coralità della Chiesa e, nel fare la propria parte secondo il ministero che ci è chiesto, manifesta la carità, che è l’impronta dei famuli Dei, cioè di coloro che sono parte della famiglia di Dio e sono riconoscibili per il bene che si portano l’un l’altro[8].
La sofferenza di questi mesi di forzata clausura ha determinato una situazione nuova che ci interpella non solo nell’ordine dell’essere, ma anche in quello del fare. Occorre riannodare i legami che trasformano in comunità ogni parrocchia, dando valenza teologica alla dimensione istituzionale e giuridica. Bisogna rimettere insieme le Unità Pastorali, che aggregano popolazioni con necessità comuni. I Vicari Foranei, che mi sono stati vicinissimi in questi mesi e che ringrazio, sono pienamente all’opera per rendere anche visibile l’identità della nostra Chiesa diocesana. Per tutti, un gran lavoro da fare.
Il nuovo è soprattutto missione, come Papa Francesco ci ha chiesto in Evangelii Gaudium[9] e come il nostro Sinodo ci ha ripetuto. Occorre individuare i modi adatti alla situazione nuova, per praticare il servizio che ogni cristiano vuole rendere al Signore. I tanti carismi, per Grazia di Dio presenti nella nostra Chiesa diocesana, e i tanti ministeri sono al servizio della persona: del giovane figlio che incontriamo al quale, in questa estate difficile, vogliamo mostrare la cura che la sua Chiesa gli riserva, attuando, anche se con difficoltà e fatica, almeno una singola esperienza di quella pastorale giovanile che la CEI ci ha proposto.
Ci sono a cuore le famiglie nuove che speriamo di incontrare per donar loro il Sacramento, che è stato impedito dal divieto di assembramenti. Ci piace dire la nostra vicinanza ai padri e alle madri, che nella nostra Chiesa sono le colonne portanti: di un presente che non si spaventa di fronte alle difficoltà e di un futuro che potrà essere migliore, se sarà possibile presto riprendere a lavorare.
A tutti vogliamo riproporre il Vangelo, soprattutto a quelli che hanno una conoscenza della Chiesa come fenomeno che appartiene alla cultura, ma non ne hanno esperienza né partecipazione diretta.
Forti di queste risorse siamo saliti presso l’Arca di San Donato, per raccogliere una nuova chiamata, consapevoli della Grazia che ha risposto alla preghiera in questo terribile tempo. Anche la realtà del nostro territorio è profondamente cambiata. I ritmi e le modalità a cui la Chiesa si era abituata nel tempo sono diventati fragili. Per un verso, anche quelli che ci furono più vicini sono ora rimasti segnati dalla paura. Non si sono solo rinchiusi nelle loro case. C’è una sorta di individualismo interiore che sarà nostro compito far di nuovo convergere verso la comunità ecclesiale. Non stanchiamoci di ripetere che la Chiesa è il popolo di Dio. Costretti a comunicare attraverso gli strumenti mediatici, abbiamo favorito le devozioni personali e affievolito, nel sentire comune, la necessità di incontrarci personalmente ogni domenica a Messa. Non bastano i pii sentimenti, vogliamo tornare a condividere insieme la parola di Dio e a cibarci della Santissima Eucarestia.
La nostra fede comune ci fa cogliere questo momento come un kairos, un appuntamento con la storia. È facile cogliere l’affermazione del ritmo medievale: “mors et vita duello conflixere mirando”. Saremo capaci di aggiungere con il Monaco Wippone alla corte di Corrado II “dux vitae mortuus regnat vivus”? Sì, questa è la missione della Chiesa: annunziare che Gesù è Risorto, è vivo e presente nella Santa Assemblea. “Non temere piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”[10].
Come nella “Parabola dei lavoratori delle diverse ore”[11] non importa che cosa abbiamo fatto finora. Il padrone della vigna anche in quest’ora torna a chiamarci a lavorare, facendo ciascuno la propria parte nella Chiesa in Terra d’Arezzo. Sarà questo il modo di trasformare il gran male che ci è venuto addosso in un’occasione propizia. Varie volte abbiamo fatto riflessioni sulle ingiustizie del mondo e sulla società malata del nostro tempo. Un piccolo essere, visibile solo al microscopio, nel giro di poche settimane, ha messo in ginocchio gli imperi della Terra, distruggendo certezze e mettendo tutti, paesi ricchi e paesi poveri, nel bisogno per sopravvivere. Lo stesso avviene anche nel nostro territorio.
In umiltà, consapevoli d’essere un piccolo gruppo armato solo della fede, vogliamo riprendere insieme il cammino. L’Apostolo ci ammonisce: “State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio”[12].
- Edificare il nuovo
Questa Messa vuole segnare la piena ripresa del servizio che la Chiesa rende al territorio, ma anche l’avvio di una storia tutta nuova, quale quella che abbiamo disegnato nel Sinodo. Mi pare di poter dire che è stato un dono del Signore aver potuto preparare il progetto del nuovo cammino che ci aspetta, prima che scoppiasse l’emergenza sociale che tutto ha sovvertito.
La Madonna, che abbiamo invocato con fede e alta coralità, ci ha protetto. La nostra Diocesi parrebbe che sia stata lambita dal male in misura modesta. In questa Messa, che idealmente raccoglie tutta la nostra Chiesa, vogliamo pregare per i defunti e le loro famiglie e ringraziare Dio per le tante persone che sono potute ritornare a casa grazie alla esemplare opera dei medici, degli infermieri, di tutti gli operatori che non si sono risparmiati in queste fasi pericolose del male. Ma anche di voi parroci che con sacrificio siete rimasti al pezzo.
La pausa estiva andrà valorizzata, rammendando gli strappi e ricomponendo, magari con forme nuove, la nostra Comunità diocesana.
Avviando questo percorso, chiediamo la Grazia del Signore, perché dono speciale di aver progettato il nuovo prima della tempesta ci faccia considerare l’esperienza sinodale e le decisioni prese insieme come l’Arca di Noè, che ci permetterà di passare oltre il diluvio universale e di recuperare il futuro che Dio ci dona.
[1] Sant’Ilario di Poitiers, Trattato sulla Trinità, Libro 2, 33
[2] At 4, 32
[3] Concilio Vaticano II, Costituzione Lumen gentium, n. 28
[4] Sal 133
[5] Papa Francesco, Copacabana, 27 luglio 2013
[6] Gc 5, 13-14
[7] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, “I presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo capo”, Decreto Presb. Ord. 1,2
[8] Cfr. Lettera a Diogneto, I
[9] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, cap. 1, 20
[10] Lc 12, 32
[11] Mt 20, 1-16
[12] Ef 6, 14-17